Cronache di uno Studente Fuori Sede ESPERIMENTI LETTERARI

Cronache di uno Studente Fuori Sede. Capitolo 9: Santi e THC. Parte X: Rabbia Folle

Scritto da Rorschach

“Cronache di uno studente fuorisede” è, fra le altre cose, un esperimento narrativo. La scrittura non è lineare, le frasi sottolineate indicano i pensieri che mi son balenati in testa, quelle in grassetto sono relative alla mia parte razionale e quelle in corsivo alla mia parte emotiva. Il risultato potrebbe sembrare strano e un po’ schizofrenico. Beh, lo è.
Se non hai mai letto queste Cronache inizia qua, se invece ti sei perso la Saga di Daniela inizia da qua.

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Andrea è entrato nella mia vita e ho mostrato la parte peggiore di me troppo presto, dopo aver passato una nottata a dir poco “strana” e aver scatenato la sua metamorfosi abbiamo iniziato a convivere in modo pacifico e abbiamo iniziato a legare bene. Da qualche giorno si è aggiunto a noi un altro coinquilino e tutto sembra possa solo far peggiorare le cose. Nelle ultime puntate ho disperatamente provato a far trovare una ragazza ad Andrea, ovviamente senza successo. In compenso ho ottenuto una lite con lui che l’ha spinto a tornar a casa prima. Al mio rientro trovo una decina di ragazzi e la situazione si fa più calda del previsto con Julian che sembra abbia tutta l’intenzione di farmi passare una brutta serata. La lite prende una piega inaspettata e scopro che Andrea ha provato a convincere gli altri ragazzi a darmi una lezione. Adesso lui e Lukas sembrano molto più amici di prima e questo mi preoccupa non poco. Ho provato a riavvicinarmi ad Andrea e Lukas invitandoli con me a cena fuori con altre sette ragazze, ma senza successo. In compenso ho avuto una serata piacevole con Bejun che poi s’è trasformata in qualcos’altro di meno piacevole.
Ho poi provato a farmi perdonare dalla cinesina invitandola a casa per una cena a lume di candela. Ovviamente qualcosa va storto e sospetto che i miei coinquilini abbiano organizzato un piano per farmi fallire. Dopo aver scoperto la strategia utilizzata i miei dubbi si riducono ad un solo sospettato: Lukas.
Nell’ultimo episodio ho mandato fuori di casa Lukas con una semplice denuncia e scopro, con grande amarezza, che dietro ogni piano e ogni congettura c’è la mente di Andrea. È stato lui ad aver suggerito a Lukas alcuni scherzi da farmi, tra cui alcuni di cui non ero ancora a conoscenza. Tutto questo mi ha lasciato decisamente sconvolto, ogni certezza di amicizia nei suoi confronti va a farsi benedire e adesso tocca a lui sparire dalla mia vista. Nel modo peggiore possibile.

 

Capitolo 9: Santi e THC

Parte X: Rabbia Folle

 

Andreeeeeaa?!?

La voce rimbomba per tutto l’appartamento strisciando da un muro all’altro. È la mia.

La camera della porta del mio coinquilino si apre, il neon d’emergenza emette un debole bagliore azzurrino nel corridoio.

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Lacrime calde mi rigano le guance: “Le voci, Andrea… Le voci. S-s-sono ovunque.”
Ho uno scatto col capo e lo sguardo si poggia sul pavimento. Inizio a far tremare le mani sul volto afferrandomi la faccia.

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Posso sentire solo i miei passi emettere tocchi pesanti sulla superficie fredda. Abbasso lo sguardo e la osservo: è un marmo bianco attraversato da vene di basalto la cui maglia si infittisce sempre di più man mano che cammino.
Sono da solo.

 

—————— Qualche giorno prima ——————

 

Sono steso a letto e non ho idea di come fare. Voglio Andrea fuori dalla mia vita e voglio farlo star male, ma non so a cosa pensare. Neanche la più piccola idea mi balza in testa.

“Andrea è così pieno di punti deboli che non ne ha nessuno.
O meglio, i suoi punti deboli sono già stati sfruttati la nostra prima sera insieme. D’altra parte adesso ci conosce troppo bene e ogni nostra strategia verrebbe ricondotta a noi in 0.2 secondi.
Che facciamo?
Qualche scherzo?
Sarebbe ridicolo.
Qualcosa di fisico? Picchiamolo a sangue.
Sarebbe legalmente un problema.
Qualcosa che rigiri la legge contro di lui, allora?
Non andrò in giro a comprare droga solo per mettergliela nella tracolla universitaria.
Mmmhh.
Merda. Non mi viene in mente niente.
Mi sa che all’improvviso sentite la mia mancanza, eh?
Tu stai zitto. Questa volta si fa come dico io.”

Andrea è, paradossalmente, intoccabile. Lui, così pieno di paure, difetti, fobie e inadeguatezze, è, allo stesso tempo, abbastanza intelligente da capire l’ovvio: semmai dovesse succedergli qualcosa sarebbe colpa mia. Quella è la sua sicurezza e la sua forza.

Non so che fare.

thinking loki

Vado a lezione, pranzo, bevo uno spritz con degli amici e provo a studiare qualcosa. Non c’è niente da fare. Per tutto il giorno non faccio che escogitare piani e strategie, qualcosa che lo possa mandar via.

E ci riesco. Me ne vengono in mente parecchi, alcuni a lungo termine che mi renderebbero totalmente innocente, considerando relativi alibi costruiti su misura.
Eppure tutto questo non va bene.

Manca quel qualcosa in più, quel tocco freddo, quella sensazione di brivido che vorrei mi attraversasse la schiena e che mi faccia sentire psicotico al punto giusto.

Direi che dividere la propria personalità in tre parti diverse è già un bel punto d’arrivo.
Sta’ zitto.
Deve andar via.
Ma deve sapere che siamo stati noi.
Deve avere paura.
Deve star male.
Ma… Come?!?

Torno a casa per cena, è sabato e tutti i miei amici universitari sono tornati a casa nel weekend. Padova senza i fuori sede è una città morta.

Mangio quello che ho nel frigo e dentro di me penso ancora, ragiono, ragiono e ragiono. Niente, ancora una volta. La frustrazione cresce dentro di me, così come il nervosismo.

Dopo qualche minuto sento Andrea rientrare in casa: sono le 8 e dieci. È appena tornato dalla messa.
Mi raggiunge in cucina per prepararsi un’insalata. Rimaniamo entrambi in silenzio lasciando parlare soltanto le posate. Poggia la coppa sul tavolo e ci versa della rucola, dell’insalata verde, pomodori, tonno e mais. Mischia tutto con olio, aceto e un pizzico di sale. Poi afferra la coppa e se ne va, diretto verso camera sua.

È quasi uscito dalla cucina quando lo interrompo senza sollevare lo sguardo dal piatto: “Andrea.”
Si blocca e si volta appena: “Dimmi, Anon.”
Io: “Quanto ti dispiace per quello che è successo…? Ci ripensi qualche volta?”
A: “Certo che ci ripenso. Come potrei non farlo?”
Io: “E a cosa pensi?”
A: “Penso che Lukas se lo sia meritato.”

Voltagabbana del cazzo.
Falso pezzo di merda.

Io: “Vorrei sapere tu che avresti fatto nei miei panni.”
Si volta completamente e fa due passi verso di me: “Io? Io non avrei fatto proprio nulla. C-c-cioè, avrei aspettato il corso degli eventi.”

Certo, sai quante belle risate vi sareste fatti con i miei preservativi bucati?
Stronzo.

Io: “Andrea, Andrea, Andrea… Forse te ne sei dimenticato, ma Lukas mi aveva bucato i preservativi.”
I suoi occhi si spalancano appena: “Ah, già. È vero…”
Tende piano i muscoli del collo e prova ad abbozzare un sorriso: “Alla fine mi sembrava che tu e Bagun fo-”
Io: “BEJUN. Non Bagun…”
A: “Ah, sì. Giusto… Insomma, sembrate comunque una bella coppia!”
Socchiudo gli occhi squadrandolo: “E con questo che vorresti dire?”
Inizia a sorridere: “Magari sareste stati bene insieme! Ah-ah-ah!”

Contraggo la mascella e lo fulmino con lo sguardo.

A: “Dai Anon, lo sai che scherzo! P-p-però comunque pensaci, magari sarebbe andata bene davvero! Le strade del Signore sono infinite! L’hanno detto anche oggi! Ahahah…”

Inizia a ridacchiare mentre quel suo presuntuoso sorrisetto mi entra in testa. Andrea è sicuro di sé e mi sbatte la sua derisione in faccia.

Mi sollevo e mi avvicino piano verso di lui, lo vedo interrompersi e ritrarsi leggermente impaurito.

Piccoli passi, fino ad arrivare a qualche metro da lui: “Sai Andrea, mi ha fatto sempre tanto sorridere questa frase.”
Sospiro abbassando il capo e increspando le sopracciglia: “Le strade del Signore sono infinite.
La voce è ridotta ad un filo e il mio timbro è rauco e tagliente: “Le strade del Signore saranno pure infinite, caro Andrea…”
Sollevo le labbra in un ghigno scoprendo i denti: “Ma anche quelle del Diavolo non sono poi così male.”

La sua faccia diventa bianca e lo vedo portarsi una mano al petto stringendo qualcosa tenuto nascosto dalla maglia: il suo crocefisso dorato.

Ma guarda un po’…

Inizio a ridere abbassando la mascella: “Ahehaheheaheeee… Pensaci bene vecchio mio.”
Si volta e torna in camera sua, lo sento aprire la porta.
“PENSACI BENE!!! AHEAHEAHEAHEEEEEHH!!”
La richiude sbattendola forte e sento la chiave fare due giri sigillandosi.

Ritorno al tavolo e faccio un sorriso appoggiandomi sullo schienale della sedia: ho appena ricevuto l’illuminazione che cercavo. Non so ancora direttamente come mandarlo via, ma forse ho capito come arrivarci.
Chiudo gli occhi e ripenso anche alla boccetta rubata a Lukas qualche giorno prima. L’etichetta parla chiaro: 2C-B.

Se non sono in grado di arrivarci normalmente, forse ce la farò con un aiutino.

7cc

—————— Quella notte ——————

Cammino fra le ombre mentre fiaccole dalle fiamme azzurre e rosa danzano spasmodiche nel buio.

Posso sentire solo i miei passi emettere tocchi pesanti sulla superficie fredda. Abbasso lo sguardo e la osservo: è un marmo bianco attraversato da vene di basalto la cui maglia si infittisce sempre di più man mano che cammino. Alla mia destra e alla mia sinistra lunghi velluti rossi coprono vetrate talmente alte da perdersi nell’oscurità sopra di me. Sono da solo.

Vado avanti, davanti a me il corridoio sta per giungere alla fine. Il pavimento ai miei piedi ormai è quasi totalmente nero, lascio il bianco alle mie spalle.

Mi avvicino con sicurezza alla gigantesca porta che mi si para davanti e la osservo fermandomi a qualche metro da lei. Il legno è antico, con venature d’ebano che irrorano una superficie intarsiata e scolpita. Bassorilievi rappresentanti scene di guerra e dolore sono racchiusi in esagoni perfetti, occupando interamente le facciate piane.
Donne vengono impalate con rami circondati da filo spinato, bambini sono sodomizzati da bestie squamose dalle ali marce, uomini a cui son state strappate le braccia si rincorrono nel tentativo di strapparsi la gola a morsi a vicenda.

Osservo quelle rappresentazioni con curiosità. Non ho paura.

Gli stipiti sono decorati da due lunghe colonne doriche intagliate nel legno: si estendono fino alla trave superiore dal cui centro sporge un angelo bellissimo. Il legno del suo volto è chiaro e pallido come l’avorio, il viso è ovale, mento tagliente e zigomi spigolosi, occhi acuminati scrutano lo spazio davanti a lui e boccoli candidi spiovono sulla sua fronte e sulle sue spalle.

È meraviglioso, severo e terribile al tempo stesso.

Poggio la mano sulla maniglia d’oro. Il metallo è caldo e mi invita all’interno.

Spingo la porta in avanti: inizia ad aprirsi piano e senza alcun tipo di rumore. Scivola leggera sul marmo nero pure essendo incredibilmente alta, spessa e sicuramente pesante. Faccio qualche altro passo e sono dentro: è un salone vittoriano. Davanti a me due poltrone in seta lucida rossa sono rivolte verso un enorme camino nero nel quale bruciano senza emetter suono travi in legno e robusti ceppi di quercia.

Mi spingo all’interno lasciando che la porta si richiuda dietro di me. Sotto i miei piedi un gigantesco tappeto rosso ricopre tutta la superficie. Sollevo lo sguardo a destra mentre cammino verso le poltrone e lo muovo percorrendo tutto il profilo della sala: decine di gargouille neri e grigi spalancano le fauci e le ali verso l’interno. Orbite cave, becchi aperti, lingue biforcute e artigli sfoderati in una stasi dinamica mi minacciano dalla loro altezza.

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Arrivo di fronte al camino e mi siedo su una poltrona osservando le braci pulsare angosciosamente davanti a me.

Giro la testa inclinandola su un lato: sull’altra poltrona c’è un uomo. Ha le gambe accavallate e sorseggia qualcosa da una coppa di vetro. Indossa una vestaglia in velluto rosso dai bordi setosi color zaffiro. Ruota lo sguardo verso di me: è Jack Nicholson.

Hi Jack

“Benvenuto, Anon.”

Una scarica di orrore e paura si diffonde nel mio stomaco, sento la pelle accapponarsi. Si strofina piano i palmi delle mani sul morbido tessuto.

“Lasci che mi presenti.”

Sorseggia dal bicchiere schioccando le labbra e riportando lo sguardo sulle fiamme nel camino.

“…Io sono Satana.”

Ritraggo il mento senza riuscire a separare i miei occhi dal suo volto. Ho la gola secca e gli occhi mi bruciano forte. Dopo qualche secondo di silenzio vedo le sue labbra aprirsi di nuovo:

“Parliamo.”

Mi sollevo con la schiena. Sono sudato e il cuore mi soffoca con il suo battere frenetico. Le mani mi afferrano le ginocchia con forza. Ho l’affanno e mi sento come se avessi corso fino ad aver la nausea. La bocca è acida e stopposa.

Mi metto in piedi velocemente e vado in bagno oscillando da destra a sinistra. Mi inginocchio buttandomi per terra abbracciando il gabinetto. Dopo un istante la mia gola esplode in un getto marrone mentre sento la trachea contrarsi per far salire liquido gelatinoso.
Dopo qualche minuto mi alzo in piedi e mi sciacquo la faccia. Occhiaie nere mi scavano il volto, vene scure strisciano sotto la pelle circondandomi gli zigomi e labbra viola pulsano davanti a me.

Mi osservo in silenzio. Dopo qualche secondo mi calmo e la mia mente si spegne.

Perfetto.

Inizio a stringere il bordo in ceramica del lavandino fra le dita, sorrido e sento gli occhi irrorarsi di sangue e spalancarsi mentre la mandibola si abbassa da sola.

Ora so cosa devo fare.

demon wow

—————— Il Mattino Seguente ——————

Sto facendo colazione mentre il mio sguardo nero si perde nella fantasia della tovaglia. Andrea è a fianco a me e sento il suo sguardo scrutarmi per interi minuti.

Ricorda la strategia.
Agli ordini.
Non funzionerà mai.
Ma smettila.
MAI.

Per un quarto d’ora non faccio altro che mantenere la stessa espressione: ho la mascella contratta e gli occhi persi nel vuoto. I gomiti sono appoggiati sul tavolo mentre con una mano faccio girare il cucchiaino nella tazza di tè. Il rumore del metallo contro la ceramica si snoda nel silenzio per interi minuti.

Andrea prova a parlarmi: “Anon?”

Lo ignoro. Mantengo lo sguardo perso nel vuoto.

“…A-A-Anon?”

Resto in silenzio, ancora. Gli occhi sbarrati sul tè si spostano sul suo volto. Non gli dico nulla, lo fisso e basta.

“C-c-c-che diavolo ti prende?”
Il tempo passa. Lo vedo provare a distogliere lo sguardo, ma io continuo.
“…A-A-Anon, dai. Ah-ah! C-c-cosa ti prende? Dai…”

Ho uno scatto: afferro la tazza e inizio a bere. “Sto bene Andrea. Mi sento solo molto stanco, sono mesi che dormo male.”
L’atmosfera si scioglie: “Oh… Come mai?”
Soffio leggermente spostando ellissi tenui di vapore bollente.
“Non ne ho idea.”

Prima di alzarmi infilo la mano in tasca e tiro fuori delle pillole infilandomele velocemente in bocca: è vitamina C, ma Andrea non lo sa.

“Che cosa prendi?”
Ingoio le pillole e lo guardo: “Medicine.”
“Oh. Non credevo ne prendessi… Insomma, mi sembra tu stia bene…”
Gli sorrido: “Visto? Funzionano.”
Andrea si fa più curioso: “Si, ma insomma v-”

Sbatto la tazza nel lavandino e inizio a gridare: “NE HO BISOGNO! NE HO BISOGNO, CAZZO! LASCIA STARE LE MIE MEDICINE!!”
Mentre grido tendo il collo e spalanco gli occhi tendendo le braccia lungo i fianchi.
“FATTI. I. FATTI. TUOI.”

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La sfuriata dura qualche secondo, sento la pelle del viso bollente e il cuore che batte.
Vedo Andrea farsi indietro col busto ponendo i palmi fra di noi: “V-v-va bene Anon, va bene. Calmo.”

Bene…
A piccoli passi.

——————

Da quel momento in poi io e Andrea terminiamo ogni tipo di comunicazione. Ogni volta che prova a farmi una domanda o a dirmi qualcosa interrompo in un gesto meccanico quello che faccio, poi ruoto la testa lentamente e lo guardo rimanendo in silenzio. Questo metodo mi fa presto ottenere i frutti desiderati: Andrea inizia a non parlarmi più e mi evita come la peggiore delle malattie infettive dopo il vaiolo.
Quando sono in salone lui rimane in cucina, quando sono in cucina lui resta in camera, quando resto in casa lui prova ad andar via per tutto il giorno. È tutto claustrofobicamente assurdo e a volte mi diverto e gli faccio saltare la cena.

Indosso la mia maschera da cavallo e mi siedo sui talloni sulla sedia. Guardo nudo la televisione scegliendo un canale disturbato e resto in quella posizione interi minuti facendomi i cazzi miei sul mio smartphone per poi far finta di guardare la tv non appena lo sento avvicinarsi.
Quando lo sento entrare ruoto la testa verso di lui e resto a fissarlo finché non se ne va.

Questa situazione, snervante per lui e ridicola per me, si protrae per due settimane, durante le quali approfitto delle varie assenze di Andrea per procurarmi tutto quello di cui ho bisogno per le successive tappe del mio piano.
Faccio una chiamata ai miei e, da buon meridionale, mi faccio spedire un pacco di cibo. Lo apro davanti al cherubino, tirando fuori pasta, mozzarelle, sughi e taralli… ma non gli mostro tutto.

Pacco

C’è qualcosa che mi ero fatto appositamente spedire: il mio buon amplificatore bluetooth Bose.
Avrà una bella parte nel mio piano.

Bose

Anche se quello che ho in mente mi era sembrato semplice in realtà non lo è: far funzionare Audacity, unire effetti presi da vari dischi e tracce audio di YouTube e sovrapporre il tutto è un lavoro più complesso del previsto.

Non so… Potrebbe funzionare.
Nessun ‘potrebbe’… Dobbiamo provare.
E gli dai ancora ascolto?!?
Che intendi fare?

È sera e vado in camera a dormire, sotto il mio letto del peperoncino. Metto la sveglia alle due di notte e mi preparo. Attacco con tonnellate di patafix e scotch il Bose dietro la porta. Lo spessore va bene: una volta che la maniglia si abbassa per far entrare qualcuno ecco che spinge il pulsante dell’accensione, interrompendo immediatamente il suono. Per questa sera scelgo qualcosa di già fatto, mandando in loop una sezione di una traccia audio da YouTube tagliata con Audacity , tra 1.25 e 1.35.

Non voglio pensare a niente di complesso, voglio solo testare la mia strategia.

Il telefono è sotto il cuscino, faccio partire il suono aumentando piano il volume. Nel frattempo mi stendo sul letto contorcendomi e inizio a lamentarmi mentre i sussurri della traccia audio strisciano sempre più rumorosi nella camera. Dopo qualche minuto grido piano, le mani sporche di peperoncino mi strofinano sul volto, inizio a piangere e gli occhi si infiammano.

Le mie grida si fanno sempre più forti, mi lamento, gemo e fingo un pianto disperato.
Alzo il volume della traccia audio. Il sottofondo è opprimente e angosciante, la camera completamente al buio.

Dopo venti minuti ottengo la reazione sperata: sento la maniglia della porta abbassarsi piano.
Non appena arriva in basso ecco che la porta viene spinta in avanti e, nello stesso istante, il pulsante dello spegnimento viene schiacciato. Il suono si interrompe immediatamente, io continuo a gemere piano sussurrando debolmente: “Lasciami andare… T-t-t-ti prego… Lasciami in pace…”
Singhiozzare mi viene quasi naturale visto che sto quasi per scoppiare a ridere immaginandomi la faccia di Andrea.

La luce viene accesa dal mio coinquilino: è sulla soglia e mi guarda. I suoi occhi sono spalancati e la testa infossata nelle spalle. Lo sguardo serio, impaurito, le labbra chiuse e le sopracciglia arcuate in un sguardo preoccupato. Sta tremando.

Balbetta: “C-c-c-che ti succede? S-s-sentivo dei rumori.”

Mi risollevo con la schiena guardando fisso davanti a me: “R-r-rumori. Rumori…”
Sbatto piano i denti: “R-r-rumori, Andrea?”

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Ruoto la testa alla mia sinistra nel movimento più lento e meccanico che posso. Lo fisso guardandolo negli occhi e tenendoli spalancati: li sento bruciare e lacrimare ininterrottamente. Lo guardo mostrandogli le mani: “A-A-Andrea…”
Contraggo le dita in piccoli spasmi, si chiudono di scatto e tremano piano.
“Non… Non… Non so c-c-che fare… N-n-non si fermano…”

Andrea ha le gambe incrociate e le spalle chiuse. Non smette di tremare. La paura si può quasi tagliare a fette e la sua voce è tenue e vacillante: “C-che cosa non si ferma?”
Lacrime calde mi rigano le guance: “Le voci, Andrea… Le voci. S-s-sono ovunque.”
A: “A-A-Anon… I-i-io non so c-c-c-c-c…”
Potrebbe quasi mettersi a piangere: “V-v-vuoi che chiami qualcuno?”

Ho uno scatto col capo e lo sguardo si poggia sul pavimento. Inizio a far tremare le mani sul volto afferrandomi la faccia. Dopo qualche secondo mi blocco e incrudisco la voce smettendo di muovermi e contorcermi.

“Andrea. Mi dispiace… S-s-sto bene.”
La mia voce ritorna su un timbro pacato: “Sto bene, davvero. Era solo un incubo.”

Il mio coinquilino scuote la testa facendo oscillare i capelli paglierini: “No, Anon… No. C’erano dei rumori strani… li ho s-s-sentiti anche io. E poi…”
Io: “E poi…?”
A: “Stai… beh, stai piangendo… N-n-non ti ho mai visto così…”

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Chiudo gli occhi con rassegnazione sfoggiando un sorriso buono: “Non ti preoccupare, a volte succede…”
Sospiro: “È che sto avendo incubi sempre più frequenti.”
La sua voce trema: “Non so Anon… Non so… Non sembra tu stia bene. F-f-f-forse dovresti parlare con qualcuno.”
Non sa fino a che punto spingersi: “M-m-magari possiamo andare insieme domani… ti posso accompagnare…”
Lo guardo socchiudendo gli occhi: “Che intendi dire?”
A: “B-b-beh, potremmo andare al Santo… Parlare con qualcuno… Da quanto tempo va avanti questa storia?”
Si gratta le braccia nervosamente lasciando segni rossi sulla pelle bianca.

Ormai sei mio…

Gli rispondo gemendo piano: “Non ti preoccupare Andrea, davvero. Sto benissimo.”
Rido nervosamente: “Non mi serve mica un prete! Ah-ah-ah! Qualche incubo capita a tutti, a volte.”
Sorrido dolcemente: “Sto bene, ho solo bisogno di dormire.”
Mi stendo di nuovo a letto abbracciando il cuscino e mostrandogli le spalle.
Lo sento rimanere lì ancora per qualche secondo per poi uscire dalla camera: “O-okay… Buona notte Anon.”

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Sto per scoppiare a ridere, ma mi trattengo: “Buona notte, Andrea. Per favore lascia la porta aperta.”
L’ultima cosa che voglio è che abbassi di nuovo la maniglia accendendo l’amplificatore così che una voce femminile registrata si metta ad urlare: “CONNESSO A NEXUS CINQUE.”

La luce viene spenta e il mio coinquilino se ne va. Lo sento chiudersi a chiave nella sua camera e sul mio volto un sorriso di cattiva soddisfazione mi solleva gli zigomi.

Ehehehehe…
N-n-non starà funzionando davvero…?
Pare proprio di si.

——————

Passa un’altra settimana. Per tutti e sette i giorni io e Andrea non parliamo. Neanche una parola. Quando il mio coinquilino non è in casa lavoro ancora alla traccia audio, rompo una bottiglia, un bicchiere e ne conservo i cocci.cocci

Per altre due notti mi sveglio e inizio a gridare e lamentarmi, mentre suoni di catene, lamenti, sussurri e voci si rincorrono nella mia stanza. Andrea non viene più a controllare quello che succede e si chiude ogni volta a chiave.

Non resta che terminare il piano, adesso.
L’audio è pronto…?
Sì. Dobbiamo solo fare un po’ di spesa.

Vado al supermercato e trovo tutto quello di cui ho bisogno: fegato, ketchup e mi concedo anche un piccolo tocco in più.

Brain

Dal Decathlon compro del filo da pesca.

Aspetto il giorno adatto e conservo fegato e cervello nascondendoli sotto il letto.
Ho bisogno di una notte di pioggia, controllo il meteo ogni giorno e aspetto. Investo anche in un altro amplificatore. È più piccolo e mi servirà per creare un effetto sonoro migliore.

coffee

Dopo un’altra settimana finalmente ho l’ambientazione che mi serve. La mia pazienza è stata ripagata con un bel temporale. La lunga attesa ha anche permesso al fegato e al cervello di iniziare a marcire per bene.

———— La sera finale ————

Dobbiamo preparare tutto nei minimi dettagli.

Correggo con del 2C-B qualcosa del cibo di Andrea: l’acqua in frigorifero, della salsa aperta, succo di frutta e qualunque altra cosa in grado di far sciogliere i cristalli marroncini di allucinogeno.
Torno in camera e chiudo la porta.
Dopo mezzora Andrea va in bagno e si assicura che non ci sia nessuno in cucina. Notata la mia assenza va lì. Lo sento prepararsi la cena. Poi torna in camera.

Perfetto.
Adesso tocca a noi.

Vado in cucina per mangiare qualcosa e terminare i lunghi preparativi del mio piano. Controllo la salsa di Andrea: l’ha appena usata per prepararsi della pasta.

Bene…
Mettiamo un po’ di musica?
Okay.

Lego maniglie di cassetti, ante e sportello del forno con del filo da pesca dopodiché attacco le altre estremità sotto il bordo del tavolo con del nastro adesivo.

I left alone, my mind was blank. I needed time to get the memories from my mind.

Nascondo per terra, dietro la tenda, il cervello intero e fegato tagliato a strisce. Lì vicino la busta piena di vetri rotti. Un odore aspro e marcio si diffonde insopportabile nella camera.

What did I see, can I believe, that what I saw last night was real and not just fantasy.”

Attacco con del nastro adesivo, sotto il bordo del tavolo, una bottiglietta di ketchup e un tubetto di dentifricio. Peperoncino a portata di mano. Il Bose è nascosto in alto dietro la cappa aspirafumo, quello più piccolino invece è rintanato dietro il frigorifero. L’effetto surround era stato testato ogni pomeriggio per tutta la settimana. Ho scelto le posizioni più sicure e in grado di rimbombare abbastanza bene nella stanza così da non avere una fonte distinta, ma un suono diffuso.

Non manca nient’altro.

Accendo il forno, collego gli amplificatori ai due cellulari, mi assicuro che le tracce audio siano esattamente nell’ordine prestabilito, mi guardo intorno e vado in bagno preparando una lavatrice.

Tra una decina di minuti, secondo i miei calcoli e mesi di vita in quella casa, dovrebbe saltar via la corrente.

Just what I saw, in my old dreams, were they reflections of my warped mind staring back at me.

Sono in camera, la porta è aperta e aspetto al buio.

‘Cause in my dreams, it’s always there…

Chiudo gli occhi e mi preparo al momento. I minuti passano silenziosi e sembrano durare un’eternità.

The evil face that twists my mind…

Finalmente accade: la lavatrice e il forno danno l’effetto sperato. Salta la corrente. Tuoni rimbombano all’esterno.

light off

…and brings me to despair.”

Spalanco gli occhi al buio e sorrido.

 

—————— Si comincia ——————

 

Faccio partire la prima traccia audio.

Andreaaaa!! Andrea puoi venire qua un secondo? Non capisco cosa sia successo.
Andrea!! Ci sei??
Andreeeeeaaa?!?!?

La voce rimbomba per tutto l’appartamento strisciando da un muro all’altro. È la mia.

La camera della porta del mio coinquilino si apre, il neon d’emergenza emette un debole bagliore azzurrino nel corridoio. Sono nascosto nell’ombra, all’interno della mia camera, e lo vedo passare davanti a me iniziando a gridare: “Credo sia saltata la corr-”
Faccio un passo in avanti e gli afferro il braccio guardandolo.
Sussurro: “Sssshh… Sta’ zitto.”
Restiamo entrambi in silenzio, la tensione mi attraversa il volto. Spalanco gli occhi e mi avvicino a lui.
Mi guarda incerto: “Ah, sei qua. Ho sentito che mi stavi chiamando.

Schiudo le labbra in una fessura sottile spostando i miei occhi verso la cucina: “Anche io.”

La mia voce ci raggiunge dalla fine del corridoio e il sangue si congela nelle vene:

Andreeeeaaa?!? Puoi venire per favore?

Il cherubino abbassa la mandibola, la sua pelle si sbianca in un attimo e gli occhi si spalancano. L’effetto è decisamente forte, persino io sento il battito cardiaco rallentare dentro di me facendo rizzare ogni pelo sul mio corpo.

“A-A-A-A-Anon t-t-t-t-ti p-p-p-p-prego. I-i-i-i-”
Lo ignoro.

Andrea?!? …Ho bisogno di te…

Sono davanti a lui e posso sentire il suo cuore fermarsi. La voce è forte, nitida e realistica… In casa, poi, non abbiamo niente che assomigli anche solo lontanamente ad uno stereo.

“Mi s-s-s-s-sento poco bene… M-m-m-mi g-g-g-gira la t-t-t-testa.”
Prova a divincolarsi, ma non lo lascio andare e gli rispondo titubante: “N-n-n-no. Devo capire se è vero o no… T-t-tu vieni c-c-con me.”

Gli stringo i polsi, nessuno dei due dice più una parola.

Andreeeeeaaa?!?!?

Mi incammino verso la cucina portandolo con me, la pioggia si scatena all’esterno e i nostri passi sono leggeri e incerti.

Devo parlartiiii!! Dai Andreaaaa!

Ci mettiamo quasi un minuto per fare dieci metri.

Peccato non avere a disposizione anche dei lampi con questa pioggia.
Pazienza.

Siamo nell’ingresso della cucina, la luce al neon illumina con intermittenza dalle nostre spalle una stanza vuota mentre ombre cerulee si allungano e si contraggono trascinandosi sul pavimento e arrampicandosi sulle pareti. Infilo la mano destra nella tasca, faccio partire l’audio dal telefono di riserva. Lentamente nella camera sinth distorti e scricchiolii ovattati di zampe d’insetto si diffondono, il volume aumenta gradualmente in modo impercettibile. L’amplificatorino fa bene il suo lavoro.
Ci avviciniamo ancora entrando nella camera.

AAAANDREEEEAA!! ALLORA VECCHIO MIO? MI RAGGIUNGI O NO?

Andrea mi afferra il braccio sussurrando a se stesso: “È un sogno, è solo un sogno… Per forza… Q-q-qua non c’è n-n-n-nessuno…”

Gli allucinogeni stanno aiutando.

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La mia mano interrompe nella tasca l’audio principale e fa partire il successivo. Adesso tocca a me.

Mi rivolgo al vuoto: “Siamo qua.”
Dopo qualche secondo la mia voce mi risponde. È distorta e diversa dalla mia:

Oooohh, vedo che ci sei anche tu allora…

Conosco le battute a memoria.

Io: “Che cosa vuoi da Andrea?”

Volevo parlargli…

Io: “Che intendi dire? L-L-L-Lui non c’entra nien-”

TACI! QUESTO LO FARAI DECIDERE A ME.

Io: “NO!! È UNA FACCENDA FRA ME E TE! FRA ME E TE! LUI NON C’ENTRA NULLA!!”

Un attimo di pausa, suoni grotteschi fanno tremare le pareti, arpe scordate pizzicano piano, risate di bambine si sentono in sottofondo. All’improvviso una voce inizia a bisbigliare parole incomprensibili aumentando l’intensità pian piano. Mi metto le mani fra i capelli gettandomi a terra e iniziando a strisciare sul pavimento: “NOOO! NON D-D-DI NUOVO!! AAAARRGHH…!!”

La mia stessa risata, resa più cupa e lenta, viene vomitata fuori dalla cassa, facendo tremare in una vibrazione metallica la cappa aspirafumo. La voce si distorce incupendosi ancora di più per poi velocizzarsi diventando acuta. Rumori di passi, fruscii e voci al contrario la accompagnano.

Mentre strofino per terra in preda alle convulsioni e gridando aiuto sollevo lo sguardo su Andrea: ha gli occhi persi nel vuoto e l’aspetto funereo.

Striscio sotto il tavolo e il suono si interrompe dopo un po’.

Avvicinati.”

“Andrea… AVVICINATI.”

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Il cherubino è in trance e non riesce a muovere neanche un muscolo. Tutto secondo i piani.

A quel punto la mia voce esplode in un growl rauco e deformato:

AVVICINATI!!!

Il mio coinquilino sta per mettersi a piangere e non riesce ancora a muoversi.

Merda.
Questo non l’avevamo previsto.

La registrazione va avanti, sbagliando ad indovinare la reazione.

Bene, bravo.

I rumori continuano: urla ovattate e risate riecheggiano in androni deserti, cigoli di porte e ruote di lettini d’ospedale si diffondono debolmente.

Io ti voglio, Andrea. Accogli il tuo unico Signore.

Afferro i fili di nylon e conto in mente il tempo che deve passare, poi li tiro facendo spalancare ante e cassetti nello stesso istante in cui la voce esplode accompagnata dal rumore di un vetro che si infrange:

ACCOGLIMI!!

Pentole e posate lasciate in bilico qualche minuto prima si riversano a terra non appena i pensili vengono spalancati.

“So che dentro di te c’è spazio per me… Io ti vedo Andrea…

Il growl ricomincia:

IO. TI. VEDO.
Sei sporco, marcio, ipocrita, violento e crudele.

Andrea risponde sussurrando: “Non è vero… non è vero…”
Un’altra cosa che non avevo previsto.

Sei mio e meriti di avermi. Ti amerò, figlio mio… perché tu lo sei. SEI MIO FIGLIO.

Approfitto della situazione continuando a lamentarmi da sotto il tavolo sbattendo le gambe e afferrando decine e decine di vetri nella busta e iniziando a spargerli per la sala e sopra il tavolo: il rumore di sottofondo copre tutto.
Mi strofino la bocca con del dentifricio e lo lascio colare sul mento e il collo.

Lasciami entrare dentro di te. Ti darò tutto quello che vuoi. Posso farlo…

Mi sporgo dal tavolo: Andrea sta piangendo e si tiene la faccia fra le mani.

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Sai che posso, l’hai sempre saputo.

È il mio momento: afferro velocemente il cervello e lo appoggio sul tavolo. Poi stringo manciate di strisce di fegato marcio e me ne metto una in bocca gettando le altre in giro. Mi sollevo aggrappandomi al bordo in legno, le mani sono unte e scivolose. Mi alzo in piedi oscillando e mi dirigo verso Andrea.

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La voce si blocca e ritorna normale, come lo è la mia normalmente, solo molto più cupa:

Ooohh, ma guarda chi è riuscito a riprendersi. Bentornato Anon… Racconta un po’ ad Andrea come ci si sente… Racconta un po’ com’è PROVARE. A. SFUGGIRMI.

Urla demoniache, ringhi animaleschi, carne strappata e fuoco che arde si diffondono nella camera mentre la voce riprende a ridere e ansimare nervosamente.

Mi avvicino: “A-A-A-Andrea… Ti… Ti prego…”
Vedo il suo sguardo emergere finalmente dalle mani: si posa sul tavolo e per terra. Il cherubino scuote la testa senza riuscire a staccare gli occhi dal tavolo. Il naso gli cola e gli occhi grondano lacrime calde di paura. Lo raggiungo afferrandogli le spalle: “Tu… Tu puoi…”
Mi metto davanti a lui, costringendolo a guardarmi: “Tu p-p-puoi salvaaaahhgg…”
In un conato di vomito lascio scivolare il fegato dalla bocca, alitandogli in faccia odore di carne putrefatta. Sento il pezzetto umido pendermi sulle labbra e poi scivolarmi sul mento: “Tu… Tu puoi salvarti…”

Andrea crolla a terra.

Non reggo più e inizio a ridere di gusto anche io, accompagnando le voci che ci circondano con cattiveria. L’angioletto inizia a gridare: “NOOO!!! NOOOO!! ANDATE VIA! VIA!!”

Ringhi, urla, chitarre in acuti infiniti distorti e il rumore della pioggia all’esterno ci circondano. La mia voce dallo stereo smette di ridere e continua a rimbombare dalle casse:

Se mi vuoi, Andrea… Devi fare solo una cosa…

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La voce continua e io torno strisciando sotto il tavolo mettendomi un po’ di peperoncino sulle mani e strofinandomi gli occhi.

Devi mangiare un pezzetto di me… avvicinati al tavolo e MANGIAMI. FAMMI TUO E IO TI FARÒ MIO.

Quella richiesta si ripete ancora per un po’, per poi lasciare spazio al sottofondo, a questo punto non avevo bene in mente come far andare avanti la registrazione e quindi avevo optato per altre risate demoniache, grida, parole sussurrate al contrario e bambine che cantano filastrocche da film horror. Il tutto su fruscii, passi, vento e cantilene ossessive provenienti dal frigorifero.

Andrea resta ancora lì per terra, tremando e piangendo.

Non possiamo aspettare per sempre, tra un po’ la registrazione finirà.
C’è una bella dose di roba…
Sì, okay, ma non è certo eterna. E comunque Andrea non sembra essere in grado di rimettersi in piedi.

Prendo il ketchup e mi infilo il beccuccio nel naso, dopodiché mi sparo una bella dose di quella bella salsa rossa acida su per una narice. Inizio a strofinare verso di lui facendo cadere rumorosamente delle sedie.

Dopo qualche secondo gli afferro la caviglia. Andrea si tira su con la schiena iniziando a strofinare sul pavimento verso l’uscita della cucina. La camera è semibuia, ma il neon in corridoio mi illumina il volto. Ho gli occhi rossi e le guance rigate di lacrime, mi mordo le labbra mentre mi sforzo a tenere le palpebre aperte, il bruciore è insopportabile.

“VÀ VIA! AAARGH!! SPARISCI! ALLONTANATI DA ME!! VÀ VIA! VÀ VIAAAA!”
Mi avvicino sempre di più, lo posso sentire tremare. L’odore di carne marcia è asfissiante.
Arrivo a mezzo metro dal suo viso, i miei occhi sono rossi e i suoi spiritati, con pupille così grandi che sembra abbia preso mezzo kilo di allucinogeni.

L’ha fatto. Glieli hai dati tu.
Ah, già.

Mi guarda ansimando affannosamente, la pelle è ridotta ad un guscio pallido e incolore, le mani gli tremano e… me ne accorgo troppo tardi: sono sul bagnato. Sto strofinando su del piscio. Andrea se l’è fatta addosso.
Faccio finta di niente e apro gli occhi sorridendo freddamente, gli occhi sono incandescenti e mi lacrimano ininterrottamente. Abbasso la mandibola facendo tremare la voce. Inclino la testa di lato mentre una goccia scarlatta inizia a colarmi dal naso e dico parole senza senso con voce rauca: “KRUSHNI FUNA KARAS TEMNO. S-S-SAAAAAIIITAN!!”

È un istante di pausa infinita, sul volto del mio coinquilino sembra di vedere gli occhi venir inghiottiti dalle orbite. Dopo qualche secondo Andrea scatta in piedi e mi tira un calcio: “AAAAAAAARRGGGHHH!!!”
Accade tutto troppo velocemente: apre la porta di casa e si catapulta giù scendendo le scale del condominio.

Ma che diavolo…?

Questo non l’avevo decisamente previsto. Anche se in realtà non avevo la minima idea di come sarebbe potuta andare a finire.

Mi risollevo e mi affaccio dalla finestra: sta uscendo di casa. È scalzo e corre per strada sotto la pioggia gridando.
Decido di dargli una mano e mi sporgo dal balcone cominciando a gridare: “NON SERVIRÀ A NIENTE ANDREA! TI TROVERÀ! TI TROVERÀÀÀÀ!!! AHAHAHAHAHAHAHAHAHAH!! VERREMO A CERCARTI ANDREA!! AHAHAHAHAH!! IO E LUI!! INSIEME! AHAHAHAHAH!!!”

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Lo vedo sparire in fondo alla strada e svoltare l’angolo perdendosi nella notte.

Torno in cucina e mi sciacquo le mani. Dopodiché interrompo le registrazioni audio, decisamente troppo grottesche e snervanti. Mi guardo intorno e sospiro.

“Beh, speriamo non si faccia ammazzare.

 

———— Epilogo ————

Il mattino dopo mi sveglio presto ed entro in cucina. Credevo di aver fatto più casino, invece i vetri sono tutti sparpagliati ai lati della camera.

La notte più bella - Copia

La sete di vendetta si è appagata e il mio raziocinio ritorna all’opera.

Merda.
Testa di cazzo.
Ieri sera sembrava molto peggio…
Muoviti, idiota.
O-o-o-okay. Mettiamoci all’opera.

Di Andrea non c’è neanche l’ombra. Potrei quasi preoccuparmi per sapere che fine ha fatto, ma ho troppe cose da fare e il mio senso di ragno sta iniziando a pizzicare. Ho poco tempo.

Prendo il cervello, il fegato e raccolgo con la scopa i cocci di vetro. Metto tutto in una busta di plastica e scendo per andare a buttare tutto. Nel farlo sollevo di nuovo il contatore della corrente accanto al garage.

Torno in casa e lavo a terra, poi il tavolo. Uso abbondantemente il detersivo al limone: tutta la camera puzza di marcio da far venire il vomito.

Sto lavando il lavandino quando sento il citofono suonare: mi affaccio dalla finestra per vedere chi è.

Sono i carabinieri.

omggg

Quel maledetto succhiacazzi!!
È andato dagli sbirri!
Ah! Impara sempre di più il bambino, eh? Direi proprio che te lo meriti.

Rispondo al citofono.

Io: “Chi è?”
C: “Carabinieri.”
Io: “Oh. Okay.”
C: “…”
Io: “…”
C: “…”
Io: “…”
C: “…”
Io: “…C’è altro?”
C: “Direi proprio di sì. Ci faccia salire, dobbiamo parlare del suo coinquilino. Si chiama Andrea, no?”
Io: “Ah, sì, prego. Apro.”

Mentre parlo con loro ripenso a tutto quello che dovrei fare: la cucina è a posto eppure…

Le casse!
Chi cazzo se ne frega delle casse!! Pensa alle cose serie!
Cioè?
GLI ALLUCINOGENI!
Oh merda!!

Vado in camera mia e prendo la boccetta di vetro, entro in camera di Andrea e la metto nel suo armadio, accanto a quella di ipecacuana. L’ansia sale e sento qualcuno bussare al portone: BOM BOM BOM.

“Arrivoooo!!”

Corro nel corridoio e poi mi blocco a metà.

Le impronte!!
Cosa?!?
Fallo!!
Ma dai!!
FALLO PORCAPUTTANAEVA!

Ritorno scivolando sulle calze in camera del serafino e uso la maglia di casa pulendo tutta la superficie in vetro della boccetta di 2C-B.

BOM BOM BOM.

E le casse?
Ma chi cazzo se ne frega delle casse!!
RECUPERIAMO ANCHE LE CASSE, CAZZO!!
Ma porca troia!

BOM BOM BOM BOM BOM BOM.

“ARRIVO, ARRIVOOOOO!!”

Salgo sulla sedia e prendo il Bose, sposto il frigorifero e prendo l’altro amplificatorino. Mi catapulto velocemente in camera nascondendo tutto sotto dei maglioni invernali.

BOM BOM BOM BOM BOM BOM BOM BOM BOM.

Do un ultimo sguardo alla cucina.

Bene.
Dovrebbe essere tutto a posto.

Apro la maniglia della porta, davanti a me due carabinieri: “Buondì, metto su un caffè?”

Entrano in casa guardandosi intorno. È tutto in ordine. Sono entrambi ben rasati, uno di loro ha occhi verdi e occhi da bravo ragazzo appena uscito dall’accademia, il collega, più anziano di lui, ha uno sguardo indagatore che si sposta ovunque scrutando ogni angolo di quella merda che è casa mia. Poliziotto buono e quello cattivo.

Il buono solleva le spalle: “Beh sì, un caf-”
Il collega lo interrompe severo: “Niente caffè… ma vorremmo vedere la cucina.”
Io: “Oh. Okay.”

Si avvicinano al tavolo e iniziano a guardarsi intorno.

Sbirro cattivo: “Da quanto tempo non vede il suo coinquilino?”
Io: “Beh, ieri sera ha cenato prima di me, poi ho cenato io e mi sono chiuso in camera.”
SC: “Tutto qua?”
Io: “Sì.”
Lo sbirro buono cammina intorno al tavolo cercando qualcosa, si piega sulle ginocchia e raccoglie del dentifricio da dietro la tenda.
Sbirro Buono: “Vi lavate i denti in cucina?”
Alzo gli occhi al cielo abbozzando una battuta: “Magari fosse solo quello…”
Lo sbirro buono ride, il collega no.
SC: “Ah-Ah. Davvero molto divertente signor…”
Io: “Anon.”
SC: “Signor Anon… davvero divertente. Si sieda.”
Io: “Preferisco rimanere in piedi.”

I nostri sguardi si incontrano inflessibili. Lo vedo contrarre la mascella.

Meglio non scherzare con gli sbirri.”

polizia

SC: “Non era un domanda, Anon.”

Afferro il bordo di una sedia e la sposto facendola strisciare sul pavimento. Lo sbirro buono guarda la scena divertito.

SC: “Adesso le dirò perché siamo qua. Stanotte abbiamo ricevuto una chiamata da qualcuno che ha detto di aver trovato un ragazzo che correva in pigiama sotto la pioggia in Prato della Valle. Era scalzo e gridava.”
SB: “Dopo la prima chiamata credevamo si fosse trattato di un qualche scherzo o qualche cavolata di voi studenti. Quindi abbiamo ignorato.”
SC: “Poi le chiamate sono aumentate e siamo andati a controllare di persona.”

Il mio cuore batte all’impazzata mentre provo a non scoppiare a ridere. Mantengo la fronte distesa e gli occhi spalancati in un’espressione stupita.

Io: “…E?”
SB: “Abbiamo recuperato Andrea, quello che dovrebbe essere il suo coinquilino, che piangeva rannicchiato a fianco della fontana.”
Io: “Oh.”
SC: “Potrei chiederle, tanto per cominciare, come si è procurato quel livido sul mento?”

Merda…
Il calcio di Andrea di ieri sera…
E adesso?
Hehehe…
Che cazzo ridi?
Mi è appena venuta un’idea.

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Deglutisco piano e chiudo gli occhi poggiando la fronte sul palmo delle mani: “Andrea mi picchia”

La notizia rimbomba fra le pareti ed entrambi mi guardano senza dire una parola.
Dopo qualche secondo lo sbirro cattivo si sporge verso di me spalancando gli occhi: “Come scusi? Il suo coinquilino la picchia?”
Sollevo le spalle piano: “Ma sì, capita spesso fra coinquilini. Si litiga, si scherza e qualche volta lui si fa prendere la mano… Ma non è un grande problema per me…” Abbasso lo sguardo da bravo cane bastonato: “Tanto… ormai…”
Lo sbirro buono prende una sedia e si siede a fianco a me: “Ormai cosa?!?”
Io: “Andrea non ci sta tanto bene con la testa…”
SB: “Questo lo crediamo bene visto che era scalzo con i piedi e le mani insanguinate. Non faceva altro che parlare del diavolo e che doveva scappare da un…”
SC: “Da un cervello. Diceva che lo voleva mangiare.”
Sospiro debolmente: “Andrea, Andrea, Andrea… Non credevo sarebbe arrivato fino a questo punto. Poveraccio.”
SC: “Che intende dire?”
Io: “Scusi eh, mi guardi bene. Le sembro davvero qualcuno in grado di ridurre così una persona? A rigor di logica quello con il livido in faccia sono io.”
Lo sbirro cattivo ha cambiato atteggiamento, afferra una sedia e si siede davanti al collega, a fianco a me: “Vuole sporgere denuncia?”

Sta andando tutto terribilmente meglio del previsto.

Io: “No, non voglio infierire. Sto dicendo un’altra cosa…”
SC: “Che cosa…?”
Tendo il collo e increspo le labbra: “Sia chiaro che quello che sto per dirvi lo dirò solo ed esclusivamente perché mi avete raccontato delle sue attuali condizioni.”
SC: “È ancora in centrale in stato confusionale. Non fa che ripetere che un certo Anon è impossessato da delle voci e che lo vuole mangiare. Poi dice che c’entra un cervello, del sangue, dei vetri e anche lui ammette di sentire delle voci nella testa.”
Lo sbirro buono soffoca una risata, il collega lo fulmina con lo sguardo.
Anche io sto per scoppiare a ridere e la bocca mi tradisce sollevando appena gli zigomi.

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SC: “Lo trova divertente?”
Io: “Oh, andiamo! Devo davvero dirvi l’ovvio?”
SC: “Ah sì, sentiamo pure!”
Poggio i gomiti sul tavolo: “Ma gli avete fatto delle analisi del sangue? O gli avete messo solo una coperta addosso e lasciato seduto in centrale?”

I visi dei due si congelano, forse li ho provocati un po’ troppo.

Io: “Quel che voglio dire è che non avete bisogno di cercare un colpevole, ce l’avete già. Andrea si sfonda di droga. Quella roba ha degli effetti assurdi.”

I due carabinieri si guardano e non sanno bene cosa dire. Lo sbirro buono prende la trasmittente alla spalla sinistra e contatta la centrale alzandosi e parlando nel salone. Sta chiedendo di portare Andrea in ospedale per degli accertamenti.

Lo sbirro cattivo mi guarda socchiudendo gli occhi e squadrandomi. Sollevo un sopracciglio e tiro su la manica destra della maglia mostrando il braccio scoperto: “Accomodatevi, vediamo chi è che mente.”
Dopo qualche secondo si alza in piedi e mi chiede di seguirlo con un gesto della mano: “Dov’è la camera del suo coinquilino?”
Io: “Da questa parte.”

Lo sbirro buono ci raggiunge e iniziano a perlustrare nella camera di Andrea. Nel giro di qualche minuto trovano i lassativi, pillole contro mal di testa, ipecacuana, la boccetta di 2CB e anche dell’erba che Andrea teneva nel cassetto.

Oh, questa mi era nuova.
Quindi… Ha continuato anche dopo che Lukas…?
Pare proprio di sì.

Lo sbirro cattivo mi guarda: “Mi sa che avremo bisogno di una sua dichiarazione in centrale.”
“Per mettere per iscritto quel che vi ho suggerito di fare?”
“…”
“Facciamo così, sono sotto esame e non ho davvero tempo. Mi vado a tagliare una ciocca di capelli e ci fate su tutte le analisi che volete, okay?”
Lo sbirro buono mi guarda: “No, non credo ce ne sia bisogno.”

Dopo qualche minuto e qualche loro chiamata in centrale se ne vanno. Torno in camera e mi stendo sul letto. È andato tutto benissimo, ma dopo qualche ora sarei stato comunque chiamato e andato in centrale. Direi che è meglio fermarsi qua, visto che la versione ufficiale rilasciata è quella appena raccontata.

———— Epilogo dell’epilogo ————

Qualche giorno dopo sono venuti i genitori di Andrea a prendere la sua roba insieme alla padrona dell’appartamento. Da quel che mi è sembrato di capire non aveva la minima intenzione di rivedere né me né quella casa.

Non ho più ricevuto sue notizie. Peccato.

evil chuckling

FINE

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A questo punto è doveroso, da parte mia, inchinarmi davanti a voi e battere calorosamente le mani.

Lo spettacolo è finito.

Ringrazio tutti i miei lettori, chiunque si sia divertito e appassionato a queste storie. Ci siamo tenuti compagnia per più di nove mesi e ho ottenuto dei riscontri che un anno fa (quando ho iniziato a scrivere i miei racconti) non avrei mai neanche lontanamente sperato.
Messaggi privati, commenti, incitazioni, richieste, ma anche critiche e consigli. Why not, tutto è stato più che apprezzato. Ringrazio anche i lettori invisibili (voi forse credete di non lasciare traccia, ma gli analytics non mentono) e tutti coloro abbastanza coraggiosi da aver lasciato un like o un commento, unico feedback che noi scrittoruncoli appassionati riceviamo dopo (tante, troppe) ore di lavoro.

Le Cronache torneranno, forse, se mi gira, a Settembre.

Ciao ciao, stronzi.
È stato un piacere.
Mi mancherete.

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Immagine di copertina di Mario Saraceni.
Ricordo che tutti i fan padovani (e non) possono mandarci i loro scatti. Una giuria popolare e imparziale (io) li sceglierà per farli diventare future copertine delle Cronache.

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About the author

Rorschach

Studente di ingegneria, lettore di fumetti, bassista occasionale, amministratore e scrittore sconclusionato.
Non credo nelle descrizioni da blogger e quello che leggo su internet, non dovreste farlo neanche voi. Forse. Chissà. Meh. Fanculo.

1 Comment

  • Sei un mito bello, ottimi gusti musicali anche se adesso starai pensando “mi chiami bello, ma come ti permetti” in bocca al lupo per tutto

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