Alfabeto ESPERIMENTI LETTERARI

Alfabeto Parte III – S come Sangue

Scritto da Noise

Se quella che sta per cominciare fosse semplicemente una storia, sarebbe semplice spiegare di cosa si tratta. Ma questo è un viaggio da una costa all’altra attraverso le 21 lettere dell’alfabeto. Un viaggio diviso in tre parti, ogni parte “conta” sette lettere.

In fin dei conti è uno schema, un adattamento a uno stile di vita: la paura di non riuscire più a mettere un piede dopo l’altro.

Alfabeto

Parte III – Ritorno

S come Sangue

Un colpo solo, lo avvertii in pieno, ero carnefice e vittima morale della mia esecuzione. Non fu una sorpresa. Fu la rassegnazione a sopraffarmi.

Non riuscivo a pensare ad altro, una serie di continui “perché” mi vorticavano per la testa dopo la morte di Vinicio.

Ero al castello, seduto sul bordo del letto. Ginevra era accanto a me, ma io ero cieco e sordo. Mi resi conto della sua presenza solo quando mi passò la mano fra i capelli. Mi girai verso di lei, mi sorrise, mi alzai dal letto e sul quale avevo lasciato poco prima la lettera che l’essere più simile a una gruccia che a un uomo mi aveva dato.

Perché?”

Stava male e mi parlava sempre di Ortega. Cercava di non pensare? Ci provava? La mia compagnia lo distraeva? O semplicemente voleva rivivere con me quei pochi momenti di cui aveva memoria rispetto alla vita che aveva vissuto? E poi perché proprio con me che ero poco più di un estraneo? Già, perché?

Nei giorni successivi cominciai a correre per tutta l’isola, in breve la percorsi per tutto il perimetro. Portavo con me il libro di Ortega che mi aveva regalato, lo portavo sempre con me per spiegarmi i perché sulla morte di Vinicio che mi ronzavano in testa. Appena potevo, mi fermavo e ne leggevo alcune parti.

Mi sentivo fragile, quasi inutile, avevo paura di ricadere nel baratro. Ero andato sull’isola per mettermi a digiuno da ogni rapporto umano e, invece, la situazione era peggiorata.

Presi il libro che mi aveva regalato e lo aprii alla fine, c’era una cosa scritta a penna: Di seguito riporto ciò che mi disse il marinaio smemorato che ha deciso di prendere il nome di Vinicio dopo un sogno stranamente veritiero. Sogni sui quali voglio concentrare la mia analisi.

La mia storia è complicata e non la ricordo nemmeno tutta, perché comincia quando mi sono svegliato con la barba lunga e senza una mano. Vivo, dimentico di orrori e glorie, forse devo la mia vita a quella di un giovane senza futuro, ucciso da un colpo di fucile o dilaniato da un colpo di cannone. L’odore del mare è forte, mi riempie la gola e i polmoni, è un odore che non mi lascia scampo. Lo sento sempre, nei vestiti e nel cibo. Ricordare per me è una parola strana, la mia memoria comincia poco tempo fa. Non un addio, perché ne ho vissuti già molti. Non più come una volta, in cui si partiva per combattere o per uccidere. Oggi si parte perché non c’è altro da fare. Le madri piangenti, figli e mogli in attesa.

Dimenticare per tornare a vivere è piacevole, ma per me che non ho ricordi?

Passo le mie giornate rimettendo le cime a posto, accendendomi sigarette che fuma il vento al posto mio. Sogno spesso dei cani e l’immagine sbiadita di una Madonna. Rimpiango il giorno in cui ho ricominciato a vivere, a ricordare perché quel giorno ho cominciato a soffrire.

Mentecatti, marinai, macellai, musicisti mozzi e semplici viandanti tutti sulla stessa nave, ma comunque uomini. Sofferenti per la partenza. Improvvisati bohemien, si affacciano alla balaustra. La noia distrugge, il vino riempie e la follia sana.

Non bisogna rimpiangere la velocità del mare, la forza delle onde, la spuma bianca che si condensa e poi in un attimo scompare… tutto troppo costoso da pagare col sangue. Non si dimentica ciò che si vive e le cicatrici rimangono addosso, di solito funziona così, ma a me sono rimaste solo le cicatrici.

La fanfara e la popolazione con le braccia alzate e fazzoletti sventolanti. Due, tre mesi lontano da qui per me, una vita per gli altri.

Il libro che Vinicio mi aveva regalato lo portavo sempre con me, un giorno decisi di portarmelo sulla baia, era uno spazio immenso con un vento fortissimo.

Lì facevo delle grandi passeggiate, perché la temperatura era troppo bassa per potersi tuffare e quando non andavo a zonzo, attento a non prendere le onde, leggevo Ortega. C’erano alcune rocce che fornivano delle sedute naturali e in un’insenatura che sembrava essere lì giusto per quello, poggiavo il libro fra una lettura e una passeggiata.

Un giorno, quando tornai a riprenderlo, non lo trovai, cominciai a cercarlo per tutti i posti dove avrei potuto lasciarlo. Erano almeno due settimane che solo io frequentavo quel posto e nemmeno quel giorno aveva fatto eccezione, ero stato l’unico visitatore, quindi l’ipotesi che fosse passato qualcuno e l’avesse preso era impossibile, anche se non mi era chiaro chi potesse prendere un libro messo fra due rocce in una baia. L’unica soluzione possibile era che il vento l’aveva portato alla deriva e che io non l’avevo protetto bene. Per me era un regalo così importante, infatti, lo portavo ovunque andassi per paura di perderlo e avevo finito col perderlo proprio per quella mia stana mania. Forse qualcun altro un giorno lo troverà, ma sarà distrutto e illeggibile, quindi inutile.

Il primo della lista è sempre l’ultimo a finire ed io mi sentivo sempre in mezzo, con niente di speciale per essere ricordato, né primo, né ultimo. Non potevo fare a meno di sentirmi mediocre, senza altri mezzi o metodi di paragone. Spesso mi dicevo che quando avrei capito dove vivere, mi sarei comportato di conseguenza e mi sarei adeguato. Invece, mi sono dovuto adeguare o meglio arrendere al fatto che con difficoltà sarei riuscito a trovare un posto in cui sedermi, preferibilmente non all’inizio.

Sull’isola mi preoccupavo poco di come mi vestivo, avevo qualche cambio che col tempo si era scolorito per i troppi lavaggi, strappato durante le tante passeggiate fra gli scogli e rammendato alla buona, però mi radevo ogni giorno. Ci tenevo a presentarmi pulito, stinto e rammendato, andava bene e qualcosa mi spingeva a radermi con regolarità. Avevo la strana voglia di mettere in ordine tutto quello che vedevo, compreso me stesso. Ginevra lavorava in un negozio dell’usato, la gente andava lì per dare via i propri oggetti inutilizzati. Aveva un paio di aiutanti, ma era lei a gestire tutto. Due cose mi incuriosivano maggiormente del suo lavoro, la prima è che la gente tendeva ad acquistare le cose più impensabili come un porta cravatte girevole a motore, la seconda è che dopo averle acquistate e usate un paio di volte le portava in cantina a prendere polvere fin quando non aveva bisogno di spazio per aggiungere alla collezione di cose accumulate un altro oggetto, lo portava da Ginevra per disfarsene così che qualcun altro lo potesse acquistare e aumentare la propria collezione di oggetti accumulati. Era la nascita di un circolo vizioso fra oggetti inutilizzati.

Il lavoro le assorbiva tutte le energie, quando tornava a casa, le facevo trovare da mangiare e appena finivamo, sparecchiavo e attaccavo a lavare e a pulire. Santiago, ridendo, mi prendeva in giro dicendomi che avevo preso le manie da massaia ossessiva. Io, per tutta risposta, mi bagnavo le dita nell’acqua corrente e provavo a bagnarlo, solo che lui si spostava, facendo cadere le gocce d’acqua a terra, mi faceva la linguaccia e continuava a ridere.

Ginevra, non sapendo da che parte schierarsi restava seduta a ridere mentre guardava noi due bagnare tutta la cucina.

Alla fine dei conti sembravamo una vera famiglia, rappezzata.

Tutti gli incontri sono fortuiti, come quelli che ci avevano portato a conoscerci, ma noi avevamo deciso di restare assieme, di percorrere la stessa strada. Avevamo deciso di restare uniti e non di passare avanti, al prossimo della fila.

 

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Clicca qua per il prossimo capitolo: T come Trovare.

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Noise

Sono Noise, il rumore. Sono il battito del cuore e l'affanno del respiro. Sono il ticchettio che ti tiene sveglio la notte. Sono il ronzio che ti perseguita assieme all'afa estiva. Sono il disturbo di frequenza mentre cerchi la tua stazione radio preferita. Sono i tuoi passi che battono sull'asfalto quando vuoi stare da solo. Il rumore ha un colore e una voce, la mia.
Lasciatevi andare alla brezza del mare, perché il rumore delle onde è forte.
Ho una casa o meglio un club e puoi trovarmi là: noisclab@gmail.com

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