ESPERIMENTI LETTERARI Storie

Wish you were free

Scritto da Gianluca Giombi

Wish you were free

 

La piazza era deserta, ma ai due ragazzi non interessava. Erano passati molti anni da quando, su quelle pietre, erano soliti alternarsi molti personaggi. L’uno differente dall’altro.

Di giorno, tutti coloro che potevano ritenersi completamente integrati con la società e di notte, quelli che non sarebbero stati a loro agio neanche in compagnia della loro ombra.

Da tempo non si sentiva più nulla. Qualcosa, però, era più che percepibile. Una continua e disarmante assenza.

Un vuoto surreale ed instancabile.

Un silenzio che penetrava attraverso i muri delle case che si affacciavano sulla piazza per cercare di scardinarli e trasportarli con sé.

Un vuoto che dominava incontrastato su quelle che un tempo erano le voci e le grida di anime ignoranti rispetto a quello che gli sarebbe successo o del perché si trovavano lì. Qua e là era presente qualche macchia di sangue a ricordare ai due ragazzi che dal suolo si nasceva e nel suolo, inevitabilmente, si tornava.

Era un continuo alimentare il nostro pianeta che sembrava non essere mai stanco di osservarci commettere gli stessi errori. Giorno dopo giorno.

Era autunno.

L’autunno sembrava sempre galleggiare sulle proprie paure. Era intenso e delicato come un equilibrista che sfidava la sua vita ed il suo pianeta per vedere se magari, invece di tornare al suolo, per una volta, poteva provare a volare.

I due ragazzi sentivano solo il rumore dei loro passi che producevano eco e sovrastavano i loro pensieri. La sirena cominciò a segnalare l’inizio dei bombardamenti.

Quella piazza non era stata ancora colpita da alcuna bomba e questo era davvero strano. Erano comunque riusciti a renderla deserta e quindi a centrare uno degli scopi principali di quell’attacco: far terminare al più presto quella farsa che continuavano a chiamare civiltà.

Improvvisamente la sirena cessò di urlare. Forse perché non l’ascoltava nessuno.

I due ragazzi, infatti, non sentivano nulla. Avevano compreso che di lì a poco tutto sarebbe finito. Più o meno dolorosamente.

Si fissarono.

Si fissarono per diversi minuti senza distogliere lo sguardo. Ognuno vide l’altro nella sua parte più profonda, nel suo nocciolo.

Si presero per mano e si abbracciarono.

“È ancora possibile riuscire a sentire qualcosa” pensò lui. La sirena riprese a fare il suo lavoro, ma questa volta fece riecheggiare una vecchia canzone da piano bar. Continuando a guardarsi i due cominciarono a ballare lentamente.

“Forse così riusciremo a far finire tutto ciò. Forse così arriveremo a capirci e a comprendere l’altro.” pensò lei.

I due ragazzi ballarono per ore senza che nessuno li disturbasse. L’autunno permeava tutta l’aria che li avvolgeva, ma in maniera discreta, senza interferire troppo. Improvvisamente lei alzò gli occhi al cielo.

Nel riabbassare lo sguardo la sua espressione era cambiata. Quel giorno non sarebbe stato un altro giorno di pioggia. Quel giorno, quello che sarebbe caduto dal cielo, li avrebbe fatti tornare al suolo. L’equilibrista aveva spostato il suo baricentro ed era caduto dalla corda. La musica della sirena non era più così avvolgente.

I due ragazzi continuarono a ballare nonostante tutto. Se proprio era necessario andarsene a quel modo, era meglio farlo guardando qualcuno negli occhi e tenendogli la mano.

Fu un attimo.

La musica si interruppe e la pioggia riportò tutto alla terra.

Mauro aprì gli occhi. Non aveva mai sognato così spesso in vita sua. Prese un quaderno dalla libreria e cercò di annotare quello che ricordava. La mattina seguente le immagini sarebbero state molto più nebulose.

Si diresse in cucina. Giuseppe non c’era. Probabilmente stava ricevendo la notizia da Anna. Doveva assolutamente trovare una soluzione perché suo nipote potesse nascere lontano da quel muro. Si versò da bere. Fuori la pioggia continuava a scrosciare incessante e frenetica. Era diventata una compagna di viaggio. La vera sorpresa sarebbe stata non vederla o sentirla più.

Da giorni Roma era allagata. La capitale del lato Sud era in stato di emergenza. Il nonno del medico gli raccontava spesso che quella città, una volta rappresentante dell’Italia intera, era solita allagarsi dopo un paio di giorni di pioggia. Il clima, da allora, era mutato e i monsoni erano molto più frequenti.

Mauro mise un vinile di Giuseppe sul giradischi. Posizionò la leva del volume verso il minimo. Sperava che nessuno nel palazzo potesse recriminare per il rumore a tarda notte. Il medico prese tra le mani Wish You Were Here dei Pink Floyd. Adorava quel disco.

Quando era piccolo veniva spesso preso in giro dai suoi coetanei perché ascoltava musica troppo antica per l’epoca. Quel genere era addirittura vecchio per suo padre. Era incredibile che anche Giuseppe si fosse incamminato su quella stessa strada. Mauro si era sforzato di spingersi verso nuovi confini ritmici, ma non ci riusciva. Sentiva come una barriera stringersi attorno a lui. Non concepiva come si potesse fare un concerto solo con un tablet ed una connessione Wi-Fi. La vecchia chitarra era troppo bella ed importante per essere abbandonata così malamente.

L’uomo sulla copertina del vinile stava andando a fuoco. Sembrò girarsi per un istante e fissare il medico dritto negli occhi. Anche in tempi come quelli era impossibile sfilarsi totalmente dalla calda morsa di quella musica.

Mauro inserì il disco sul piatto ed azionò il meccanismo. Il giradischi era automatico. Posizionò il braccio e la puntina sui solchi del vinile autonomamente e con delicatezza.

So, So you think you can tell

Heaven from hell?

Blue skies from pain?

Mauro si sentì come nel sogno. Stranamente percepì un senso di sicurezza quasi eccessivo.

Can you tell a green field

From a cold steel rail?

A smile from a veil?

Do you think you can tell?

Una fiamma sembrò espandersi dalla copertina del disco fino al braccio di Mauro. Il medico percepì un calore insolito e piacevole. Improvvisamente l’intera stanza andò a fuoco. Il soffitto crollò con un rumore netto e sordo.

Davanti ai suoi occhi c’era Lidia. Si era seduta in cucina con lui e stava ascoltando la canzone. Sembrava completamente assorbita da ogni singola nota che usciva dalle casse. Era bellissima. La musica si faceva sempre più alta riuscendo a coprire persino il rumore del fuoco che piano piano divorava ogni cosa.

How I wish, How I wish you were here

We’re just two lost souls swimming in a fish bowl

Year after year

Running over the same old ground

What we found?

The same old fears

Wish you were here.

Le fiamme si impadronirono totalmente della stanza. Come delle edere rampicanti scalarono lentamente i muri e le finestre. Mauro stava tenendo Lidia per mano. Era felice.

Il medico aprì nuovamente gli occhi. Stavolta era sveglio e se ne rese conto. Si rattristò leggermente. La suoneria del telefono si sarebbe presentata da lì a poco ricordandogli di tornare in ospedale. Chiuse gli occhi per un attimo. Ancora un’altra volta.

Non volle privarsi del momento.

Mauro cominciò a riflettere su quel sogno così lungo.

Forse sarebbe stato meglio non provare a stare in equilibrio. Forse sarebbe stato meglio non salire sulla corda o, forse, sarebbe stato necessario continuare comunque a provarci. Nessuno sarebbe mai riuscito a volare o a sfuggire dall’inesorabile attrazione della terra. C’era solo un’azione che tutti avrebbero dovuto compiere: guardarsi negli occhi e ballare. Solo così dalla sirena si sarebbe potuta ascoltare ancora della musica.

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Immagine di copertina: foto di Victor Torresan.

victortorresan@ied.edu

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