Alfabeto ESPERIMENTI LETTERARI

Alfabeto Parte III – T come Trovare

Scritto da Noise

Se quella che sta per cominciare fosse semplicemente una storia, sarebbe semplice spiegare di cosa si tratta. Ma questo è un viaggio da una costa all’altra attraverso le 21 lettere dell’alfabeto. Un viaggio diviso in tre parti, ogni parte “conta” sette lettere.

In fin dei conti è uno schema, un adattamento a uno stile di vita: la paura di non riuscire più a mettere un piede dopo l’altro.

Alfabeto

Parte III – Ritorno

T come Trovare

Ero in città, mettevo a posto i calzini accoppiando i singoli dispersi nei vari cassetti, mi capitò fra le mani un calzino spaiato di Felicita e un calore improvviso mi prese al petto. Mi mancò il respiro, sentii il sangue scorrermi più veloce nelle vene. Il cuore che accelerava. Mi guardai attorno in quella casa che ormai mi faceva solo soffrire ed ebbi l’improvvisa voglia di distruggerla.

Fu una sensazione gratificante. Poi mi sentii debole e inutile.

Ero allo sprofondo per l’ennesima volta e feci una cosa inaspettata: scrissi.

Mi era sempre piaciuto scrivere, ma mai narrativa o poesia, sempre qualcosa che potesse servire agli altri: articoli. Altri miei scritti li vedevo come cose da tenere per me, ma quella volta scrissi per un’altra persona, scrissi per Felicita.

Sono le due e mezzo e non riesco a mangiare. Anche se vorrei.

La casa è muta, forse è questa la cosa più preoccupante e dolorosa, questo opprimente silenzio nasce dalla tua assenza, dopo tanti anni vissuti assieme non riesco né a pronunciare né a scrivere il tuo nome.

L’unica cosa che sento è il battito stabile del mio cuore, quindi il silenzio non è totale… magra consolazione.

Non so se è per questa solitudine, peraltro da me ricercata, senza, però, ricordarne il vero motivo che adesso il mio pensiero ritorna a te, ai tuoi occhi così scuri, che ora sono chiusi, ai tuoi capelli ancora più scuri.

Un vecchio uomo una volta mi disse che si dice addio solo quando si muore, allora, addio Amore Mio.

L’unica cosa che riesco a fare è scrivere.

Come se fosse possibile sapere cosa fare in queste situazioni, perché tutti cercano una guida. Invece ci troviamo soli.

Sì abbiamo i consigli, i pareri a volte contrastanti e a volte no di parenti e amici, ma alla fine sei da solo a rischiare, a bruciarti le dita se le avvicini troppo al fuoco.

È una solitudine non voluta, non scelta, ma che ti colpisce in pieno volto senza chiederti il permesso prima e scusa dopo.

Cammino per casa come se non volessi arrendermi alla solitudine cercandomi qualcosa da fare, ma non riesco a trovare nulla se non il calpestio del pavimento.

Immediatamente dopo mi venne voglia di distruggermi, uscii in strada e fra le macchine cominciai a correre. Correre mi ha sempre aiutato. Quando arrivai in cima alla città, ebbi la sensazione di averla tutta sulla punta delle dita, poi guardai i miei piedi e il mondo crollò, notai che l’asfalto aveva lo stesso colore degli occhi di Felicita, neri come la pece, all’improvviso mi mancò il respiro, la saliva si bloccò in gola strozzandomi.

Fu una delle giornate peggiori della mia vita, non riuscivo ad alzarmi dal livello dell’asfalto che mi aveva fatto crollare. Sentii una macchina suonare alle mie spalle, fu come un risveglio improvviso e cercai un posto per riprendere fiato.

Durante gli ultimi giorni in città cercavo di stare meno tempo possibile in quella casa. Cercavo quanti più espedienti possibili per non restarci, ma era difficile e ci ritornavo sempre. Ciò che più mi pesava era l’apatia a cui mi ero costretto da solo. Perché realizzare le uniche possibilità che vedevo sarebbe stato ancora più doloroso.

Felicita odiava l’isola e soprattutto la casa dei miei nonni, per lei erano solo quattro mura anonime e inutili, non mancava mai di ricordarmelo. Innumerevoli volte ho provato a convincerla per trasferirci sull’isola, non si convinse nemmeno durante quel periodo in cui non sapevamo come andare avanti e le giornate erano un continuo trascinarsi fra le cartacce per raccogliere i soldi per bollette e affitto. Correggevo le bozze. Mi prendevo le rogne, gli straordinari, scrivevo gli articoli che altri snobbavano. Ci servivano più soldi e più tempo.

Nel momento in cui decidi di dividerti da un’altra persona le cose che sei disposto a sopportare aumentano assieme alle cose che cominci a pretendere. È una bilancia che raggiunge sempre lo zero, un perfetto equilibrio da una parte e dall’altra.

Pioveva dentro casa. Tutto era devastato e bagnato. Entrai nella mia camera, spogliai il materasso per metterlo ad asciugare. Abbassai la finestra e altra acqua cominciò a scendere. Chiamai al telefono il mio vecchio socio, ci mettemmo d’accordo sulla vacanza che avremmo dovuto fare, già, alla fine. Acqua a rivoli dal soffitto, passava attraverso il tetto e le finestre chiuse.

Solo tanta acqua che non smetteva di cadere.

Mi sedetti per accendermi una sigaretta… e pensare che non fumo da vent’anni.

Poi mi svegliai.

Che è successo?” Mi chiese Ginevra accanto a me.

Stanotte ho sognato di essere adulto in quei posti che ho vissuto da bambino, ma era tutto pieno d’acqua.”

Spiegati meglio.”

Ero qui sull’isola, a casa di mia nonna, ma i mobili erano nuovi, come quando mia nonna li aveva appena comprati. Poi mi sono girato e ho visto il panorama che vedevo da bambino quando guardavo verso la casa di Andrea, in città.”

E l’acqua?”

C’era acqua ovunque. Scendeva dal soffitto, saliva dal pavimento. Sembrava che anche le pareti sudassero. Era come se quei posti in cui avevo vissuto erano destinati ad affogare.”

Passai, ancora una volta, una delle giornate peggiori della mia vita, sentivo un continuo peso allo stomaco. Respiravo a fatica e mi sembrava di riuscire a sentire nel mio cervello ogni singolo battito di cuore. Ginevra nonostante non riuscisse a immaginare come fosse possibile che un sogno potesse scuotere così da far stare male per un’intera giornata, mi fu vicina, si prese cura di me. Eravamo due bambini in casa, io e Santiago.

Non ti ho mai detto che ti amo, per il momento, però, posso dirti che va tutto bene, anche perché mi manca la forza di innamorarmi ancora e mi dirai tutte le cose che mi hai sempre detto come la vita che è una sola e ricomincerai a pensare che non ti ami.” Glielo dissi a fine giornata, mentre i suoi occhi stavano per chiudersi per la stanchezza. Appena tirai il fiato per quello che le avevo detto, lei sbarrò gli occhi, ma non disse nulla.

Fece solo quello, riaprì gli occhi e restò a guardarmi. Rimanemmo a guardarci fin quando non crollammo per il sonno.

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Clicca qua per il prossimo capitolo: U come Umiliarsi.

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Noise

Sono Noise, il rumore. Sono il battito del cuore e l'affanno del respiro. Sono il ticchettio che ti tiene sveglio la notte. Sono il ronzio che ti perseguita assieme all'afa estiva. Sono il disturbo di frequenza mentre cerchi la tua stazione radio preferita. Sono i tuoi passi che battono sull'asfalto quando vuoi stare da solo. Il rumore ha un colore e una voce, la mia.
Lasciatevi andare alla brezza del mare, perché il rumore delle onde è forte.
Ho una casa o meglio un club e puoi trovarmi là: noisclab@gmail.com

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