Alfabeto ESPERIMENTI LETTERARI

Alfabeto – Parte I – G come Ginevra

Scritto da Noise

Se quella che sta per cominciare fosse semplicemente una storia, sarebbe semplice spiegare di cosa si tratta. Ma questo è un viaggio da una costa all’altra attraverso le 21 lettere dell’alfabeto. Un viaggio diviso in tre parti, ogni parte “conta” sette lettere.

In fin dei conti è uno schema, un adattamento a uno stile di vita: la paura di non riuscire più a mettere un piede dopo l’altro.

Alfabeto

Parte I – Partenza

G come Ginevra

 

Correre mi aiutava sempre, mi permetteva di scaricare tutta la tensione, come se l’energia negativa trovasse punti di sfogo attraverso i piedi entrando in contatto con l’asfalto che calpestavano. I piedi che sbattevano sull’asfalto umido e freddo, gli occhi che vedevano il paesaggio di sfuggita, il cuore che batteva sempre più forte e i polmoni che chiedevano sempre più aria.

Prima di andare sull’isola scrissi una lettera a mia madre: Purtroppo non sono il figlio che ti aspettavi o il marito che avresti voluto vedermi diventare. Mi spiace, so che ho sempre detto che i vigliacchi fuggono e che io li ho sempre detestati. Sì, adesso appartengo a quelli che ho sempre denigrato. Sì, mamma, adesso sono un vigliacco e ti sto scrivendo questa lettera perché ho deciso di trasferirmi sull’isola. Significa che non verrò a trovarti, così come faccio adesso.

Mio padre, invece, aveva una radio, l’aveva sempre con sé. Aveva una sola cassetta: Alighiero Noschese show. Ricordo l’imitazione che faceva di Giovanni Leone. Ogni amico, parente, conoscente che entrava in casa: gliela propinava e tutti e, conoscendo la sua sincera amicizia, rispettavano questi suoi gusti monotoni. Questa sua abitudine era uno dei pochi ricordi che avevo di lui. Anch’io avevo gusti monotoni, anche sull’isola avevo trovato una serie di cose alle quali mi ero subito abituato. Fra queste c’era la passeggiata sul lungomare nei momenti di più completa solitudine e durante una di queste, appena arrivai sulla spiaggia.
Sentii una leggera e mesta cantilena provenire da una casupola sulla spiaggia che notai solo in quel momento, davanti alla porta aperta c’era un vecchio pescatore che sistemava le reti accompagnando i suoi movimenti con questo suo mesto canto.

Notai subito che tratteneva un capo della corda sotto il piede destro e l’altro capo con la mano sinistra. Una strana armonia governava i suoi movimenti facendoli sembrare infiniti e implacabili.

Mi fermai a pochi metri da lui e rimasi lì, fermo, a guardarlo.

Buongiorno.”

Mi salutò continuando a filare la rete, però, smise di cantare.

Salve.”

Accennai anche un leggero saluto con la mano.

Anche lei non riesce a dormire?”

Stanotte è andata così.”

A me va così da sempre da tanto tempo.”

Anche se aveva finito di cantare quella nenia, mi era entrata nella testa e mi sentivo stranamente attratto da chi le aveva dato origine.

Mi sedetti accanto a lui e parlammo finché non si fece ora di pranzo.

Mi allontanai e mentre tornavo a casa mi persi in mezzo alla folla.

Sul lungomare c’era una serie di abitazioni a due piani di legno, alcuni erano ristoranti. Quel giorno decisi di andare a mangiare in quello che mi sembrava meno caro, solo per farmi un regalo, giusto per dare un calcio alla monotonia.

Mi sedetti a uno dei tavoli liberi, ero l’unico da solo.

Davanti a me c’erano una madre con i suoi due figli, un maschietto e una femminuccia.

Il maschietto faceva delle palline con le molliche di pane per lanciarle alla sorella, la madre senza dire una parola gli diede un buffetto dietro la testa e lui, mise subito il broncio sprofondando il più possibile nella sedia.

Dall’altra parte della sala c’era una coppia che litigava animatamente.

Sentivo volare parole pensanti da parte di entrambi e le sentivano anche gli altri frequentatori del ristorante.

Io sempre più incuriosito guardai verso di loro, vidi che lui le dava uno schiaffo in faccia e non resistetti più.

Se c’è una cosa che odio è chi picchia le donne!” Dissi ad alta voce verso il loro tavolo.

In quel momento tutti gli occhi erano puntati su di me.

Nessuno ha chiesto il tuo parere! Vatti a sedere.” Disse il tipo avvicinandosi a me.

E tu non puoi comandarmi.”

Eravamo a faccia a faccia, ci sfidavamo senza dirci una parola.

Ti stai godendo il tuo momento di celebrità, sei contento.”

Sarò contento solo quando le chiedi scusa.”

A chi? A lei? Ma figurati.”

La prego, torni al suo posto.” Era lei, la sua voce mi calmò immediatamente.

Stai zitta, torna a sederti!” Urlò lui contro di lei e subito la rabbia montò di nuovo.

Non ci vidi più e gli diedi un pugno, solo che lui si spostò e lo presi di striscio.

Lui si riprese immediatamente e mi diede un pugno allo stomaco, facendomi barcollare.

Fece un giro su stesso per vantarsi del suo risultato. Colsi subito l’occasione al volo, lo presi per le braccia, lui provò a divincolarsi, invano.

Mi avvicinai il più possibile alla sua faccia e gli sussurrai all’orecchio.

Se scopro che la ragazza ha dei lividi, sei morto.”

Io ti denuncio, stronzo.” Disse con la voce che gli si strozzava in gola.

Io ti arresto per oltraggio a pubblico ufficiale.”

Al suono di quelle parole sentii i suoi muscoli perdere tensione ed io lo lasciai andare. Lui si avvicinò al tavolo, prese la giacca sulla sedia e andò via.

Io e Ginevra ci guardammo per la prima volta negli occhi.

Quella notte non fui l’unico a dormire nella casa dei miei nonni, su quella ripida salita. Le diedi una mia maglia che stranamente le stava benissimo, si addormentò fra le mie braccia, passai la notte a pensare a quel particolare incontro e alle ultime cose che mi aveva detto: nel centro dell’isola c’era un castello con molte stanze che di erede in erede sono state vendute o affittate. La bisnonna di Ginevra era stata una delle ultime cameriere in quel castello, la famiglia originaria ne aveva tenuto per sé una buona parte e, visto che il vecchio proprietario non aveva eredi dei quali si fidava, diede alla nonna di Ginevra la parte di castello in cui viveva. Ginevra, per comodità, viveva in un paio di stanze, perché viveva da sola. Ginevra era una regina senza Artù né Lancillotto.

Perso in questi pensieri andai a lavarmi i denti, mentre Ginevra si stendeva sul mio letto. Io mi appoggiai sul divano, immaginando che non avrei preso sonno.

Poco dopo l’alba lei si svegliò, aveva indossato il vestito della sera prima e aveva la mia maglia in mano.

Non ho trovato il cesto dei panni sporchi.”

Non ho un cesto dei panni sporchi.”

Quindi li metti direttamente in lavatrice?”

Veramente non ho nemmeno una lavatrice.”

E come li lavi i vestiti?”

A mano.”

Lei si guardò attorno e si rese conto che la casa in cui aveva passato la notte era spoglia.

Ma non hai nemmeno la televisione?”

No.”

E come passi la giornata?”

Leggo, scrivo, ascolto musica.”

Hai uno stereo e non la televisione?”

Veramente è una radio.”

Va bene, hai una radio e non la televisione?”

Sì, quando ho deciso di trasferirmi qui, ho portato solo quello di cui avevo bisogno.”

Dopo una settimana i miei propositi di avere degli spazi solo miei erano andati tutti in frantumi, la presenza di Ginevra nella mia stanza mi destabilizzava. Solo che non riuscivo a dirle di andarsene, anzi, quando lei mi diceva che voleva tornare a casa sua le chiedevo di tornare subito e ogni volta che tornava portava con sé un pezzo in più della sua vita che riempiva la casa in cui vivevamo entrambi, unendo le nostre vite. Poi Ginevra trovò il diario di Felicita. Ne lesse una parte:

Non riesco a restare incinta. Non riusciamo ad avere figli. Rivedo spesso l’uomo con i guanti bianchi dall’altra parte della strada. L’ultima volta ho chiamato Franco, lui mi ha detto che non c’era nessuno. Neppure mio fratello mi crede. Bruto ormai è sempre più assente, sono convinta che m’incolpi della sua sterilità, perché io ho sostenuto tutti gli esami e sono sana, sono a posto. L’uomo con i guanti bianchi viene sempre quando sono sola e Bruto non c’è mai, sono di solito sola. Ho paura e non riesco a restare incinta… finirò col credere che sia colpa mia.”.

Perché l’ho portato con me?”

Le chiesi senza staccare gli occhi dal diario che teneva fra le mani.

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Clicca qua per l’ottavo capitolo: H come Ho.

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P.S. L’immagine in copertina è un’opera di street art che si trova ad Alzaia Naviglio Grande (MI)

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Noise

Sono Noise, il rumore. Sono il battito del cuore e l'affanno del respiro. Sono il ticchettio che ti tiene sveglio la notte. Sono il ronzio che ti perseguita assieme all'afa estiva. Sono il disturbo di frequenza mentre cerchi la tua stazione radio preferita. Sono i tuoi passi che battono sull'asfalto quando vuoi stare da solo. Il rumore ha un colore e una voce, la mia.
Lasciatevi andare alla brezza del mare, perché il rumore delle onde è forte.
Ho una casa o meglio un club e puoi trovarmi là: noisclab@gmail.com

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