Alfabeto ESPERIMENTI LETTERARI

Alfabeto – Parte I – F come Forse

Scritto da Noise

Se quella che sta per cominciare fosse semplicemente una storia, sarebbe semplice spiegare di cosa si tratta. Ma questo è un viaggio da una costa all’altra attraverso le 21 lettere dell’alfabeto. Un viaggio diviso in tre parti, ogni parte “conta” sette lettere.

In fin dei conti è uno schema, un adattamento a uno stile di vita: la paura di non riuscire più a mettere un piede dopo l’altro.

Alfabeto

Parte I – Partenza

F come Forse

 

La brezza del mattino mi teneva compagnia, la caffeina smorzava la sonnolenza dell’ultimo risveglio faticoso. Stava per cominciare un altro mese ed io sempre lì, alla fermata del pullman. Mi piaceva quel lavoro, facevo poco e mi bastava. Non avevo tante pretese. Mi sedevo davanti al mio computer, ricopiavo appunti o al massimo facevo qualche fotocopia. Solo che l’unico mezzo che potevo permettermi era il pullman e ogni mattina mi toccava aspettarlo poco dopo l’alba. Quando arrivava il pullman, avevo già il biglietto in mano. Salivo, convalidavo e mi sedevo.

Ormai era diventata routine, una routine che quel giorno sarebbe stata stravolta.

Sul sedile accanto al mio trovai un giornale, forse qualcuno distratto l’aveva dimenticato, lo presi e cominciai a leggerlo.

“Biglietto, biglietto, prego!” Il controllore cominciò a girare per i sedili e quando arrivò a me buttai la mano in tasca per prenderlo, solo che non lo trovai lì dove lo avevo lasciato.

“Biglietto, biglietto prego!” Rincarò la dose e io non sapevo che fare.

“Forse questo è il tuo biglietto?” Una voce femminile e una mano apparvero accanto al controllore.

“F-forse!” Risposi provando a staccare lo sguardo da quelle dita così generose.

“Era caduto a terra quando hai preso il giornale”.

“Ringrazia la signorina.” Disse il controllore fra i denti prendendosi anche lui la comodità del tu.

“Grazie!”

“Figurati.”

Finalmente potei dare un volto a quelle mani e una bocca a quella voce, però, appena lo feci, il mondo attorno a me sembrò vacillare. La prima cosa che mi colpì di Felicita fu il suo sorriso. Non sapendo che fare ricominciai la lettura del giornale. Si sedette accanto a me e cominciò a guardarmi leggere.

“Perché ti nascondi?” Mi chiese abbassando col dito le mie difese.

“Non mi nascondo!” Le risposi in un sol respiro.

“Invece sì. Mi chiamo Felicita.”

“Nome originale.”

“Non per la mia famiglia!”

Ripresi il giornale, per far finta di leggere.

“A questo punto, di solito ci si stringe la mano!” Vidi con la coda dell’occhio che mi tendeva la mano. Mi chiedeva un contatto? Non seppi che fare e mi limitai a fissare di nuovo le sue dita, che stavolta si tendevano verso di me.

“Su, non è difficile.”

“Bruto!” Con un tocco le strinsi le dita e ritornai al giornale.

“Visto che non era difficile?”

Non sapendo cosa rispondere rimisi il giornale davanti agli occhi.

“Senti io fra poco devo scendere, posso lasciarti il mio numero?”

“Per fare cosa?”

“Non so. Un pranzo, una cena, un caffè. Scegli tu!”

“Come vuoi tu!”

Buttò la testa nella borsa e ne uscì con una matita fra le dita. Strappò un pezzo di carta dal giornale, ci scrisse un numero e me lo passò.

Si alzò, premette il pulsante per prenotare la fermata e dopo due minuti era giù dal pullman. Mi affacciai dal finestrino, la vidi salutarmi con la mano ed io le risposi con un cenno.

Poi la chiamai per un caffè, il nostro avvicinarci cominciò da lì. Eravamo amici. Cominciammo a passare del tempo assieme, tanto tempo assieme, talmente tanto che la prima volta che facemmo l’amore ci accorgemmo che non dovevamo spogliarci per essere nudi uno di fronte all’altra.

Quella notte sognai mio padre. Era seduto nel salone della casa in cui ero cresciuto. Era lì che leggeva un libro. Nel sogno avevo la sensazione che leggesse da un tempo indefinito. Ricordo la copertina del libro. C’era un uomo in primo piano chiuso nel suo cappotto lungo mentre apriva un ombrello sopra la sua testa. Quell’uomo era solo, dietro di lui c’erano delle coppie, sembrava che osservassero la sua solitudine e che ne ridessero. Il titolo del libro era nascosto, le pagine vuote. Ma la copertina continuava a dirmi: siamo soli assieme!

Mi svegliai di soprassalto con la tachicardia, indossai l’unico paio di scarpe che avevo con me e scesi lungo le scale che mi portarono di nuovo in città. Comprai un pacchetto di sigarette, mi sedetti sulla panchina più vicina e quando finì la seconda sigaretta presi un paio di caffè da asporto e risalì da Felicita, Spacciandomi per romantico.

Spostammo alcuni suoi libri sulla scrivania e ci sedemmo uno affianco all’altra.

Raccontami un po’ di te.” Mi disse Felicita senza troppi preamboli.

Fino a poco tempo fa mi definivo di sinistra. Cantavo in mezzo alla strada, con gli amici:“Bandiera Rossa trionferà…” Però poi di Domenica mi trasformavo e cantavo: “Alleluja, Alleluja.” Ero uno degli ultimi a entrare e uno dei primi a uscire, non volevo assolutamente farmi vedere da qualcuno del centro sociale che, malauguratamente e per puro caso, si fosse ritrovato a passare per di là. In chiesa non mi facevano tante domande, soprattutto i miei genitori, convinti di una mia fede spropositata come altri ragazzi della mia età, perché all’epoca andava di moda essere estremisti da una parte o dall’altra e mi vergognavo perché non potevo stare dalla parte che volevo io.”

Non ricordo tutte queste cose, eppure siamo quasi coetanei.”

Mia madre, una fervente cattolica, praticamente mi costringeva a forza di ricatti a entrare lì e, per via della mia bella voce, facevo parte del coro da quando lei si era accorta che ero in grado di memorizzare melodie di canzoni di cui sapevo e capivo a malapena le parole.”

C’è qualcosa che le madri non ti possono obbligare a fare?”

Lì cominciai a indossare vestiti sobri e camicie bianche occuparono il posto alle magliette con Che Guevara e, conformandomi a idee clericali, preferii andare a Lourdes anziché restare in città a fare compagnia ai miei amici con l’Eskimo.”

E non potevi ribellarti?”

Ho sempre vissuto in funzione degli altri, impostando la vita su ritmi altrui, mi sincronizzavo sugli orari delle altre persone per illudermi di non vivere da solo. Per non inciampare nella vita bisogna imparare a osservare negli occhi dei passanti il proprio riflesso, basarsi su quelli delle persone più vicine per capire dove ci portano i sentimenti.”

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Clicca qua per il settimo capitolo: G come Ginevra.

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P.S. L’immagine in copertina è un’opera di street art che si trova ad Alzaia Naviglio Grande (MI)

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Noise

Sono Noise, il rumore. Sono il battito del cuore e l'affanno del respiro. Sono il ticchettio che ti tiene sveglio la notte. Sono il ronzio che ti perseguita assieme all'afa estiva. Sono il disturbo di frequenza mentre cerchi la tua stazione radio preferita. Sono i tuoi passi che battono sull'asfalto quando vuoi stare da solo. Il rumore ha un colore e una voce, la mia.
Lasciatevi andare alla brezza del mare, perché il rumore delle onde è forte.
Ho una casa o meglio un club e puoi trovarmi là: noisclab@gmail.com

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