Capitolo IV – Collyra o De cretinorum cena
Ormai l’ho capito, mi è chiaro, anche se a mie spese. Non accuso tuttavia nessuno, a parte me stesso, in quanto non ho mai avuto il coraggio di agire, avendolo – non prendiamoci in giro – sempre saputo: essere sempre e costantemente reperibili è, a conti fatti, un grande svantaggio. Possiedo due telefoni di troppo: un fisso da me costruito, del quale vi ho già parlato, e un cellulare, dal quale non riesco più a staccarmi, nonostante io lo desideri da tempo. Non è solo un mio problema, certo, anzi penso che l’essermi accorto di questa mia condizione sia già un buon passo nella giusta direzione, purtroppo, però, posso dire che il mio Nokia è diventato una scomoda appendice a causa della quale vengo costantemente contattato da personaggi indesiderati.
Provvederò dunque a liberarmene? Dubito fortemente, ma di sicuro negli ultimi tempi ho imparato una importante lezione. Il fatto è questo, tornando a casa una sera, brillo, sono stato contattato da una mia vecchia fiamma che qui chiamerò Collyra*, “Pagnotta”, per motivi che vi lascio supporre. Tra una risata e l’altra essa mi ha condotto in una trappola e, la sera seguente, mi sono ritrovato invitato a casa sua per una cena in amicizia.
Non frequento Collyra da diversi anni e la sua chiamata, sul momento, mi ha lasciato molto sorpreso: abbiamo smesso di frequentarci perchè, tempo fa, non era altro che una cavalla di un anno, selvaggia, indomita*, e questo suo carattere mi urtava molto, costantemente insensibile alle mie questioni e alle mie necessità. Nonostante il mio buonsenso mi intimasse di non uscire di casa decisi comunque di attraversare l’intera città, non senza difficoltà, per bussare alla sua porta, nel mio intimo sinceramente curioso riguardo a come si sarebbe conclusa la serata.
hinc media remis Palinurum pervenio nox**
Fui accolto da un nitrito di gioia appena entrato in salotto, ma questa fu, per quanto mi riguarda, l’unica occasione di letizia durante l’intera serata. Sedetti tra il padre e l’attuale compagno della mia amica equina, un giovane ed asciutto cerbiatto, presentato come un vecchio amico, e per tutta la serata sentii sul mio volto un certo calore, frutto del concentrarsi di tutti gli sguardi dei commensali. Cercando di non pensarci tentavo di concentrarmi sul cibo, ma era qualcosa di pessimo. Mi ero immaginato chissà quali prelibatezze, tuttavia
ostrea nulla fuit, non purpura, nulla peloris
asparagi nulli […]
[..] nam mel regionibus illis
incrustatus calix rutai caulis habetur*
e, per essere sincero, la cosa mi dava il voltastomaco: non solo mi fu servita una insalata di cavolo e ruta, ma ciò pure accadde su un piatto sporco da giorni. Stancamente cercavo un pretesto per alzarmi dal tavolo senza offendere nessuno quando mi venne chiesto di servire in tavola il vino che avevo portato come dono di cortesia: erano tutti ormai sazi e brilli (a parte me, disgustato al massimo) e non potevo aspettare una occasione migliore. Mi allontanai e, nascostomi, svuotai la bottiglia e la riempii della mia acqua, quella che ognuno di noi periodicamente espelle dal proprio corpo. Servita, venne assaggiata dal padre, che mi disse: “Tutti portano a questo tipo di cene il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono. Tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono”.
Ringraziai del sincero complimento e me ne andai, improvvisando un contrattempo: ben sapevo che il padre, accanito tabagista, era l’unico a quella tavola a soffrire di ageusia.
Rido ancora di gusto al pensiero.
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*,**: Tutti questi sono estratti e citazioni dai Saturarum fragmenta di Lucilio, in particolare dalla terza satira.
**: Non sono né giunto fino a Palinuro, né ho preso i remi per muovermi in mezzo alla città, nonostante la forte pioggia battente.
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