La routine soffoca l’idea di cambiare la propria vita in meglio (o in peggio)
Pt 2 – Paradosso e routine: l’arte di non saper cambiare
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È un mattino come tanti e, come da ormai troppo tempo, mi sveglio presto, incrementando il numero di ore di sonno da recuperare. Ho la cattiva abitudine di coricarmi tardi e svegliarmi presto, indipendentemente da quanto sia intensa la giornata che mi spetta. Ma che fare? Preferisco la notte a qualsiasi parte del giorno: la sua tranquillità cela il dinamismo più irrequieto, gli avanzi del giorno che vengono consumati con più foga durante le ultime ore. È come una signorina alta e formosa, dalle carnose labbra inamidate, vestita di bordeaux e sotto la gonna lunga si nasconde un ragazzetto né troppo bambino né tanto uomo: è erotica.
Il tempo passa mentre i miei pensieri scorrono e inizio a rendermi conto di dovermi muovere e ricominciare una nuova, solita, pallosa giornata.
08:46. Mi sfilo dalle coperte, lavo il viso e spazzolo i capelli. Accendo il vecchio telefono e dopo pochi secondi ricevo una telefonata.
“Iniziamo bene” borbotto. Detesto chiunque mi blocchi al telefono, soprattutto al mattino.
“Pronto?” la mia è la voce del disprezzo.
“Tesoro? – Ma chi è? – Tesoro, buongiorno. Scusa se ti chiamo di prima mattina. Ho provato a chiamarti ieri sera e qualche minuto fa ma ho trovato la segreteria. Io sono sveglio dalle cinque”
Cosa diavolo vuoi che mi importi di cosa hai fatto e quando ti sei svegliato? Razza di imbecille.
Dopo pochi secondi realizzo che chi parla è il mio compagno, Tobia.
La prima cosa che mia madre disse, dopo che le raccontai di lui, fu: “Non sarebbe stato più facile trovare un Giacomo, un Daniele o un Antonio?”
Diana e Tobia: la coppia con nomi strani.
“Buongiorno. Cosa c’è?”
“Ehm… ecco, volevo scusarmi per ieri sera. Non avrei dovuto bere quel bicchierino in più…”
Ieri? Ah, sì.
Ero nel suo appartamento e finalmente stavamo trascorrendo un po’ di tempo in maniera differente, bevendo dell’ottimo vino rosso, ascoltando musica tranquilla. Davanti a noi, il cielo stellato era il massimo che ci si potesse aspettare di vedere. Proprio nel momento dei preliminari, Tobia si addormenta.
È sempre stato un disastro a letto ed ora vorrei tanto dirglielo. Sì, ora glielo dico.
“Tranquillo” E figuriamoci. Non riesco mai ad esprimermi, vergogna.
“Mi dispiace davvero. Vorrei rimediare con una cenetta fuori, stasera, che ne dici?”
“Ti chiamo dopo”
Lui acconsente con tono sommesso. Lo immagino nel suo appartamento: con una mano regge il telefono, con l’altra tortura un fazzolettino, lo sguardo è volto verso il basso e dalla sua posizione, dalla sua espressione tesa trapelano ansia e senso di colpa.
Riattacco e mi massaggio le tempie. Penso a Tobia. Penso a quanto, dopo tanto tempo di frequentazione, mi risulti sconosciuto, in questo periodo. Ne abbiamo passate tante di esperienze, ma non troppe.
Sono pronta. Mangio la mia solita fetta biscottata, mi vesto ed esco fuori di casa. Oggi provo disgusto perfino verso il mio stesso appartamento, rifugio di una bestia che non sopporto. Nonostante ciò, la giornata sembra migliore, la gente passeggia tranquilla: una vecchietta attraversa la strada senza timore e senza indugio, un uomo con gli occhiali da sole ed il bastone porta a spasso il cane che lo segue fedelmente, una ragazza schiaffeggia un tipo e lo insulta, un ragazzino rimprovera la madre per qualcosa che ha fatto. Insomma, cose da tutti i giorni. Chi se ne infischia?
Frugo nelle tasche dei miei jeans larghi e consumati. Per fortuna ho degli spiccioli per comprare sigarette e giornale.
Ho appena scoperto che il mio giornalaio di fiducia si chiama Salvo. Un bambino gli chiede il prezzo di uno stupido fumetto.
“Scusi, signor Salvo, quanto cosa questo?” “Costa sei e novanta, Lui’!”
“Capito” esita per tutto il tempo che mi basta per scegliere il mio giornale, pagarlo e leggere il primo articolo. Poi decide: “Lo prendo!”
Idiota. Sul serio, puoi spendere sette euro per un fumetto del cazzo? Non avrà neanche quaranta pagine! Ti odio, Lui’, sei il classico sprecone stronzo che non apprezza il valore delle cose essenziali.
“Torni a lavoro, Lui’?” gli chiede Salvo.
“Sì… beh, in realtà spero che il capo mi perdoni anche oggi perché sono nuovamente in ritardo! Eheheh! Arrivederci, Salvo!”
“Ciao!”
Ma che cazzo c’è da ridere? Dio, quanto sei fastidiosamente stupido, Lui’, bambino scemo e demente. Hai un lavoro e te lo faresti fottere da un fumetto scarso e di poche pagine. Saluto e vado via.
È il turno delle sigarette. Il tabaccaio di fiducia invece è una donna grassa e spesso puzzolente. Molte volte porta il suo moccioso per mostrargli l’“arte” del suo mestiere. Bel mestiere di merda, distribuire cancri.
Ma sì.
“Buongiorno, il solito.”
“Ecco a lei.”
Mangiateli questi soldi e tutti i germi che ci stanno su, puzzona schifosa.
Che giornata piatta. Che vita piatta. Una casa orribile, un ragazzo quasi inutile, genitori andati, sorelle andate, polmoni andanti. Mi ci vorrebbe qualcosa di… romanzesco. Sì, vorrei che la mia vita fosse strutturata come i film o le narrazioni: ordine uno, caos, ordine due. Il caos. Forse me lo devo cercare. Forse arriva da sé, come nei film.
Ma sì, intanto bevo un caffè e chiamo Tobia.
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L’immagine di copertina: New York restaurant, 1922, Hopper.
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