La tacita accusa
Roma, la città eterna; giornata uggiosa e fredda anche per essere a metà febbraio. Stavo camminando e aveva appena smesso di piovere, le nuvole scorrevano in un cielo che si stava facendo, pian piano, stranamente limpido e la gente camminava affollando il quartiere “bene” di Roma in cui vivo, tutti affannati nei loro affari, tutti insieme, ma tutti soli allo stesso tempo; chiusi l’ombrello e iniziai ad usarlo come se fosse un bastone, stringendomi nel mio cappotto lungo che mi faceva sentire un po’ come in quei film ambientati negli anni 30; guardavo senza interesse il foglio illustrativo delle medicine appena acquistate in farmacia chiedendomi come fosse possibile che delle pillole costassero così tanto, poi lo vidi: avrà avuto 50 anni, sporco e malandato. Se ne stava con le sue cianfrusaglie ammucchiate sotto un portico fissandomi, con gli occhi di un azzurro-grigio che non avevo mai visto; poi disse:
-Voi!-
-Tu!- risposi io senza pensare, sentendomi chiamato in causa, senza capire nemmeno il perché di un’affermazione così strana,
-Voi!-
-TU!-
-VOI!-
Il gioco andò avanti così qualche minuto, il suo indice sporco di polvere e catrame puntato dritto verso di me tremava a mezz’aria e pareva perfettamente coordinato con il tono accusatorio, il suo sguardo era pieno di sicurezza e cinismo, mentre io rispondevo senza pensare continuando a mantenendo le distanze, si trattava pur sempre di un senzatetto.
Guardai l’orologio ed erano già le 18:00, il sole era quasi calato e l’aria si era fatta più fresca, il cielo non del tutto ripulito dalle nuvole splendeva d’indaco con un sole ancora leggermente offuscato che lanciava bagliori rossastri.
-L’atmosfera perfetta per sedersi a prendere un thè e guardare la gente passare- pensai tra me e me rimettendomi in cammino. Venti metri più avanti mi fermai a riflettere: –Ma voi cosa?–
Pensai che se quella fosse stata una situazione “normale”, che se qualcuno mi avesse dato addosso così, avrei di certo voluto conoscere i miei capi d’accusa, quindi mi girai per tornare a chiedere a quel barbone cosa volesse da me. Me lo ritrovai invece alle spalle, con l’indice ancora puntato e una sorta di beffardo sorriso: i denti, seppur rovinati dal fumo e dalla mancanza di cure, c’erano tutti. Il fatto mi lasciò abbastanza perplesso perché sembrava che quello fosse un clochard da lungo tempo… come faceva ad avere dei denti così regolari? Strano… dopo un attimo di sgomento ripresi a far funzionare il cervello e parlai:
-Ma voi cosa?-
-Voi, voi! Siete stati voi!-
-Continuo a non capire, noi chi?-
-Se qualcosa c’è stato, è perché siete stati voi a causarlo, di certo non io.-
Sicuro, quel mendicante tornò ad occuparsi della sua roba: sembrava, in effetti, piuttosto affaccendato! Metteva in riga svariati ombrelli rotti appoggiandoli al muro e ordinava le borse e gli zaini intorno alla sdraio che, probabilmente, costituiva il suo letto; tutto ciò mentre io mi sentivo sempre più catapultato in una commedia dell’assurdo in pieno stile Samuel Beckett.
Posi di nuovo la domanda, stavolta stizzito dall’accusa:
-Noi cosa?-
Anche lui mi risposte stizzito, stringendosi nel giubbotto nero, che sicuramente aveva visto giorni migliori, e si aggiusto i pantaloni adottando un tono il quale lasciava pensare che credesse che la mia domanda risultasse troppo banale, troppo stupida, per meritare una risposta:
-Voi, siete stati voi. Il semplice fatto che tu mi abbia risposto, prima, implica che tu abbia accettato la tacita accusa e ti sia sentito in colpa, perché lo sai, lo sai che siete stati voi.-
-Continuo a non capire, mi dispiace…- risposi mentre diventavo sempre più curioso e perplesso
-Non fare finta di nulla! So che hai capito!- Ora era quasi arrabbiato, mi guardava con gli occhi vispi e si sbatteva sentendosi, probabilmente, preso in giro dalla mia ingenuità. Io, nonostante tutto, risi e gli tesi la mano:
-Francesco, molto piacere.-
-Io non do la mano ai Franceschi, sono scaramantico.-
-Assurdo – pensai – mi sembra di essere in “Aspettando Godot”-
-Potrei aver avuto brutte esperienze con dei Franceschi in passato- continuò lui togliendosi il cappello e mostrando i capelli grigi, radi e sporchi.
-Ma io non ho mica scelto di chiamarmi così- risposi ritraendo la mano, e poi aggiunsi:
-Di che accusa stava parlando?-
-Ah, questo me lo dica lei! – Sbraitò – Qui tutta l’architrave societaria è stata costruita da voi, tutti i meccanismi, tutte le modalità… è colpa vostra, di certo non mia!-
Si era fatto buio nel frattempo e la strada si era riempita delle persone che uscivano dagli uffici, lasciandoci, però, uno strano vuoto intorno, come se fossimo in una parte del marciapiede che loro non potevano attraversare.
Pur continuando a non capire di cosa stesse parlando mi sentii terribilmente sotto pressione, sentii un peso calare su di me, come se quell’indice puntato avesse scoperto i miei scheletri nell’armadio e avesse messo a nudo tutte le mie colpe. Dovevo andare via, era tardi. Ma prima avrei dovuto prendere un ricordo di lui, fargli una foto, così gli dissi, mentendo:
-Sono un fotografo, posso farle una foto da inserire in un libro su Roma? – La scusa più stupida del mondo, di certo.
-No guarda, oggi no… ti dispiacerebbe se ti chiedessi di tornare domani? – d’un tratto si fece gentile, strano, come se il giorno dopo avesse potuto indossare uno smoking per la foto, quando in realtà altri non era che un barbone con i capelli grigi e la barba lunga, sporco e vestito di stracci, all’angolo di una strada, con i suoi zaini e i suoi ombrelli rotti, circondato da pozzanghere.
Me ne andai per la mia strada mentre stavo ancora riflettendo sull’accaduto e sentii, ancora, il suo indice puntato, che venne subito seguito dalle parole:
-Però pensa! Perché parole poco pensate possono portare pentimento!-
-Ok, ci penserò e tornerò domani- dissi, e senza nemmeno voltarmi mi incamminai verso casa.
Quando tornai, il giorno dopo, c’era il sole e il cielo era limpido, ma l’aria era diversa, sembrava più pesante e, su una sdraio circondato da ombrelli e pozzanghere, c’era un mendicante: capelli grigi e barba incolta, sporco e vestito di stracci, all’angolo della strada.
Ovviamente, non era lui.
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Tutti i crediti riguardo la foto in copertina vanno all’artista di Deviantart Chains86
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