Cronache di uno Studente Fuori Sede ESPERIMENTI LETTERARI

Cronache di uno Studente Fuori Sede. Capitolo 9: Santi e THC. Parte VII: China Town

Scritto da Rorschach

“Cronache di uno studente fuori sede” è, fra le altre cose, un esperimento narrativo. La scrittura non è lineare, le frasi sottolineate indicano i pensieri che mi son balenati in testa, quelle in grassetto sono relative alla mia parte razionale e quelle in corsivo alla mia parte emotiva. Il risultato potrebbe sembrare strano e un po’ schizofrenico. Beh, lo è.
Se non hai mai letto queste Cronache inizia qua, se invece ti sei perso la Saga di Daniela inizia da qua.

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Andrea è entrato nella mia vita e ho mostrato la parte peggiore di me troppo presto, dopo aver passato una nottata a dir poco “strana” e aver scatenato la sua metamorfosi abbiamo iniziato a convivere in modo pacifico e abbiamo iniziato a legare bene. Da qualche giorno si è aggiunto a noi un altro coinquilino e tutto sembra possa solo far peggiorare le cose. Nelle ultime puntate ho disperatamente provato a far trovare una ragazza ad Andrea, ovviamente senza successo. In compenso ho ottenuto una lite con lui che l’ha spinto a tornar a casa prima. Al mio rientro trovo una decina di ragazzi e la situazione si fa più calda del previsto con Julian che sembra abbia tutta l’intenzione di farmi passare una brutta serata. La lite prende una piega inaspettata e scopro che Andrea ha provato a convincere gli altri ragazzi a darmi una lezione. Adesso lui e Lukas sembrano molto più amici di prima e questo mi preoccupa non poco.

Capitolo 9: Santi e THC

Parte VII: China Town

 

———— Prologo ————

Sono passati circa 5 giorni dalla serata al Random Party e le cose in casa procedono tranquille, tranne che per un dettaglio. Lukas, giornalmente, offre piccoli omaggi di THC ad Andrea: l’angioletto ha iniziato a fumare giornalmente. Le cose fra noi si sono aggiustate, certo, ma ho come l’impressione che la situazione mi stia scivolando di mano. Ogni sera lui e Lukas si chiudono in camera del biondo coinquilino e restano lì per delle ore. La sera prima quella in cui è ambientato il racconto avevo visto lo studente di medicina accarezzarsi il ciuffo con la mano sinistra e sorridermi spostando le labbra verso sinistra, mostrando due piccoli canini bianchi: “A più tardi, coinquilino…” per poi chiudersi la porta di Andrea alle spalle fissandomi con i suoi occhi verdi.

Lo sta plagiando.
E Andrea lo sta permettendo.
Quello che abbiamo fatto quella sera ha rotto più le scatole a lui che ad Andrea…
Gli equilibri si stanno spostando.
E siamo in tre in casa, non è poi così difficile spostarli.

————

Sono le dieci di mattina e sto per finire la lezione. Prendo appunti e sento il telefono della tasca vibrare. Lo afferro e scopro una piacevole sorpresa. È Liu, una delle ragazze cinesi conosciute nel residence Cristoforo prima del Random party.

chinese dinner, motherfucker

Beng!
Eddaje!
Ma che cazzo è quella faccina, poi?
Sono asiatiche, non possiamo capire.
Dai, questa è la nostra occasione per conoscere meglio Bejun!
E magari riportare Andrea in carreggiata.

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Sono le cinque di pomeriggio e tutto è pronto: l’appuntamento è per le otto e mezza al residence.
Abbiamo parlato tutta la mattina e mi hanno detto che non è necessario che io porti nulla, mi sono comunque proposto per del vino.

china town

Vado verso la camera di Andrea e busso alla sua porta. Mi risponde Lukas: “Chi è?”
Io: “La fatina. Posso entrare?”

Li sento bisbigliare qualcosa, poi la voce seccata di Andrea rompe il silenzio: “Sì, sì. Entra.”
Apro la porta e li trovo entrambi sdraiati sul letto, la camera è piena di fumo d’erba e i miei coinquilini hanno occhi rossi e due sguardi da ebeti stampati sui loro volti. Lukas si tira su con la schiena e inizia ad accarezzarsi il ciuffo nero fra le dita. Indossa una camicia bianca e il solito costoso orologio al polso.

L: “Che cosa c’è?”
Io: “Beh, non credevo di trovarvi entrambi qua… Non già da adesso, dico.”
Andrea sbuffa sonoramente: “Uff, dai Anon stavamo tanto bene prima che arrivassi… Arriva subito al sodo.”

Così saremo costretti ad invitare anche Lukas…
Fa niente.”

Entro dentro e spalanco la finestra. Dopodiché mi giro verso di loro: “Beh stasera ho un appuntamento con delle ragazze al residence Cristoforo. Ti ricordi le china con cui abbiamo parlato la volta scorsa?”
A: “Quali…?”
Io: “Quelle prima del Random Party.”
Andrea prende la canna da Lukas e inspira dal filtro in cartoncino: “Non ricordo, bro, davvero.”

Bro?
Da quando dice BRO?

Chiudo piano gli occhi sconsolato: “Non importa che te lo ricordi, l’unica cosa che ti serve sapere è che stasera c’è una cena in un residence universitario con sette, e dico sette, ragazze. Ho parlato con una di loro tutta la mattina… Non ci sono altri ragazzi.”
Lukas afferra una bustina da una tasca dei suoi 9.2 color terra rossa e sfila un grappolo di erba che ricorda un fiore secco verde richiuso su se stesso.
L: “E quindi?”
Io: “Quindi?!? Quindi vi sto invitando a venire con me. Dai ragazzi, non capita spesso un’occasione del genere.”
Ad Andrea si illuminano gli occhi e gira lo sguardo verso Lukas: “Hey, non sembra male davvero quest’idea.”
Il coinquilino si aggiusta i polsini della camicia e comincia a sminuzzare l’erba in un grinder argentato.
“Forse ti sei dimenticato quello che dobbiamo fare stasera…”
Andrea sbatte la testa contro il muro chiudendo gli occhi: “Ah già… è vero.”

Non riesco a capire che sta succedendo, credevo che una proposta del genere li avrebbe a dir poco esaltati.

A: “Mi spiace Anon, non vengo neanche io.”
Io: “Ma ti stai rendendo conto di quel che stai dicendo…?”
A: “Si lo so, ma stasera abbiamo appu-”
Lukas lo interrompe sbattendogli una mano sulla coscia: “Hey. Era un segreto o sbaglio?”
Andrea lo guarda inclinando la testa come uno struzzo a cui son state sfilate le vertebre del collo: “Ah, già.”
Mi guarda con i suoi occhi azzurri, ora resi opachi e scuri da occhiaie nere e vene rosse sullo sfondo bianco: “Mi spiace Anon, sarà per un’altra volta.”

Resto a fissarli per qualche secondo, ho le mani penzoloni lungo i fianchi e non mi capacito del cambiamento avvenuto davanti ai miei occhi. Lukas mi sorride arricciando il labbro superiore e accende la canna passandola direttamente ad Andrea, senza fare neanche il primo tiro. Andrea la afferra, fa due boccate e la ripassa al medico. Lo vedo sorridermi, portarsi il filtro alla bocca e far finta di aspirare, per poi passarla ancora ad Andrea. Sul suo volto un sorriso di pura soddisfazione: sa che lo sta plagiando e ha voluto mostrarmelo, fa fumare solo Andrea.

Non dico una parola, quel gesto di sfida è più che palese. Mi giro su me stesso ed esco dalla camera chiudendomi la porta alle spalle.

Sono le sette e mezza di sera e vado a farmi una doccia, i due coinquilini sono ancora chiusi in camera e non si sono più fatti vedere. Mi vesto con jeans, maglietta e una felpa leggera, dopodiché chiudo la porta a chiave della mia camera, cosa che non avevo mai fatto prima, ed esco di casa. I cattivi presentimenti si affollano nella mia mente e non riesco a trovare una soluzione a questa situazione. Sono in anticipo di mezzora, ci metterò circa 15 minuti ad arrivare in Residence Cristoforo e tutto sembra pronto.
Afferro le bottiglie di vino, esco di casa e inizio a pedalare. A cinque minuti dall’arrivo Liu mi manda un messaggio.

MaledetteLe stronze si sono ricordate di essere astemie.

Maledette - CopiaE me lo dicono adesso, alle 8 e 20. Dieci minuti prima dell’appuntamento.

Maledette - Copia (2)

MA PORCA TROIA!
E adesso?!?
Non possiamo certo presentarci a mani vuote.
Abbiamo una sola possibilità.
Il centro Giotto.

Faccio inversione ad U e inizio a pedalare come un dannato, odio arrivare in ritardo.

Dopo qualche minuto arrivo al centro commerciale, parcheggio la bicicletta ed entro, le due bottiglie di vino ancora nella busta. Mi addentro nella galleria finché non raggiungo il supermercato, mi faccio mettere da parte in una busta le due bottiglie portate da casa e mi addentro fra gli scaffali correndo verso sinistra. Prendo 3 bottiglie da un fuscello mezzo aperto e vado a fare la coda per pagare.

Ne scelgo una dove sembra ci sia poca coda e aspetto. Davanti a me solo una ragazza e un vecchietto.
Passano cinque minuti e l’anziano ha a malapena inforcato gli occhiali da vista per leggere quello scritto sullo schermo della cassa self-service.

Una voce elettronica procede ad impartire ordini: Passare sotto la luce rossa il codice a barre del prodotto.
Il vecchietto si gira intorno: “Come prego?”

Annamo bene.”

Sollevo gli occhi al cielo e sento Murphy ridere mentre le file a destra e a sinistra procedono veloci.
Un’addetta si alza e prova a spiegare al vecchietto cosa fare: “Signore deve solo passare le cose qua sopra, vede?”
Afferra un detersivo e fa per passarlo sotto l’occhio rosso del lettore. Il vecchio la interrompe: “NON TOCCHI LE MIE COSE!!”
Passare sotto la luce rossa il codice a barre del prodotto.
L’addetta solleva un sopracciglio: “Ma volevo solo darle una mano.”
“Signorina, ho 86 anni. Se permette, alla mia età, so bene come si fa la spesa.”
“Si certo, ma credo sia in diff-”
“Non credo proprio. Ho solo bisogno di un po’ di tempo. Puah! I giovani di oggi! Credete che noi non sappiamo fare nulla, ma abbiamo vissuto abbastanza per sapere tutto, noi! Si immagini che nel ’79, prima di partire da Milano, un collega insinuò…”

O cielo.”
MUOVITI VECCHIETTO DEL CAZZO, MUOVITI!

La scena procede ridicola con l’anziano che inizia a sbattere i propri oggetti sullo schermo nero, senza capire bene il significato delle parole “codice a barre”, “luce rossa” e, probabilmente, neanche quello di “demenza senile”.
La voce metallica insiste: “Passare sotto la luce rossa il codice a barre del prodotto.”
“LA SMETTA DI METTERMI FRETTA! QUESTE MACCHINE! PUAH! SONO UNA DIAVOLERIA!”

put it down

Controllo l’orologio e ormai sono le otto e mezza.

Merda.

La mia impazienza sale e mi avvicino spostando leggermente la ragazza davanti a me con una mano: “Scusa eh, vado a dargli ‘na mano.”

Mi avvicino al vecchietto sfoggiando un sorriso da bravo ragazzo e una postura ben eretta: “La prego, potrebbe permettermi di aiutarla?”
Mi squadra inclinando il viso: “E lei chi sarebbe?”
“Uno che ha fretta.”
Il vecchietto si rivolge all’addetta delle casse automatiche: “Ah! Questi ragazzi di oggi! Sempre di fretta!”
Poi ruota la testa verso di me, aggrottando la fronte in una ragnatela di rughe spesse: “Come si chiama, giovanotto?”
“Anon.”
“Ah! Anon! Pensi, a Milano c’era un mio collega in fabbrica che aveva il suo stesso nome! Una volta gli portai una vecchia marmitta che grattava leggermente, certo, non era poi troppo guasta, ma mi doveva un favore per via…”

OH DIO!
BASTA.

Annuisco leggermente e lo interrompo portando i palmi davanti a me: “Ah già, molto interessante. Quindi lei viveva a Milano?”
“Oh si! Milano! Una città mooooolto grande, ma ormai la conosco come le mie ta-”
“Se li ricorda i bombardamenti degli alleati sulla città?”
È un attimo e il suo centro nervoso assorbe la domanda risvegliando ricordi nascosti. Vedo i suoi occhi allontanarsi dalla realtà mentre il grigio dell’iride si fa sempre più scuro. La sua voce cambia timbro e si fa più greve: “Oh… Quelli. Come potrei mai dimenticarmeli… Quella sirena… Quel suono…”
Le sue labbra si muovono piano facendo uscire parole tremolanti: “Ad ogni ora del giorno e della notte… Certo che mi ricordo quella sirena… Certo…”
Comincia a fissare il vuoto rimanendo in silenzio mentre io inizio ad afferrare i suoi prodotti e a batterli sotto la luce rossa della cassa, la gente intorno a me è incerta se ringraziarmi o disprezzarmi.

“Bene, sono 9 euro e 40. Ha spiccioli?”

Il vecchietto si scuote e afferra un portamonete dalla tasca dei pantaloni iniziando a cercare con dita tremolanti aggiustandosi gli occhiali da vista. È ancora muto.

“Si ricorda poi dove scappaste? Immagino al nord, fra le montagne. O eravate costretti a rimanere in città?”
Ha un piccolo scatto: “Si… Dovevo restare… Dovevo, ma scappammo…” un nodo gli stringe la gola. “Scappammo.”
Mentre gli sollevo piano il portamonete dalle mani aggiungo sorridendo: “Chissà che cosa avrebbero fatto se vi avessero presi.”
“Ooohh ci avrebbero sparato! Ci avrebbero messi in linea contro il muro…”
“Magari qualcuno ha coperto la fuga…? Qualche amico?”
“N-no… Nessuno…”
“Chissà se è ancora vivo.”
La sua mano continua a tremare piano: “I-i-io…”

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Comincio a inserire le monete nella macchinetta, poi imbusto la sua spesa e gliela porgo. Avevo approfittato della situazione e battuto anche le mie cose.

Gli metto il portamonete in mano con dentro 5 euro miei: “Grazie.”

Mi allontano con il vino nella mano destra e le bottiglie di coca in quella sinistra, il vecchietto ancora ammutolito dietro di me. Esco dal centro commerciale, salgo sulla bicicletta sentendomi leggermente in colpa e inizio a pedalare verso il residence mentre le bottiglie traballano a destra e sinistra contro il manubrio.

Più forte!
Dai che siamo in ritardo.
Porca miseria.
Ragazzi, però dai… Magari c’è rimasto male.
Naaaaahh.

Man mano che pedalo mi rendo conto di quello fatto e un morso alla coscienza inizia a tormentarmi.

Ma ti rendi conto?
Ma dai, abbiamo detto frasi standard…
Sì, però…
Sarebbero potute andare bene a qualunque sopravvissuto.
Hai giocato sporco. Chissà che cazzo gli hai fatto ricordare.
Non cred-
Hai visto la sua espressione? I suoi occhi?
B-b-bhe sì, ma…

Sono quasi arrivato al residence, entro dentro il cancello e saluto Liu con una mano, mi sta aspettando davanti all’ingresso.
Le sorrido inconsapevole mentre accade: proprio in quell’istante un rumore metallico interrompe il silenzio primaverile come una raffica di AK-47 facendo tremare tutta la bicicletta: TA-TA-TA-TA-TA-TA-TA-TA-TA-T-
Inizio a frenare abbassando lo sguardo: la busta con le bottiglie di coca si sta per infilare nella ruota e il collo di una bottiglia urta contro i raggi. Mi sembra di sentire le pupille dilatarsi in preda al terrore.

Oh por-

Inizio a frenare, ma Murphy scoppia a ridere chissà dove mentre il tappo della bottiglia salta per aria con un boato degno di un Bomber Command del ‘38 e la bottiglia esplode. Lo spavento per poco non mi fa cadere mentre finalmente mi fermo e spruzzi di coca partono dalla busta bagnandomi pantaloni e felpa.

GIUDA BALLERINO!!
PROPRIO ADESSO?!?

Liu resta ferma a guardarmi e poi si porta una mano alla bocca iniziando a ridere in silenzio.
Parcheggio la bicicletta coprendomi di imbarazzo mentre apro le braccia abbassando lo sguardo e notando il disastro.

Il nostro superpotere non ce lo leverà mai nessuno.
La maldestrità.
O la maldestrezza?
Non credo che esista come parola.
Inchiostro alla spina è un blog di esperimenti narrativi dov-
Senti, okay, va bene? OKAY. Ne cercherò una migliore.
E tu saresti quello che gestisce un blog di scrittura creativa?
Non mi veniva la parola.
Patetico.

Mi avvicino sollevando le buste e provando ad abbozzare un sorriso impacciato, dalla plastica goccioline marroni si staccano e cadono sul pavimento.
“He-hey… What’s up?”
Liu ricambia il saluto provando a non ridermi in faccia, poi mi accompagna all’interno, nell’ingresso, e poi di nuovo fuori, nel prato esterno. La tavola è già stata apparecchiata e mi stanno tutti aspettando. Io mi presento sporco di Cola, con una busta piena zeppa di liquido nella quale sguazzano altre due bottiglie di plastica. Sorrido imbarazzato.
Ci salutiamo velocemente, mentre vedo sui loro volti labbra che abbozzano un sorriso chiuso, e inizio a spiegar loro la situazione in inglese. Liu la spiega alle altre in cinese.
Dopo una trentina di secondi davanti a me ci sono 7 ragazze che ridono.

Beh, far ridere una donna è il modo migliore per conquistarla.
C’è una certa differenza fra ‘ridere’ e ‘deridere’.
Ma da me che cazzo vuoi adesso?
Ti rendi conto che ogni minima cattiveria che fai ci si ritorce contro dieci volte tanto?
Eeeeehh… Esagerato…

Mi siedo al tavolo deciso a riparare la situazione. Non dovrebbe essere troppo difficile.

Emisfero destro?
Dica.
Strategia di conquista femminile suggerita?
Lo spirito da crocerossina è un evergreen. Direi di procedere con manovra di persuasione 022: finta autocommiserazione.
Bene. Emisfero sinistro, da te mi aspetto movimenti studiati e coordinati.
Okay, procedo scuotendo un po’ la testa e sospirando ironicamente.
Non dimenticar di far spallucce e sorridere. Devono comunque capire l’ironia.

Frasi incoccate, verbi scongelati, movimenti programmati: il contrattacco dialettico inizia.

*Tradotto dall’inglese*

“Eh ragazze, che vi devo dire. Ho sempre sfortuna nei momenti peggiori.”
Risatine cominciano piano a far vibrare l’aria.
“Prima di uscire di casa mi son proprio detto: Anon, mi raccomando, non fare figuracce stasera… Sei a cena con sette ragazze, non ti capiterà mai più in tutta la vita.” Scuoto la testa chiudendo gli occhi e abbozzando un sorriso: “E invece no. Ovviamente mi esplode la bottiglia di coca cola a due passi da voi.”
La prima ad abboccare è la finlandese, Anni: “Aaaaww andiamo, Anon! Può succedere!”
Sollevo appena le spalle: “Sì, sì. Lo so. Ma succedono sempre tutte a me nei momenti peggiori!”

Beh, questo è oggettivamente vero.
La nostra impacciataggine è unica.
Ecco un’altra parola che non esiste. Sei la vergogna dei blogger.
Prova a tradurre ‘sono una pippa’. Direi che con il significato siamo lì.
I’m a handjob…?
Nah… Forse è meglio di no.

Io: “L’unica volta che mi si è forata la bicicletta è stata la mattina di un orale…”
Le asian muovono come un sol uomo la testa verso sinistra: “Oooww!”
Io: “Sì, che poi tipo la scorsa settimana mentre cucinavo…”

Bene, il discorso continua. Emisfero sinistro?
Dica.
Come siamo messi a linguaggio del corpo?
Ascoltano e sorridono, nessun segno di nervosismo.
Ottimo.
Ah, ho trovato.
Cosa…?
Dovrebbe dirsi: I’m a jerk.

Risatine concludono il soliloquio e sento di aver guadagnato un po’ di terreno.
“Comunque qua si sono salvate due bottiglie di coca e due di vino, spero che bastino!”
Matylda prende un cavatappi e spalanca gli occhi: “Ma certo, ma certo! Solo io e Anni beviamo vino, le altre ragazze no. E poi non reggiamo neanche tanto bene l’alcool.”

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Ma non mi dire…

Bye si solleva in piedi e decide di fare una presentazione dei piatti della serata. Indica una pentola in acciaio sollevando il coperchio: “Allora, qua abbiamo dell’anatra all’arancia…”

Stereotypes intensified.

“Poi qua ci sono delle polpette di manzo in brodo, poi del riso alla cantonese, delle salsine da mangiare con queste bruschette e lì abbiamo i piatti di Anni e Matylda.”
Anni mostra una coppa gialla: “Si, io ho preparato una zuppa di spinaci!”
Matylda indica una padella: “Io invece del gulasch.”

Bene, c’è tutto. Iniziamo a mangiare.
La serata va avanti tranquilla, qualche zanzara di tanto in tanto ronza su di noi, ma i discorsi hanno la meglio e l’interesse generale nello scoprirsi a vicenda è tangibile con mano.
Bejun, la bambolina di porcellana dagli occhi a mandorla, stasera è particolarmente carina: una treccia nera le pende dalla spalla destra, chiudendosi in un fiocco verde, le dita lunghe e affusolate afferrano con delicatezza le bacchette, si porta leggermente una mano alla bocca quando ride e le palpebre inferiori si sollevano leggermente rendendo gli occhi luminosi e dipingendo sul suo volto un’espressione pucciosa.

MA LA FINISCI?!?
Dai è una bella parola. Molto onomatopeica.

Le altre ragazze cinesi, per quanto abbiano provato a rendersi carine, ahimè, sfioriscono di fianco a lei.
Anni questa volta ha, invece, saggiamente optato per una maglietta meno aderente: indossa una camicetta leggermente aperta sul seno, capelli biondi lisci, appena pettinati e profumati di shampoo poggiano delicati sulle spalle, labbra rosa e denti bianchissimi.
Matylda parla poco, un filo di trucco color malachite scura sottolinea le striature dei suoi occhi verdi e indossa un paio di jeans chiari e un maglioncino porpora aderente che sottolinea le sue forme prosperose.

Prendo le posate e inizio a ad assaggiare la prima porzione di anatra all’arancia accompagnandola da riso e salsa agrodolce. Porto la forchetta alle labbra e noto dei pezzettini gialli fra la carne fibrosa.

Io: “Ma cosa sono queste cose gialle?”
Liu: “Ah! Quello è ananas!”
Io: “…Ananas?”
Bejun: “Si, e ci sono anche delle arance.”

Beh si, quelle me le aspettavo, ma non anche l’ananas.”

Lo assaggio e i sapori si prendono a cazzotti nella mia bocca, l’aspro e l’amaro sono eccessivi e un’inaspettata nota piccante li copre. La carne è oltre il tenero: è liquefatta.

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Io: “MMMHH!! OTTIMO!”
Fan comincia a battere piano le mani davanti al petto: “Oh! Sono felice ti piaccia! Quello l’ho fatto io!”
Io: “Mmmhh e cos’altro ci hai messo?”

Scopro i nomi di tre frutti comprati da un emporio cinese, delle spezie mai sentite e pinoli.
Finisco il piatto e decido di passare ad altro, nel frattempo la discussione procede sulla vastità della Cina e dei quattro differenti accenti della loro lingua.
Afferro il mestolo e verso un po’ di polpettine di manzo in brodo nel piatto. Me ne porto una alla bocca e la assaggio tranquillamente. Mentre fuori faccio battute e parlo amichevolmente dentro di me implodo: sembra di mangiare delle palline di polistirolo e farina. Sono dure all’esterno e si sfibrano quando le si stringe fra i denti.

Meno male che sono in brodo, cazzo.

“Buone davvero! Queste chi le ha preparate?”
Ren alza la mano sorridendo e aggiustandosi gli occhiali sul naso, montatura nera e lenti spesse: “Io! Io! Io! Io!!!”
“Davvero buone, consistenza mai sentita prima. Ma come mai, sai… Mi hai detto che sono di manzo, no? Ecco… Perché sono bianche?”
“Ah! C’è anche del pesce!”

Che?
PESCE?!?

Ci metto un po’ per rispondere: “Mh. Capisco. Comunque buonissime, eh! Davvero.”
Ren aggrotta debolmente la fronte e chiude le labbra dispiaciuta.

Alert! Alert!
Troppa ironia nell’ultima frase!!
Correre ai ripari.

Affondo il cucchiaio nel piatto e sollevo altre due palline bianche con il cucchiaio e le mangio socchiudendo gli occhi: “Mmmmhh! Buone davvero.”
Ren ha ripreso a sorridere soddisfatta.
“E tu che cosa studi esattamente Anon?”

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Nella mia bocca le papille gustative stanno esplodendo, il dolce, l’amaro, lo stopposo e l’insipido convivono assurdamente sulla lingua. Mentre parlo decido di passare al gulasch, un sapore forte dovrebbe spazzare via tutto. Ne prendo una porzione piccola e inizio a mangiarla mentre sposto la discussione sulla musica.

Bitches love music.

La carne è tenera e succosa al punto giusto, la salsa bilanciata e piacevolmente piccante e speziata. Finisco il piatto in qualche minuto assaporandolo con grande piacere, così come tutti. Oltre all’enormi tette, Matylda ha anche una grande abilità in cucina e, considerando quanto poco me ne freghi della sua prima dote, resto piacevolmente stupito dalla seconda.

Direi che non dovremmo sottovalutare neanche l’opzione Polonia.
Direi di no.

Proprio mentre il palato ha raggiunto la pace dei sensi decido di prepararmi un crostino con delle salsine. Non avrei dovuto.
Le labbra si schiudono, le arcate si separano e addento il bordo croccante.
Un’ondata di sapore acre, pungente ed erbaceo mi afferra la gola e mi blocca le vie respiratorie. Comincio a masticare il crostino provando a non tossire davanti a tutti. Mi giro a destra e sinistra guardando Anni e Matylda che tendono il collo imbarazzate: hanno assaggiato anche loro la salsina e hanno lasciato i rispettivi crostini nel piatto. Questa roba piace solo alle cinesi. Mastico a fatica e poi butto tutto giù con una lunga sorsata di vino.
“Ah quindi sei anche un musicista? E cosa suoni?”

Meglio tornare sull’occidente.

Mi verso un po’ di zuppa di spinaci nel piatto e assaggio con il cucchiaio, nello stesso istante Matylda mi dice di saper suonare il basso elettrico. Anche lei.

Basta, è amore.
No. A me continua a piacere di più Bejun.
Ma dai!
Anche a me. E io decido.

Iniziamo a parlare di Wojtek Pilichowski, uno dei migliori bassisti polacchi, mentre affondo il cucchiaio nella zuppa cremosa color piselli secchi dalle striature leggermente più scure in spirali flessuose. Stiamo parlando dello slap del musicista quando sento la consistenza della zuppa fra le labbra. Finisco il boccone e sembra di infilarmi in bocca una goccia di jogurt liquido con filamenti molli di spinaci che si muovono fra i denti e i grumi densi. Il sapori della panna e del burro coprono totalmente quello della verdura e la totale mancanza di sale e spezie rendono la crema insipida e stucchevole.

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Anni mi guarda accarezzandosi i capelli: “Allora, com’è?”
Ingoio con fatica la cucchiaiata di burro: “Davvero molto dolce! Buona! Io magari avrei aggiunto un po’ di pepe, ma solo perché piace a me. È comunque molto delicata!”
“Ah bene! Sono contenta ti piaccia! Ho frullato gli spinaci con la panna e poi li ho bolliti con un po’ di burro e olio!”
“Ma non mi dire! È delizioso!”

Riesco a finire, ahimè, il piatto e decido di concentrarmi su Bejun mentre mangio un po’ di riso alla cantonese. Riso che poi, avrei scoperto, non è nient’altro che riso normalissimo cotto male finché non si scuoce totalmente. Il sale? Anche qua è un miraggio.

Mentre parliamo di università, feste studentesche e differenza fra vita erasmus e loro normale vita universitaria sento un leggero fruscio sulla mia gamba destra: Bejun, inaspettatamente, sta bevendo un po’ di vino e le sue guance si tingono di rosso mentre strofina il collo del piede contro la mia tibia.
Mi sorride con malizia mentre continua a discutere come se niente fosse e io, nel frattempo, perdo il controllo degli ormoni.

Fan: “Bejun! Ma che fai!! Bevi il vino? Avevi detto di non reggerlo…”
Bejun sorride ridacchia piano chiudendo gli occhi e sollevando due zigomi soffice: “Hihihi!! Si… lo so, ma stasera mi va…”
Continua a sorridermi e giocherella con le bacchette facendole ruotare fra le dita.

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Ormai si è fatto buio e la cena finisce dopo poco, Anni e Matylda si sono bevute quasi una bottiglia di vino e io ho scolato l’altra da solo a furia di mandar giù bocconi ora agrodolci, ora stopposi, ora burrosi ora stucchevoli.
Sono leggermente brillo quando iniziamo a sparecchiare e portiamo piatti e pentole nella cucina dell’appartamento più vicino che scopro essere proprio quello di Bejun. Iniziamo a parlare seduti sul letto e su delle sedie, ma dopo qualche minuto vedo la finlandese sbadigliare e bussare sulla spalla dell’amica polacca: dopo un po’ ci salutano e vanno nelle loro camere dicendo di esser stanche morte, ma di aver passato una bella serata.
Rimangono solo le altre ragazzi cinesi ed è venuto il momento di trovare una scusa per star da soli con Bejun: mi offro di aiutar a lavare i piatti, sperando che il segnale venga colto.

Strategie a parte mi sarei reso conto solo più tardi dello stato delle pentole: ruggine, salsa incrostata, riso fuso ai bordi, pezzetti di carne anneriti contro il fondo e una misera spugnetta gialla con cui provare a levare tutta quella merda. Sono davanti al lavandino osservando quel casino e sento due mani che mi si posano sui fianchi. Mi volto: Bejun mi sorride piano dandomi un bacetto sulla spalla. “Dai, ti do una mano.”

Perfetto.

Fan, Liu, Ren e Bye restano sedute sul letto e le sento ridacchiare, pur non capendo nulla di quel che dicono sono quasi sicuro stiano parlando di noi. Dopo qualche minuto decidono di levarsi finalmente dalle palle. Saluti di circostanza, finti complimenti culinari, ringraziamenti, ciaociao, bacini, bacetti, sorrisi, convenevoli e bla bla bla.

Sì, sì, sì, grazie mille.
Fuori dai coglioni adesso.

Ritorniamo al lavabo, io a sinistra e lei alla mia destra. Insapono la spugna e continuo a lavare i piatti mentre scherziamo, parliamo e ci schizziamo un po’ con l’acqua in adolescenziali e immaturi rituali che, secondo regole standard di approccio fisico universalmente approvate dalla Convenzione di Vienna, dovrebbero precedere l’accoppiamento. Man mano che i minuti passano le voci si fanno più silenziose e i nostri corpi più vicini, i fianchi si sfiorano piano, così come le nostre mani sotto l’acqua. Ha la pelle più morbida che abbia mai sentito.
Sto scrostando dei pezzetti di ananas e anatra dal fondo della pentola e sento due petali morbidi che mi si posano sul collo e schioccano piano umidi e caldi.

Porto indietro la testa mentre il bacio scatena una domino di impulsi elettrici che viaggiano su sinapsi euforiche dalla punta dei piedi ai capelli.

Chiudo il rubinetto e asciugo le mani ad uno strofinaccio, porto una mano alla sua vita avvicinandola a me, le sue braccia si sollevano avvolgendomi il collo con leggerezza e quei due petali color pesca si sollevano piano, chiudendosi e aprendosi mentre risalgono il collo, umettandomi debolmente il profilo del mento.
Abbasso la testa chiudendo gli occhi e assaporando una sensuale delicatezza mai ricevuta prima mentre le sue labbra, senza fretta, si avvicinano alle mie.

patrioctic boner

Boner: activated.
Mmmhh quanta dolcezza…

Ci baciamo delicatamente per qualche minuto, mentre si avvicina sempre di più e strofina il suo corpo contro il mio come un serpente, le mie mani accompagnano i suoi movimenti e, proprio mentre inizio a baciarle il collo lo sento. GROOWOWLLWLWLWLLLLL.
Lo stomaco, dentro di me, inizia a contrarsi silenziosamente.

Oh no…
Dai, chi se ne frega, l’importante è che non faccia rumore…
Giusto…

Continuo come se niente fosse, ma nel profondo qualcosa sta iniziando a cambiare, sempre più velocemente e con sempre più dolore. I crampi si spostano dall’addome al basso ventre mentre sento rutti acidi carichi di bile risalirmi l’esofago. Gli occhi mi si spalancano mentre inizio a sudare freddo. Posso sentire la mia pelle cambiare colore come quella di un calamaro.

Dio, ti prego.
Non questo.
Non adesso.

lol nope jesus

Vedo Dio sedersi su una nuvola rosa e chiamare a gran voce lo Spirito Santo indicandomi ridendo.

Provo a far finta di niente e lei è troppo presa dal momento per capire che sto male, d’altra parte il mio corpo non sembra darlo a vedere. Cioè, voglio dire… Insomma avete capito.

Il reflusso acido mi riporta in bocca il sapore dell’anatra all’arancia, con quel suo dolciastro stucchevole, la consistenza farinosa delle palline di manzo (o pesce?) e un grumo al burro della zuppa agli spinaci. Ritraggo il mento nel collo attenuando il rigurgito e sulla lingua ritornano sapori acidi, piccanti, dolciastri, muschiati e quello erbaceo della salsa bianca.

GROOWOWLLWLWLWLLLLL.

stomach-growl

P-P-PORCA TROIAAAAA…

Bejun non sospetta niente, ma sento la temperatura del corpo crollare e le gambe iniziare a tremare. Il nodo allo stomaco si stringe e si abbassa tormentandomi adesso l’intestino. La bambolina cinese mi afferra con una mano e mi porta verso il letto.

DIO, TI PREGO, PERCHÉ MI FAI QUESTO? PERCHÉ?

Vedo Dio portarsi una mano alla bocca e gridare qualcosa. Gesù lo raggiunge poco dopo con dei popcorn e si stende su un letto di ninfee sgranocchiando allegramente guardando la scena.

Il retto inizia a premere e pulsare, non posso trattenermi oltre. Nello stesso istante Bejun si sfila la maglietta mostrando un corpo elegante nelle forme e dalla pelle di morbida seta. Un uncino mi stringe la gola mentre contraggo più che posso ogni tipo di sfintere che abbia in corpo.

Due dozzine di angeli scoppiano a ridere sbattendo le ali con approvazione. Sento le leggi del cosmo, dell’ordine e del caos fermarsi e concentrarsi su di me. Non ho scampo.

CHE CAZZO FACCIAMO?
C-c-c-chiediamole di andare in bagno.
No dico… Credi davvero… Credi DAVVERO che questa cagata sarà silenziosa?
Cosa proponi?
Andare via. ADESSO.
Meglio questo che imprimerle nella memoria l’indelebile immagine di noi seduti sul cesso mentre la camera viene squassata da boati liquidi che ricordano un film horror anni ‘80.”
Già.

Afferro il telefono nella tasca e faccio finta che stesse vibrando: “Scusa… Qualcuno mi sta chiamando.”

Comincio a parlare in italiano fingendo che ci sia un problema, la naturale preoccupazione sul mio volto aiuta. Dopo qualche secondo termino con un: “Arrivo. Arrivo subito.”

Le spiego la situazione: un mio collega universitario ha fatto un incidente con la bicicletta e lo stanno portando al pronto soccorso. Sul suo volto si posa uno sguardo di puro sconforto.

Dovrebbe essere una scusa abbastanza seria per scappare senza troppi problemi.

Bej: “Oh, mi dispiace… Dai, andiamo subito.”
Io: “Andiamo?!?”
Bej: “Sì dai, ti accompagno. Sembra qualcosa di serio.”
Spalanco gli occhi: “NO!!!” Provo a riprendere il controllo: “Cioè voglio dire, è sicuramente una cosa seria, ma hai cucinato tutto oggi, è stata una giornata lunga…”
Mentre dico queste parole la pressione dentro di me sale al punto che converrebbe misurarla in bar invece che in Pascal e mi allontano a piccoli passi verso la porta. “Preferisco tu resti qua, io pedalo più velocemente. Stai tranquilla.”
Lei si avvicina lentamente e resta in silenzio sconsolata per qualche secondo, poi mi poggia un piccolo bacio fruttato sulle labbra: “Va bene. Però… Mi dispiace tanto…”

disappointed girl

Ricambio il bacio facendole una carezza provando a mantenere la calma e non solo quella: “Eh, a chi lo dici.”

Esco dalla camera richiudendomi piano la porta alle spalle mentre lei mi sorride triste.

GROOWOWLLWLWLWLLLLL.

Non appena si chiude la serratura scatto: comincio a correre velocemente, ma non troppo. Diciamo che divaricare le gambe non aiuta a mantenere tutto ben chiuso.

Arrivo più velocemente che posso alla bicicletta, sfilo il lucchetto e inizio a pedalare. Dentro di me un oceano di lava liquida ribolle terribilmente. Le vene sulla tempia si gonfiano, i tendini del collo si allungano come corde di canapa e le pareti addominali si contraggono. Non resisterò per molto.

Continuo a pedalare più velocemente che posso mentre sudo gocce d’ammoniaca e acido cloridrico. Dopo cento metri son costretto a fermarmi. Mi guardo intorno: a destra e a sinistra c’è solo prato scuro illuminato debolmente dalla luna, noto delle siepi a sinistra. Sterzo con la bicicletta salendo sul marciapiede abbandonandola sul prato, poi inizio a camminare verso gli alberi provando a mantenere le gambe ben chiuse. È tutto inutile. Sono a dieci metri dalla siepe e accade.

Beh, scrittore… Come la mettiamo adesso?
Non saprei. Se proprio dobbiamo perdere la dignità facciamolo per bene.

Le iridi vengono inghiottite dalla sclera mentre in un movimento veloce mi slaccio la cinta, sfilandomi una scarpa e una gamba dei pantaloni e delle mutande. Appena mi accovaccio un tornado di liquido acido mi squassa dall’interno partendo a velocità Mach 7 e raggiungendo rumorosamente il suolo in una cascata ocra. Il fiume spara con sé proiettili di carne, filamenti di spinaci e schegge di riso, i disgustosi gorgoglii riecheggiano nella desolazione del prato intorno a me rimbombando nell’etere.

a pain in the ass

Capovolgo gli occhi all’indietro mentre spalanco la bocca in un grido silenzioso. Dopo qualche secondo il getto perde potenza e deboli singhiozzi rettali lasciano uscire, di tanto in tanto, gli ultimi rimasugli. Comincio ad ansimare senza controllo mentre lacrime di dolore mi scavano le guance. Potrei quasi iniziare a singhiozzare quando arriva la seconda ondata.

too much pain

Le gambe mi tremano terribilmente e la temperatura corporea scende sotto i 32 gradi, la vista mi si appanna debolmente e invoco la pietà di Dio, Buddha, Allah, Odino, Zeus, Freddie Mercury e Randy Rhoads.

Resto in quella posizione oltre un quarto d’ora, terminato il quale crollo a terra: riesco a malapena a muovere le gambe e a pensare. Ho la bocca secca e la faccia fradicia di sudore. È Il momento di darsi una ripulita. Infilo le mani nelle tasche dei pantaloni: trovo solo portafoglio, chiavi di casa e cellulare. Controllo nella tasca centrale della felpa: il nulla. Non ho fazzoletti.

Mi guardo intorno ansimando: dalla siepe distano ancora dieci metri e non sono minimamente nelle condizioni di alzarmi in piedi, figuriamoci raggiungerla. Non chiedetemi cosa mi sia passato in mente, ma lo faccio con l’idea che mi sarei anche potuto parzialmente pulire.

peter-ass-race-trololo-oBeh…

866762930082861893Insomma…

d9OHCCioè ecco…NUKbO

Arrivo finalmente alla siepe sudato fradicio e ansimante come un tossico in astinenza. Afferro foglie, arbusti e tutto ciò che abbia una superficie sufficiente ai miei scopi.
Mi pulisco meglio che posso, dopodiché imbottisco le mutande per evitare di sporcarmi troppo.

Resto accovacciato qualche altro minuto per riacquistare le forze, poi mi sollevo in piedi e ritorno tremando verso la bicicletta. La risollevo e inizio a tornare a casa temendo di svenire da un momento all’altro.

———— Epilogo ————

Apro il garage, parcheggio la bicicletta e inizio a salire le scale tenendomi la pancia fra le mani.
Entro in casa facendo più silenzio che posso, prendo il pigiama e vado in bagno. Mi spoglio e metto tutto nella lavatrice, dopodiché mi faccio una doccia.

Dopo un quarto d’ora mi guardo allo specchio appoggiando le mani al lavandino: ho il volto sconvolto e un’espressione distrutta. Mi metto il pigiama e vado in camera.

Mentre lo faccio sento qualcosa di imprevedibile: ansimi femminili provengono dalla camera di Andrea.

C-cosa?
Starà vedendo un porno, dai. Andiamo a letto.
No. Ascolta meglio…

La ragazza sta ansimando il suo nome: “Ooohh! Andreaaa… Mmmhh siii…”

Sgrano gli occhi incapace di assimilare la situazione, vado verso la camera di Lukas e ascolto: sta parlando con una ragazza.

Lukas e Andrea stanno con due ragazze…
E Lukas… Lukas ha fatto trombare Andrea…
Questa è la fine…
L’abbiamo perso. Definitivamente.

Vado in camera mia chiudendomi la porta alle spalle e stendendomi a letto mettendomi a leggere qualcosa: questa situazione mi puzza e voglio provare a rimanere sveglio per capir meglio cosa succede.

 

———— Epilogo dell’epilogo ————

Sento una porta del corridoio aprirsi, spengo velocemente la luce del comodino e tendo le orecchie. Suole di gomma camminano lentamente per evitare di farsi sentire e si spostano verso la camera di Lukas. Una maniglia si abbassa e poi si richiude subito dopo. Apro la finestra e tendo le orecchie. Dopo qualche minuto di silenzio sento un’altra finestra aprirsi e qualcuno affacciarsi al balcone. Lo studente di medicina continua a parlare con due ragazze: “Allora, com’è andata? Ci sei riuscita?”
Sento uno sbuffo e delle risatine: “Mamma mia, uno strazio!!”
Un rumore di accendino precede la voce di Lukas: “Ma ce l’hai fatta?”
“Sì, alla fine sì.”
Un’altra ragazza si aggiunge al dialogo: “E com’è andata?”
“Come vuoi che sia andata? Dai su… non sapeva frufrfgvn…”

La voce è bassa e non riesco a sentire bene. Merda.

Lukas scoppia a ridere così come l’altra ragazza: “AHAHAHAH! Ma che storia!”
“Piuttosto, dammi quello che mi avevi promesso.”
L: “Si si, tranquilla. È tutto già pronto, fvdfvasv-dino. PRENDI QUELLA CON SU SCRITTO IL TUO NOME. E SOLO QUELLA.”
Dopo qualche secondo di silenzio la ragazza riprende: “MA QUANTA ROBA HAI QUA DENTRO?”
Lukas sussurra nervoso: “Cosa diavolo gridi?!?” Mi avvicino di più alla finestra provando ad ascoltare meglio, ma lo sento riprendere a parlare mentre chiude la finestra.

Dannazione.
Non abbiamo sentito tutto…
Non è importante: abbiamo sentito la parte che ci serve.
Cioè?
Abbiamo la prova che Lukas sta facendo di tutto per ingraziarsi Andrea, e nasconde alcuni suoi prodotti nel ‘fvdfvasv-dino’… Probabilmente il comodino.”
Mi chiedo dove diavolo voglia arrivare…

 

Clicca QUA per il prossimo episodio: Disastro.

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Rorschach

Studente di ingegneria, lettore di fumetti, bassista occasionale, amministratore e scrittore sconclusionato.
Non credo nelle descrizioni da blogger e quello che leggo su internet, non dovreste farlo neanche voi. Forse. Chissà. Meh. Fanculo.

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