Se quella che sta per cominciare fosse semplicemente una storia, sarebbe semplice spiegare di cosa si tratta. Ma questo è un viaggio da una costa all’altra attraverso le 21 lettere dell’alfabeto. Un viaggio diviso in tre parti, ogni parte “conta” sette lettere.
In fin dei conti è uno schema, un adattamento a uno stile di vita: la paura di non riuscire più a mettere un piede dopo l’altro.
Alfabeto
Parte II – Arrivo
O come Occasioni
Mi sedetti davanti alla macchina da scrivere di Ginevra e scrissi la recensione del libro che mi aveva commissionato Massimo, i tasti erano male oliati e la carta si inceppava, scrivere non era mai stato così complicato, ma avevo accettato e non potevo tirarmi indietro.
Era una storia scritta bene, un noir, una storia di vendetta che non ha nulla di meno rispetto a una tipicamente americana. Però scritta da un italiano, cresciuto con quel tipo di giustizia appresa da film e telefilm: tre sorelle, un padre condannato anche se innocente, dichiarato colpevole, incarcerato e giustiziato da un sistema corrotto affinché un politico rimanesse pulito. Le tre sorelle invitano per una settimana bianca in un paesino dell’Italia settentrionale pieno di neve tutti i fautori dell’assassinio del padre e a mano a mano li uccidono tutti. Lo scrittore usa le uccisioni dei corrotti come pretesto per mostrare a cosa possono portare le idiozie che ognuno di noi dice, come si possa fare della giustizia privata e come è sempre sbagliato girare le leggi a proprio piacere.
Scrissi una pagina intera, la tolsi da dietro il rullo, la misi in una busta e chiesi a Santiago di accompagnarmi alle poste, lui accettò e decisi di farlo venire con me anche da Vinicio.
Vinicio abitava in una casupola vicino al mare, c’erano due stanze più la cucina e un bagno piccolo. Diceva che era una casa adatta a lui, vissuto per tanti anni in una cabina, una casa più grande sarebbe stata superflua. Aveva bisogno di avere tutto a portata di mano. Anche se aveva la porta sempre aperta bussai e aspettai che mi disse il via. Entrai con Santiago al seguito.
“Vinicio?”
“Vieni Bruto, entra.”
“Oggi ho portato un amico.”
“Chi è?” Chiese appena comparve davanti a noi.
Si era appena rasato, nonostante fosse mattino avanzato, infatti si stava pulendo il viso con un asciugamano dalla schiuma da barba in più.
Appena vide Santiago, gli brillarono gli occhi e gli sorrise paternamente.
“Come ti chiami?”
“Santiago.”
“Un nome da marinaio, come il mio.”
“Sì, ma io non sono mai andato in barca, sono cresciuto in un circo.”
“Sei sempre un viaggiatore, è la cosa più importante. – Gli disse scombinandogli i capelli. – Dimmi un po’, ci sei mai stato a scuola?”
“Poco e niente, prima di andare col circo stavo in un orfanotrofio e le suore mi hanno insegnato a leggere, scrivere e a far di conto.”
“Hai studiato dai preti? Brutta storia.”
“Bruttissima.”
“Poi al circo che ti hanno insegnato?”
“Ho imparato a disegnare.”
“Io l’ho incontrato mentre disegnava.” Mi intromisi in quel dialogo fra gente affine e mi sentii in più.
Entrambi mi guardarono interdetti, mi avviai verso l’esterno e rimasi per un po’ a guardare il panorama: anche se da ogni lato dell’isola si vedeva il mare, dove viveva Vinicio ciò che l’occhio vedeva era il confine fra il mare e le montagne. Dalla mia posizione riuscivo a vedere come le nuvole disegnavano le proprie ombre sulla spiaggia. Una in particolare aveva preso la mia attenzione, aveva la forma che mi ricordava quella di una manta grande e implacabile, pronta a inghiottire nella sua nera ombra, fra quelle pinne a forma di ali, tutto quello che trovava sul suo cammino. Rimasi inebetito a guardare quell’ombra che mi spaventava fino a quando il vento non cambiò la nuvola che la creava.
Quando rientrai in casa li trovai seduti a tavola, uno di fronte all’altro a confabulare.
“Siccome viaggi spesso, hai bisogno di un’arma per difenderti. – Vinicio si mise una mano in tasca e ne estrasse un coltello. Sembrava che l’avesse lì da sempre per Santiago. – Questo è un coltello usato, sai che si dice quando si viene regalato un coltello?”
“Sì, che chi riceve un coltello deve dare in cambio una moneta, perché altrimenti l’amicizia si taglia.”
“Esatto, ma quello è per un coltello nuovo. Questo è un coltello vecchio, usato e te lo do io che sono stato un marinaio. Non è un regalo, ma uno scambio. Questo coltello è stato testimone dei miei viaggi, lo sarà anche dei tuoi, basta che lo porterai sempre con te e poi un giorno ricorderai di regalarlo a un altro viaggiatore come noi.”
“Grazie, potresti essere mio nonno.”
“Se anche lo fossi, non lo ricorderei.”
Vinicio mi guardò e sorrise dolcemente.
“Sai, Bruto, stanotte ho sognato che dipingevo un bellissimo quadro.”
“Lo dipingevi con entrambe le mani?”
“No, con una sola, però era pieno di fiori bianchi e rosa.”
“Non ti è dispiaciuto non sognare leoni?”
“I leoni mi hanno quasi stancato. Ho un libro per te.”
Presi il libro che mi porgeva, aveva una copertina solida che sembrava più vecchia che antica, non aveva né titolo, né autore. Lo aprii, era impaginato alla buona e alcune pagine restavano incollate al dorso della copertina con testardaggine. Lessi l’introduzione:
La mia intenzione è quella di scoprire alcune verità sugli atteggiamenti quotidiani che nascono dai sogni che ognuno compie, dimostrando che non sono consci ma provengono da una serie di avvenimenti sia oggettivi che soggettivi che d’ora in poi chiamo: scala cognitiva.
Ortega.
“Mai sentito parlare di Ortega?” Mi chiese Vinicio appena alzai lo sguardo da sopra il libro che mi aveva appena dato.
“No.”
“Non mi stupisce, pochissimi conoscono il suo lavoro sulla memoria. Lui venne a sapere della mia storia e si fece un intero viaggio sulla nave per studiarmi.”
“Che cosa sapeva di te?”
“Non glielo chiesi mai, né lui me lo disse. Ciò che lo incuriosiva di più era il mio braccio. Per me non è mai esistito, semplicemente mi sono svegliato così, anche se nell’ospedale in cui mi risvegliai i dottori mi dissero che erano stati costretti ad amputarlo. Appena saputo la presi come una notizia da niente. Ero nato in quell’ospedale ed ero nato senza braccio.”
“E Ortega cos’era? Una specie di medico?”
“Sì… in parte… venne a sapere la mia storia e passò sei mesi a riempirmi di domande.”
“Che tipo di domande?”
“La maggior parte sui miei sogni, ogni mattina non mi faceva fare colazione se non gli dicevo tutto quello che mi ricordavo del sogno appena fatto, voleva cercare di capire se nei sogni mi ricordavo della mia vita prima dell’incidente. Quasi sempre mi chiedeva se avessi sognato di avere entrambe le braccia.”
“Hai mai sognato di averle?”
“No, finora mai. Ora sogno soprattutto leoni.”
“Tutti i sogni sono fra loro complementari. Si dice che Caravaggio dormisse un quarto d’ora ogni mezz’ora, mi sono sempre chiesto se riuscisse a dividere i sogni che faceva e la realtà che lo circondava. Molto probabilmente tutti i suoi lavori sono nati dalla frattura fra conscio e subconscio che ha portato all’annebbiamento della sua vista con continue visioni nate dall’incontro con le sue paure.”
Ortega.
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