Se quella che sta per cominciare fosse semplicemente una storia, sarebbe semplice spiegare di cosa si tratta. Ma questo è un viaggio da una costa all’altra attraverso le 21 lettere dell’alfabeto. Un viaggio diviso in tre parti, ogni parte “conta” sette lettere.
In fin dei conti è uno schema, un adattamento a uno stile di vita: la paura di non riuscire più a mettere un piede dopo l’altro.
Alfabeto
Parte III – Ritorno
V come vagare
Da bambino uscii fuori da casa mia, girai lo sguardo e vidi un paio di gambe penzolare dal balcone affianco. Ritornai a casa, suonai al citofono e nell’ingenuità dell’infanzia dissi a mia madre che la vicina di casa si era incastrata nella ringhiera. Era una signora anziana e simpatica, quello che mi fece più impressione furono le calze scese fino alle caviglie che mostravano quelle gambe solo col pudore che concede la morte. Aveva legato una corda alla ringhiera del suo balcone e si era lasciata andare, era vestita da casa, con la camicia da notte e la vestaglia. In una delle tasche della vestaglia aveva un biglietto con su scritto: “Giobbe 1.8”.
La cosa più assurda è che il figlio, nove anni dopo, si ammazzò dallo stesso punto e allo stesso modo, fu mia madre ad avvertirmi della sua morte, vivevo in città già da qualche tempo.
Anche lui aveva un biglietto in tasca, ma il suo era vuoto.
Il cane che viveva con lei non la smetteva mai di abbaiare, soprattutto quando passavamo noi bambini che puntualmente gli davamo fastidio sbattendo un pezzo di legno trovato per strada sulla ringhiera che lo teneva rinchiuso.
Quel giorno era stranamente silenzioso.
Col tempo mi sono sempre convinto che il cane fu l’unico a rispettare la morte dell’anziana signora che abitava affianco a me.
La morte ha il particolare potere di esagerare le situazioni e le condizioni in cui ci si trova.
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Clicca qua per il prossimo e ultimo capitolo: Z come Zavorra.
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