“Cronache di uno studente fuorisede” è, fra le altre cose, un esperimento narrativo. La scrittura non è lineare, le frasi sottolineate indicano i pensieri che mi son balenati in testa, quelle in grassetto sono relative alla mia parte razionale e quelle in corsivo alla mia parte emotiva. Il risultato potrebbe sembrare strano e un po’ schizofrenico. Beh, lo è.
Se vi siete persi il prologo, cliccate QUI.
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CAPITOLO 1: LE CASE PER STUDENTI
Parte I: L’accampamento Rom e l’amante delle piante
Sveglia alle ore 8.00
La camera puzza di muffa, il materasso ha la consistenza di una tavola di compensato e la colazione è a base di tè e salumi in vaschetta. Alla faccia del “miglior B&B di Padova”.
TripAdvisor è una merda.
“Avrei dovuto intuirlo dal prezzo stracciato” mi dico.
Rientro in camera, sollevo il rubinetto dell’acqua calda della doccia e inizio a spogliarmi ricapitolando meticolosamente tutte le abitazioni per studenti che dovrò andare a vedere oggi:
“Alle dieci ho il primo appuntamento. Appartamento al secondo piano di una tranquilla zona residenziale un po’ lontana dal centro, ma ben servita. Coinquilini: due ragazze.”
“Speriamo non siano stupide.”
“Speriamo siano fighe.”
Entro nella doccia e lascio scorrere l’acqua calda su tutto il corpo mentre continuo a ricordare.
“Okay, poi alle undici devo tornare verso il centro, zona Portello. ‘Camera singola al primo piano in appartamento storico’ diceva l’annuncio.”
“Sarà un modo elegante per dire che è una catapecchia che cade a pezzi.”
“Coinquilini?”
“Solo un altro ragazzo. Studia fisica.”
Mi verso un po’ di shampoo sulle mani, inizio a passarmele sui capelli mentre massaggio delicatamente con i polpastrelli.
“Next step: a mezzogiorno invece appuntamento per una casa appena ristrutturata vicino la facoltà di Psicologia, tutto sommato vicina alla facoltà di Ingegneria. Televisore nuovo al plasma, BBQ sul balcone, divanetto moderno, cucina e servizi appena fatti ed è pure servita da un ipermercato lì vicino.”
“Sembra troppo bello per essere vero.”
“Coinquilini?”
“Una matricola di psicologia, ragazzo.”
“Oddio no.”
“Perchè?”
“Sai che palle uno che ti risponde “Hai un evidente complesso del pene” alla domanda “Hai un po’ di dentifricio?””
Prendo la spugna e la bagno sotto l’acqua, ci verso sopra un po’ di bagnoschiuma, chiudo il rubinetto e inizio a passarmela su tutto il corpo.
“Alle due invece abbiamo una villetta. Ci vivono già un ragazzo e una ragazza di Roma. Studiano medicina.”
“Stanno insieme?”
“Non credo.”
“Threesome?”
“Piantatela.”
“Non dimenticarti le ascelle.”
“Le ho già lavate.”
“Sicuro?”
“Hey novellino, il primo appuntamento è con due ragazze. Striglia bene.”
Esco dalla doccia e indosso l’accappatoio. Vado a prendere il fon dalla valigia e prima di asciugarmi i capelli fisso quel volto senza certezze che mi guarda dallo specchio.
“Alle tre e mezza si ritorna nella zona residenziale di prima. Vicina alla mensa e un po’ lontana dall’università.”
“Tanto dovremo prendere una bicicletta.”
“Sì okay, ma se fosse più vicina sarebbe meglio comunque.”
“Coinquilini?”
“Per ora sono in cinque, prenderò la camera di quello che se ne andrà.”
Finisco di asciugarmi e mi vesto, prima di chiudere la porta dietro di me ricapitolo l’ultimo appuntamento della giornata.
“Alle cinque devo visitare un villino leggermente fuori mano, ma prendendo il pullman si arriva subito in facoltà. Per ora sono in cinque, tra ragazzi e ragazze. Due bagni, cucina e salotto bello grande.”
“Interessante. Tra cinque persone ne troveremo qualcuno che non ci stia sul cazzo?”
“Sì, ma ricordati che, statisticamente, in quel caso saremmo noi a star sul cazzo a loro.”
“E che statistiche sarebbero?”
“Quel che ho fatto io. Cioè noi. Basandoci sulle nostre vecchie amicizie.”
“La vita è una cosa meravigliosa.”
Chiudo la porta alle mie spalle ed esco per strada.
Inizia.
Casa #1: La casa delle due ragazze
Arrivo al portone indicato dall’indirizzo. Controllo due volte su Google Maps che sia quello giusto e suono il citofono.
“Aspetta diamine! Dovevamo prepararci un discorso!”
“Un discorso? Mica siamo Robespierre in piazza, dobbiamo solo vedere la casa.”
“Sì, ma che diciamo ora?”
“Tipo: ‘Hey ciao, sono quello per la casa’.”
“Oh si certo, ‘Quello per la casa’. Tipo un addetto per lo sfratto. Sei davvero un genio, cazzo.”
“Aspetta aspetta. Che ne dici di: “Ciao ragazze, ci siamo sentiti per messaggio, sono venuto a vedere la casa. È pronta?”
“Va meglio, ma togli quel ‘È pronta’ per favore. Non va mica da qualche parte. O comunque così lasci intendere che ti aspetti un porcile.”
“Non andrebbe meglio se dicessimo: ‘Ci siamo sentiti la sett-”
Il flusso di pensieri viene interrotto da una voce femminile:
“Sì? Chi è?”
“Eh, oh. Sì ciao, sono Anon, ci siamo sentiti per quella roba della casa…
No cioè, ci siamo visti…
No, non ci siamo visti.
Solo sentiti.
Tanto la casa non va da nessuna parte. Mica è un porcile. Cioè.. Siete pronte?”
“Mi arrendo.”
“Siamo degli idioti.”
Per tutta risposta dal citofono viene un rumore sordo ed elettrico. La tizia è rimasta senza parole.
“Proviamo a rimediare.”
“Oh sì, scusa la confusione, stavo parlando al telefono. Comunque sono Anon, ci siamo sentiti per telefono. Sono qui per vedere la camera.”
“Ah sì! Scusami non avevo capito. Sali pure. Secondo piano.”
“Mi sa che siamo già sull’orlo dell’etichettatura ‘pazzi schizofrenici’.”
“E non ci hanno ancora conosciuti di persona.”
“Benissimo.”
Arrivo alla porta e trovo ad accogliermi due ragazze. Una è bassina, viso ovale, labbra carnose, occhi verdi e capelli lunghi neri, mossi. L’altra ha la faccia di chi si è scolato mezza bottiglia di Jack Daniel’s la sera prima: capelli arruffati, trucco sbavato e felpa sgualcita con l’orlo del collo così slabbrato da circumnavigare la spalla sinistra.
“Ah eccoti finalmente! Prego accomodati.”
Ci introduciamo a vicenda, ci stringiamo la mano e stampiamo sulle nostre facce i classici sorrisi da presentazione standard.
Poche ciance, è il momento di vedere la casa.
“Allora ditemi, quale sarebbe la mia stanza?”
“Eccola, da questa parte.”
LabbraCarnose apre una porta fatta da una tavola di truciolato tenuta attaccata allo stipite da due cerniere arrugginite e si spalanca ai miei occhi una camera minuscola, con al centro un letto matrimoniale e un freezer rotto a fare da comodino.
“Nessuna scrivania.”
“Nessun armadio.”
“E se guardi bene puoi vedere la rete del materasso che è totalmente distrutta.”
JackDaniels incalza: “Beh? Che te ne pare?”
“È una merda.”
“Un letamaio.”
“Peggio delle case rom che fanno vedere ad AnnoZero.”
Provo a sbiascicare una risposta: “Beh, il pavimento è bello.”
“Il pavimento?”
“Sì… Tutte queste eleganti venature marce danno… Colore. E poi comunque a me piace metter mani sui cavi elettrici quindi il fatto che siano tutti attaccati a vista sul soffitto con lo scotch mi permetterebbe di fare qualche… Esperimento? Poi onestamente il freezer come comodino è una figata.”
“Sì! Piace tanto anche a noi! Te l’abbiamo lasciato apposta!”
“Figuriamoci cosa hanno tenuto nascosto allora.”
“Mh, okay bene. E il bagno invece?”
“Ah sì, vieni. È qua a fianco.”
Una sottile porta in vetro (VETRO!!) si apre per mostrare ciò che si vedeva già da fuori: il gabinetto è in un angolo, senza la tavoletta-poggiaculo, giusto per mettere a proprio agio gli studenti che trovano lo stesso tipo di cesso all’università e che alla vista di un bagno pulito potrebbero confondersi e cagarsi addosso. Esattamente nell’angolo opposto c’è il bidet, carico di peli e capelli sui bordi.
“Interessante scelta geometrica.”
Agli altri due angoli invece ecco che troviamo la doccia e il lavandino.
“Hai visto che non c’è neanche il piatto doccia?”
“Bello il buco di scolo sul pavimento senza il filtro.”
Il povero rubinetto in tutto questo sembra decente. È qui, nell’angolino, che mi guarda sconsolato.
L’unico pulito.
“Mi fa quasi pena.”
“Vorrei farci la pipì dentro giusto per riequilibrare la situazione.”
“Quante ne hai viste eh, lavandino? Quante avventure in questo bagno eh, lavandino?”
“Che te ne pare?”
“Oh beh, sì. Mi piace molto il beige delle mattonelle.”
“…No guarda. Sono bianche.”
“…Scusa come?”
“Sì, se ti avvicini bene e passi il dito vedi che sotto sono bianche” mi fa JackDaniels.
Vedo con la coda dell’occhio LabbraCarnose che si nasconde la faccia fra le mani bestemmiando l’amica silenziosamente.
“Hey ha ragione! Se passi il dito, spruzzi acqua bollente, lavi con l’Amuchina, getti una secchiata di napalm e ricostruisci il muro il bianco si vede!”
“Okay, beh dai. Poso dare un’occhiata al salone e alla cucina?”
“Certo” interviene subito LabbraCarnose, mentre fulmina l’amica con uno sguardo alla Xena in crisi d’astinenza sessuale avanzata. Mi prende il braccio e mi accompagna in una stanza dove c’è di tutto e di più.
“Allora qua teniamo le padelle, le pentole, i piatti, tutto il cibo, la lavatrice, lo stendino, il microonde che però fa dei rumori strani e che quindi è meglio non utilizzare, delle sedie di plastica, il tavolo per il pranzo e il televisore, che è rotto, ma tanto in TV non danno mai niente! Eh-Eh-Eh.
Ah! C’è pure una finestra per far arieggiare l’aria.”
“OH!! ADDIRITTURA?!? Che stiamo aspettando a firmare il contratto allora?”
“Sì, tutto molto bello” le faccio, “ma dove sono… sai… i fornelli?”
“Aaaaaahh!! Quelli?”
“Eggià!”
“Per cucinare devi andare in salone ed uscire sul balcone, c’è una bombola a gas che alimenta quattro fornelli.”
“Sul… balcone?”
“Sì, sì, ma non ti preoccupare che è chiuso da dei teli in plastica.”
“Aaah beh! Meno male, allora.”
“Vuoi venire a vedere?”
“Che male ci potrà mai fare?”
“Non può mica andare peggio, vero?”
“VERO?!?”
“Sì dai, vediamo.”
Entriamo in una stanza enorme con un tavolo in grado di ospitare dieci persone, al muro ci sono dei quadri rappresentanti qualche natura morta, una credenza in legno scuro lucido e vetro posta in un angolo ospita al suo interno delle delicate tazzine di porcellana.
“Ma è la stessa casa?”
“Sì… ma forse dovresti vedere meglio nell’angolo a destra.”
Seguo il mio consiglio e volto la testa: ci sono due materassi, buttati lì. Ad angolo.
Mi rivolgo a JackDaniels: “Il salone è davvero enorme e molto bello, c’è davvero del potenziale qua dentro. Avrei giusto una… perplessità. Cosa sono quei materassi a terra?”
“Oh, quello è il divano.”
“…”
“…”
“…”
“Il. Divano?”
“Sì, sì, è un po’ spartano, ma non vederlo così brutto, quando lo copriamo con i teli non è male sai?”
“Okay, ma sono dei materassi a terra. Non voglio fare il pignolo, ma credo di aver visto all’angolo un divano accanto ad un cassonetto. Cioè… Sarebbe comunque meglio di… questo.”
LabbraCarnose interviene: “Sì, sì, abbiamo avvertito il padrone di casa e ha detto che presto ce ne procurerà uno sopraelevato.”
“Hai mai sentito di un ‘divano sopraelevato’?”
“Credo sia la prima volta.”
“Tutto questo è orribile e meraviglioso al tempo stesso.”
“Okay ragazze, grazie mille per avermi fatto vedere tutto.”
“Ma non hai ancora visto i fornelli all’esterno!” mi fa LabbraCarnose.
Le prendo la mano sinistra fra le mie e la avvicino alle mie labbra: “Ti ringrazio ma chère” –SMAK– “ma credo di aver visto abbastanza.”
“Sono sicuro averla sentito bagnarsi.”
“Scappiamo.”
“Beh, almeno le uscite di scena le sappiamo fare.”
“Sbruffone.”
Scendo le scale e mi ritrovo per strada.
Meglio dirigersi all’abitazione successiva.
Casa #2: L’appartamento in zona Portello
Arrivo al luogo indicato dalla mappa con qualche minuto di ritardo, controllo che l’indirizzo sia esatto e suono al citofono.
“Siamo pronti questa volta?”
“Non lo saremo mai.”
“Pronde?”
“…”
“Pronde, chi cazz’ è?”
“…Sì ciao Carmelo… Sono Anon… Ci siamo sentiti per telefono, avevo preso un appuntamento con te per oggi per farmi vedere la casa…”
“Aaaah sittù!! Tras tras!”
“Oh Gesù, siamo venuti dal sud qua a Padova e finiremo per trovarci più a sud di quando siamo partiti.”
Salgo le scale in mattonelle grigie che si avvolgono su se stesse come una larga scala a chiocciola. L’appartamento è decisamente vecchio, l’intonaco cade a pezzi, la ringhiera è marcia e piena di schegge e ogni gradino è incurvato verso il centro, segno di anni e anni di utilizzo. Arrivo alla porta di ingresso e trovo un ragazzo in tuta in acetato che mi sorride gagliardo. Capelli lunghi neri ed unti, fisico mingherlino e incredibilmente peloso, maglietta bianca con immancabile macchia di sugo e infradito economiche.
“Secondo te ‘sta gente come fa a capire quando smettere di rasarsi quando si fa la barba?”
“Non l’ho mai capito.”
“Dai, guardalo, è un peluche!”
“Un peluche unto.”
“Ciao wagliò!”
“Eh, ciao.”
“Vieni, vieni! Non fare il timido! Entra, entra!”
“Perché deve ripetere tutto sempre due volte?”
“Prego accomodati! Ti faccio vedere la stanza.”
“Ok, grazie.”
“Vuoi un caffè?”
“No grazie, gentilissimo.”
“Allò, ecco qua. Questa sarebbe ‘a camera tua se decideresti di venì cà.”
“Quel congiuntivo!! Quel congiuntivo!!”
“AAAARRGH!”
“Beh, veniamo a noi.”
“La camera è larga, spaziosa, nessun materasso per terra.”
“E questa è già una vittoria.”
“Il letto è di metallo laccato, economico, ma comunque decente.”
“La scrivania è piccolina.”
“Ma ha una vista su strada di quelle che levati.”
“L’armadio è dell’Ikea, spazioso, bianco, e pronto a collassare.”
“Che dire? 7.5/10 would live here.”
“Beh che te ne pare, Ciccio?”
“La camera è carina, davvero. Spaziosa e luminosa. Diamine sì, mi piace.”
“Oh. Bene… BENE!!”
All’improvviso inizia a grattarsi convulsamente sul collo, dietro un orecchio e sotto il sopracciglio sinistro.
“Che cazzo gli prende?”
“Il poveraccio studia Fisica. Che ti aspettavi?”
Una nevicata di frammenti di pelle squamosa si deposita sulla spalla della felpa.
“Sono contento che ti piace! He-he!”
Il timbro di voce è cambiato, è più silenzioso e tremolante.
“Ogni volta qualcuno veniva e poi… Poi scappava! He-he-he! Sono sei mesi che sto provando a trovare un coinquilino. Non ce la faccio più.”
“Sì dai tranquillo. Ora rilassati e fammi vedere la cucina e il bagno dai.”
Ritorna in sé quasi istantaneamente. Smette di grattarsi convulsamente e la sua parlata torna amorevolmente meridionale.
“AH SÌ! O CESS! VIN VIN!!”
Usciamo dalla camere per finire nella stanza di fronte. Il bagno è lungo ed alto. Fine.
Non ha una larghezza. È praticamente bidimensionale.
In linea ci sono il gabinetto, il bidet, il lavandino e la lavatrice.
“Cioè se devo andare a lavarmi i denti devo prima scavalcare il gabinetto e il bidet?”
“Poteva andare peggio. Pensa se per andare al cesso avessi dovuto scavalcare il lavandino.”
“Touché.”
“Beh, il bagno è un po’ stretto.”
“Stretto? Stretto?!?” Il timbro di voce è tornato acuto e tremolante. Ha ripreso a grattarsi quel povero sopracciglio sinistro. “È funzionale!”
“Certo Carmelo, certo. Come dici tu… Comunque sai… Non c’è una doccia.”
Incrocia le braccia e incassa la testa fra le spalle per poi inclinarla da un lato iniziando a strofinare convulsamente e con forza la guancia contro la spalla a piccoli scatti: “Ah sì, eh eh eh, quella è in cucina.”
“No aspetta. Cosa?”
“Abbiamo capito male. Per forza.”
“In… Cucina?
“Sì, sì. Nella veranda.”
“Mi stai dicendo che c’è una veranda sul balcone della cucina e la doccia è lì?”
“Esattamente.”
“Devo assolutamente vedere questa meraviglia.”
Mi accompagna in cucina, dove un povero pollo arrosto parzialmente spolpato giace depresso in un tegame insieme a due dita di olio, cipolle e patate. Apre la finestra del balcone ed usciamo fuori.
Il balcone è grande, con molte piante, dei vetri opachi lo isolano dall’esterno, rendendo il tutto molto simile ad una serra. Camminiamo mentre Carmelo mi presenta le piante una ad una.
“Lei è Luisa.”
“Il geranio?”
“NO STUPIDO! NON MI ASCOLTI?!? Quello è Matteo! Luisa è questa!”
Il tono di voce è agitato.
“Il coriandolo?”
Inizia a gridare: “È PREZZEMOLO!!”
“Okay okay” inizio ad indietreggiare piano piano. Apro le mani e frappongo i palmi fra di noi.
“Come dici tu. Ora però mi sono reso conto che dovrei andare. Sai, la tua presenza decisamente folle mi mette a disagio. Senza offesa eh.”
“Non puoi averglielo detto davvero.”
“Andrà tutto bene.”
“NO!! Prima devi vedere la doccia!”
“Carmelo scusa, ma non me ne frega più un cazzo della doccia.”
Mi afferra un braccio con forza.
“VEDILA!!”
Mi trascina in fondo al balcone con le sue dita ancora serrate intorno al mio braccio, svoltiamo dietro una piccola palma e ai miei occhi esplode un panorama floreale. Piante verdissime e rigogliose sono accatastate su mensole e scaffali. Edere e rampicanti ricoprono con i loro artigli lussureggianti tutta la parete fino al soffitto da cui pendono vasi pieni di orchidee. Piante grasse di ogni tipo sono poste su un traballante tavolino in legno nero come l’ebano.
“Forse perchè È d’ebano?”
“Non sappiamo neanche fare bene le descrizioni.”
Ed è qui, in mezzo a questo tripudio floreale, che Carmelo mi lascia il braccio e si avvicina alla parete, cercando qualcosa fra i rami dell’edera.
“Se vogliamo scappare direi che questo è il momento.”
“E pure alla svelta.”
Indietreggio silenziosamente, arrivando all’entrata del balcone. Proprio mentre sono pronto a scattare Carmelo si gira mostrandomi un tubo in gomma gialla.
“…E questo è il tubo per la doc… Dove stai andando?”
“Scusa Carmelo. Poison Ivy mi piace molto come personaggio, ma almeno lei è una perchia colossale. E anche se sono venuto a Padova per mettermi alla prova e fare nuove esperienze diciamo che non sono pronto per… questo…” deglutisco: “Qualunque cosa sia.”
Inizia a stringere e a piegare il tubo con forza mentre i pugni iniziano a sbiancarsi e a tremare dalla rabbia.
“Non puoi andare via.”
“Io credo proprio di sì.”
Mi giro velocemente pronto alla corsa disperata. Attraverso velocemente la cucina e il corridoio mentre dietro di me sento Carmelo correre come un dannato. Mentre apro la porta d’ingresso sento un CRASH che proviene dal balcone. Mi fermo.
Carmelo ha smesso di rincorrermi.
Sento dei lamenti che provengono da fuori.
“Che dovrei fare? Torno indietro o scappo via?”
“Scappa scappa scappa scappa scappa scappa.”
“Scappa scappa scappa scappa scappa scappa.”
“…”
“…”
“Dai diamo un’occhiata.”
Torno in cucina e mi affaccio sul balcone.
Carmelo è in ginocchio mentre piange. Ai sui piedi ci sono terra, cocci di vaso e quello che dovrebbe essere un Ibisco in fiore.
La sua voce trema: “Guarda che mi hai fatto fare.”
“GUARDA CHE MI HAI FATTO FARE!!!”
Alza uno sguardo carico di sentenze di morte e lo punta nei miei occhi.
Richiudo la porta del balcone con forza proprio nello stesso momento in cui mi si avventa addosso. Prova a tirare la maniglia e ad aprire la finestra con tutte le sue forze. Non resisterà ancora a lungo. Mi guardo in cucina e trovo proprio quello che mi serve.
“Dobbiamo farlo davvero?”
“A mali estremi…”
Afferro la cinghia della tapparella e la lascio scivolare sulle dita mentre una barriera in plastica spessa si frappone fra me e Carmelo. La faccio scendere completamente mentre il poveraccio inizia a tempestare di pugni la finestra fino a romperne il vetro.
“Appena in tempo.”
Inizia a colpire la tapparella con forza, ma di volta in volta i colpi si fanno più deboli. Dopo qualche minuto ritorna lì seduto, a piangere. Io sono pietrificato.
“Che diavolo facciamo adesso?”
“…”
“Io ho fame.”
Con un moto di forza di volontà riesco a sbloccarmi, mi incammino verso il frigorifero e lo apro. Dentro ci sono decine e decine di barattoli pieni di fagioli, lenticchie e legumi di ogni tipo, qualche vaschetta con dei salumi, delle salsicce, verdura, ortaggi non troppo freschi e della frutta. Prendo due mele e mi allontano.
“Bene. Un’altra casa da depennare.”
“Almeno ci siamo fatti uno snack.”
Esco per strada e addento la prima mela. È succosa e piacevolmente zuccherina.
“Il sapore della vittoria.”
“Come farà Carmelo a rientrare in casa?”
“Proprio una buona mela.”
“Hey? Quel poveraccio rimarrà fuori.”
“Croccante e dolce al punto giusto.”
“Ragazzi?”
“Mi si scioglie in bocca.”
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CLICCA QUI PER LA PARTE II
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[Articolo originariamente pubblicato su cheesusfried.com QUA]