Quella che state per leggere è una storia di pura fantasia. Ogni personaggio, nome citato, luogo e situazione non sono riferiti ad un contesto reale, ma sono da attribuirsi ad un mondo puramente immaginario. Ogni riferimento a fatti, luoghi, storie, situazioni e personaggi realmente esistenti è puramente casuale.
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IL TRONO DI RUSPE
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Capitolo 10: Lacrime e sabbia – Parte I
L’aria è satura di elettricità. La 101esima divisione d’assalto aereo si prepara sulla pista di decollo dell’enorme portaerei militare. Decine di cacciabombardieri rollano sulla pista disponendosi di lato in attesa dell’ordine. Un ragazzo si avvicina aggiustandosi la camicia con una passata delle mani, osserva i gradi sul suo petto e sospira scettico.
“Signor Generale, è sicuro della decisione, signore?”
L’uomo ha il volto di un bulldog, le guance pesanti pendono flaccide verso il basso, gli occhi piccoli e porcini si spostano velocemente sugli aerei sotto di lui, i preparativi stanno procedendo, solo altri due velivoli devono essere caricati e riforniti di olio e carburante. Osserva la scena sottostante dal ponte superiore della nave, poco sotto le vetrate della cabina di comando.
“Colonnello, ho sentito ieri pomeriggio la chiamata del capitano Ford. Mi ha raccontato con la sua stessa voce rotta dalla disperazione quello che hanno passato: dieci militari americani catturati, cinque di questi trivellati, uno di loro con la testa tagliata e gli altri quattro torturati per tre giorni.”
Scuote la testa amareggiato facendo tremare le guance in un movimento gelatinoso: “Non possiamo neanche riportare i corpi di sei dei nostri ragazzi alle loro famiglie, hai idea di come questo mi faccia sentire?”
“Signore, lo capisco, ma quello che stiamo per fare non ha precedenti nella storia militare, potrebbe essere un disastro su scala internazionale, signore.”
“Andiamo colonnello, non sia ridicolo.” Il vento gli accarezza le guance ben rasate portando sul suo volto fragranze di idrocarburi e iodio: “Abbiamo iniziato una guerra per molto meno.”
Sospira, si stringe la mani dietro la schiena giocherellando con le dita corte e tozze: “Contatti Ford, il piano dell’italiano può aver successo solo se siamo perfettamente coordinati. Gli chieda a che punto è il loro esercito. Manderemo i nostri F16 a supporto dei B52 di İncirlik. Chieda se li hanno preparati, li voglio ben forniti e con i magazzini pieni. Faremo più passate.”
Il colonnello ha uno scatto: “Signore, più passate, signore?”
“Certo. E non ci fermeremo a questo. Siamo gli Stati Uniti, figliolo, spero non se ne sia dimenticato.”
I motori cominciano a rombare e i piloti entrano uno alla volta nelle loro postazioni infilandosi il casco e fissando il respiratore sul volto, le dita sollevano velocemente file di levette rosse e nere disposte sul quadro di comando. Si guardano fra loro sollevando il pollice e facendo un cenno col capo: sono pronti per la missione.
Dopo qualche minuto viene dato l’inizio alle manovre di decollo, i caccia rollano sulla pista della portaerei, uno dopo l’altro vengono agganciati alla catapulta e, con uno sbuffo bianco che attraversa la pedana di lancio, sparati verso il mare. Il generale socchiude gli occhi osservando la scena, poi si porta una mano al petto e afferra un binocolo puntandolo verso il mare attorno a lui: altre quattro portaerei stanno liberando nell’aria, come sciami di piccole vespe agguerrite, decine di altre letali macchine da guerra volanti.
Nel giro di mezzora oltre cinquanta F16 solcano i cieli in squadre da cinque unità tagliando l’aria in boati sordi e terribili.
“Qua Rosso1 a base, ci dirigiamo verso Gerusalemme con squadre Falco, Air e Alpha.”
“Qua Texas1 a base, ci dirigiamo verso Medina con squadre Orange, Fire e Omega.”
“Qua Idra1 a base, ci dirigiamo verso La Mecca con squad-”
Il centro di comando risponde repentino: “Qua base a squadre in volo. Non affrettatevi, dobbiamo ancora ricevere il segnale. Mantenetevi in alta quota e lontani dai confini. Dovremo essere precisi.”
Il generale si accarezza nervosamente i distintivi sulla giacca scrutando il cielo, ha in mano una trasmittente. Aspetta stagliando la sua figura contro il cielo limpido.
“Andiamo, italiano, andiamo… Che fine hai fatto…?”
——— Qualche ora prima———
“Mio Moncliff, mio Moncliff!”
Makeen si avvicina velocemente al gruppo di uomini sull’altura, Matt sta parlando con Nunzio e gli altri suoi soldati, Mary e Luisa coperte con il burqa a qualche passo da loro.
L’arabo li raggiunge velocemente appoggiandosi sulle ginocchia per riprendere fiato: “Mio Moncliff, l’esercito è pronto.”
Matt guarda l’enorme Aleppo dormire irrequieta sotto le stelle. Si volta, nella valle dietro di lui oltre cinquemila civili sono stati catturati e vestiti di nero, fari e torce puntati verso di loro: sono rinchiusi in un enorme recinto di jeep, furgoni e filo spinato, un’infinita distesa di agnelli pronti al macello. Poco lontano, in una gola nascosta fra le rocce, oltre duemila bambini vengono controllati da cinquanta guerriglieri, le grida e i pianti si sollevano disperatamente, così come l’impazienza e il nervosismo dei loro rapitori disposti tutti intorno sulle alture con i fucili. Più a sud, ancora, altri tremila ostaggi: gli anziani vengono costretti in fila nella piazza del villaggio ormai svuotato. Dopo qualche urlo e qualche pugno al viso iniziano ad inginocchiarsi uno alla volta sulla ghiaia. I guerriglieri caricano i kalashnikov e camminano lentamente puntando la canna del fucile verso le loro teste. Dopo una mezzora è tutto finito, la sabbia si è ricoperta di lacrime e fiocchi porpora sbocciano sui crani esplosi delle vittime riverse sul terreno.
Matt rimane ad osservare quei cinquemila civili totalmente ricoperti di nero, veli scuri, rossi e arancioni gli circondano il volto e il corpo lasciando scoperti solo gli occhi.
“Mio Moncliff, aveva detto che gli ostaggi servivano solo per ricattare i civili… perché abbiamo ucciso i vecchi?”
“Meglio avere trecento soldati in più con noi che lasciarli lì a perder tempo nella sabbia. E poi, beh, i tizi laggiù non lo scopriranno mai che li abbiamo fatti fuori, quindi il ricatto morale rimane.”
“A questo punto potremmo anche far fuori i bambini… no?”
Matt scrolla le spalle con indifferenza: “Meglio di no. Molti civili sono donne e se uccidessimo i loro bambini lo verrebbero comunque a sapere. Sai come si dice, no…? Una mamma certe cose le sente.”
Makeen ride ondeggiando sui talloni e scuote la testa divertito.
Matt incalza: “Dobbiamo sbrigarci: ordina a mille dei tuoi uomini di infiltrarsi fra loro, attaccheranno tra qualche ora, subito prima dell’alba, noi nel frattempo saremo già andati oltre, dobbiamo nasconderci dall’arrivo degli americani.
“Sarà fatto mio Moncliff, sceglierò personalmente gli uomini e li confonderò fra la folla.”
“Fateli mischiare, nessuno di loro deve poter riconoscere un vicino di casa, potrebbero iniziare a raggrupparsi e a ribellarsi. E ricordategli che, prima che possano pensare di giocare ai cowboy, abbiamo tutti i loro cari con noi.”
“Ce ne stiamo già occupando, sono malleabili e disperati, proprio come noi. Saranno perfetti.”
Dopo mezzora i preparativi terminano e i gruppi iniziano a dividersi.
L’enorme esercito di prigionieri vestito da guerriglieri viene armato e si dirige verso Aleppo guidato da centinaia di grida e di ordini che si sollevano dai terroristi nascosti fra la folla. La marcia procede lentamente sollevando un muro di polvere che minaccioso punta verso la città. I primi raggi del sole fanno brillare centinaia di canne, alcune arrugginite, altre cromate, i veli si bagnano di lacrime e corpi disperati tremano di terrore avanzando debolmente verso nel deserto.
Dall’altra parte dell’altura, un’interminabile carovana di camion e jeep si snoda fra le dune, dirigendosi a nordest. Matt, nell’auto in testa, controlla ossessivamente la cartina e l’orologio accarezzando la trasmittente al suo fianco. Si morde le labbra e una goccia di ansia gli accarezza la pelle dalla tempia alla folta barba scura cresciuta in quelle settimane. Nunzio guida con sicurezza al suo fianco e controllando lo specchietto retrovisore: oltre ottomila guerriglieri euforici si preparano per lo scontro nei veicoli dietro di loro.
Nunzio: “Matt, non capisco. Che diavolo stiamo facendo?”
Matt: “Stiamo cavalcando l’onda. Sopravviviamo.”
Nunzio: “Di questo non mi lamento, ma non capisco come intendi farlo.”
Mary interviene: “Neanche io, credevo volessimo usare l’ISIS, non distruggerlo. Voglio dire, abbiamo un esercito di diecimila uomini al nostro comando totalmente succubi delle nostre stronzate. Perché privarcene? E soprattutto… come?!?”
Le dita di Matt si accarezzano la tunica verde lucida, i polpastrelli seguono dolcemente i ricami delle cuciture in seta disegnando il profilo di un fiore appena sbocciato: “Andiamo con ordine e facciamo un passo indietro nel tempo. Dal 620 circa al 750 dopo Cristo la religione islamica si è espansa dall’Arabia Saudita per arrivare ad est, quasi al confine con l’India, e ad ovest, conquistando la Spagna e tutto il nord Africa. Senza scendere nei dettagli su come questo possa aver danneggiato la vecchia concezione di impero classico e aver messo in crisi l’impero bizantino, già indebolito dalle guerre contro i persiani e dalla peste, e quindi entrare in un’interessante ottica per la quale le crociate possano esser viste come un tentativo di difesa geopolitica oltre che di attacco economico, vi siete mai chiesti come ha fatto la religione islamica ad essere diffusa così velocemente e così in breve tempo?”
Gli sguardi intorno a lui si fanno dubbiosi. Incalza: “Quello che voglio dirvi è: credete davvero che i successori di Maometto siano andati in giro predicando il Corano con misericordia riuscendo a conquistare in una manciata di anni terreni da sempre problematici anche per i colossi del mondo antico?”
Il silenzio scende su di loro, interrotto solo dal frizionare sordo dei pneumatici sulla ghiaia.
“Ovviamente no. Carne e sangue, lame e torture sono da sempre state il mezzo principale di conquista in una proporzione che non aveva precedenti nella storia religiosa. Questo è il primo fattore: abbiamo a che fare con combattenti, un popolo che si identifica con una religione che affonda le proprie radici nel sangue. Ma ne abbiamo anche un secondo.”
Luisa si sporge in avanti afferrandogli le spalle con dita affettuose, iniziando a massaggiargliele: “Cioè?”
“Entriamo adesso in un’ottica moderna, devo davvero spiegarvi come la lotta al terrorismo e le decine di manovre politiche e militari in medio oriente non abbiano fatto altro che alimentare l’ondata di odio verso il mondo occidentale? Gli ultimi anni sono stati una catastrofe e siamo caduti in un’altra spirale nella quale il terrorismo sta sostanzialmente vincendo.”
Si appoggia al sedile sentendo le dita di Luisa premergli sulla pelle e scendere verso il petto. “In sostanza il secondo fattore è questo: abbiamo a che fare con gente con la quale è meglio non cazzeggiare troppo. Tagliamo una testa del mostro e ne vengono fuori altre tre. Banale, evidente e terribile. Eppure molta gente se lo dimentica fin troppo facilmente.”
La colonna di sabbia si solleva verso l’alto mentre la carovana armata serpeggia sul terreno, i primi raggi dell’alba trafiggono le nuvole tingendole con pennellate rosa e arancione. Le dita di Luisa scendono sul corpo dell’uomo infilandosi nella tunica e avanzando sempre più in basso. La ragazza si morde un labbro ansimando piano.
“Abbiamo a fare con dei guerrieri nati da una tradizione di sangue, instancabili, senza paura e geneticamente programmati ad odiare, in più, come se non bastasse, ogni volta che li colpiamo si rafforzano, diventano più numerosi e più incazzati di prima. No, se fossimo rimasti ancora qualche tempo nell’ISIS avremmo fatto un passo falso e saremmo stati fatti fuori.”
Si morde le labbra chiudendo gli occhi mentre le dita di Luisa si infilano sotto le sue mutande: “Non dobbiamo chiederci ‘se’, ma ‘quando’. Quindi, per ritornare al punto di partenza, si cavalca l’onda. E l’onda dell’ISIS sta giungendo al termine.”
Nunzio appoggia sconsolato la testa al sedile stringendo il volante fra i suoi palmi legnosi: “Matt, ho imparato ad apprezzarti, ci hai tenuto in vita più del previsto, ma sai quanto odi questi discorsetti del cazzo. Arriva al punto: qual è il piano? Quello vero, dico.”
L’uomo si volta verso di lui inclinando la testa leggermente: “Nunzio, mio buon soldato, ne hai combattute molte di battaglie, vero?”
Il caporale annuisce stringendo la mascella rimando in silenzio. Luisa muove il polso velocemente appoggiandosi al sedile e gemendo piano mentre le guance si tingono di rosso.
“Bene, dimmi allora: come distruggi un nemico senza paura?”
L’uomo fa un sorrisetto scoprendo i canini bianchi: “Mettendogli la paura in corpo.”
I pugni di Matt si stringono: “Esatto. E rispondimi a questa adesso: come distruggi un nemico instancabile, invisibile e sorretto da una fede incrollabile…?”
I soldati si guardano fra loro, Ignazio, Ciro, Carmelo e Nicola scuotono la testa increduli. Nunzio abbassa piano la mandibola in un gesto stupito iniziando a sussurrare: “G-g-gli si toglie la fede…”
Gli occhi del politico si spalancano mentre gli zigomi si sollevano scoprendo un sorriso avido e bianco: “Esattamente.”
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“Imbracciate i fucili!”
“Forza!”
“Muovetevi, bastardi!”
“Volete rivedere i vostri figli o no? E le vostre famiglie?”
Centinaia di grida si sollevano al cielo mentre i guerriglieri spingono in avanti gli ostaggi tremanti. Aleppo è stata circondata, una marea scura viene illuminata dai primi raggi dell’alba e pare pronta a sfondare in città. Le sirene si sollevano fra le palazzine mentre centinaia di militari accorrono verso la periferia, pronti ad intercettare i guerriglieri. Migliaia di civili si chiudono in casa, spingendo contro le porte divani e armadi dal legno marcio, non hanno idea di cosa stia succedendo, nel loro cuore solo terrore. Per le strade, fra i detriti e la polvere, solo lo scalpiccio di anfibi di decine di militari. Corrono trasportando sacchi di sabbia scaricandoli dalle jeep creando muri di protezione spessi e alti un metro. Nelle palazzine decadenti sguardi terrorizzati raggiungono le strade sottostanti sporgendosi dalle finestre. Decine di camion vengono trasportati nelle stradine laterali, bloccandone il passaggio.
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Il vento trasporta sabbia, nitrato e cenere, viaggiando velocemente fra le vie della città.
Ha viaggiato per giorni, lucidato l’arma e tenuta al suo fianco per molte battaglie. Il soldato appoggia la pesante ed enorme canna per terra, scruta verso la strada che porta in città, due camionette militari si stanno avvicinando velocemente, sembrano della NATO. Un velo scuro gli circonda occhi grigi dalle ciglia lunghe.
“Potere troppe volte delegato ad altre mani.”
Porta una mano dietro la schiena e sfila un razzo, poi lo inserisce nella parte anteriore dell’arma assicurando con un clack metallico il missile al dispositivo d’innesco. Solleva il lanciarazzi posandolo sulla spalla destra e allineando l’occhio al mirino. Un brivido gli attraversa le dita per poi scaricarsi sui piedi, attraversandogli il corpo.
“Sganciato e restituitoci dai tuoi aeroplani.”
L’arma è vecchia e rovinata, ma non può sbagliare. Ispira silenziosamente divaricando le gambe e flettendo i quadricipiti, pronto a subire il rinculo. Come lui altri cinquanta guerriglieri fanno la stessa cosa: devono distruggere i posti di blocco, le mitragliatrici e i camion blindati che continuano a raggiungere la strada davanti a loro. Nella sua mente solo l’immagine di suo figlio sepolto sotto un pilastro di cemento, il corpo stritolato dalle macerie.
“Io vengo a restituirti un po’ del tuo terrore…”
Nei suoi occhi rivede il quel corpo giovane, acerbo, candido. Rivede le sue dita scavare fra le macerie fino a spellarsele a sangue, scava per minuti, ore, giorni. Le vede accarezzargli il volto un’ultima volta. Le vede portarsele agli occhi provando a coprire le lacrime. Gira la testa al suo fianco, accanto a lui i suoi fratelli in una fila che si snoda per decina di metri, suoi compagni d’armi lì, con lui. I volti scuri e duri si stagliano contro il cielo. La sua famiglia è qua, insieme nella morte e nella morte. Annuiscono con occhi pieni di odio mentre ricci corvini vengono sollevati nel vento. Poggia il mento sul ferro freddo, presto si arroventerà, il dito scivola sul grilletto duro. Trattiene il respiro per un attimo, nel vento la bandiera nera schiocca rabbiosa.
“…del tuo disordine, del tuo rumore.”
Il dito si contrae e la propulsione si innesca. Decine di missili scivolano ondulando nell’aria come pesci argentati lasciando una scia di fumo e zolfo dietro di loro. Due secondi dopo un muro di detriti esplode sulla strada allungandosi per centinaia di metri, incendiando e disintegrando le difese sull’asfalto. Gli ostaggi travestiti da guerriglieri vengono scossi dal fragore, molti di loro lasciano cadere l’arma per terra, altri crollano in ginocchio, molti scoppiano in un pianto disperato. Grida e colpi al viso li rimettono in piedi, nuove minacce vengono assicurate. Dopo qualche secondo la macchia nera si rimette in marcia muovendosi terribile come un’unica goccia gelatinosa che, vista dall’alto, irrompe dentro Aleppo.
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Il militare percorre il corridoio con passo deciso, poi bussa alla porta in legno. Una voce si sente provenire dall’interno. “Avanti.”
“Signor tenente colonnello, l’esercito dell’ISIS è alle porte, come previsto dall’italiano.”
“Perfetto. Quanti sono?”
Il soldato stringe la mascella sgranando gli occhi: “Beh, signore, è proprio questa la novità, signore. Sono tantissimi. Secondo ciò che possiamo stimare dall’ultimo rilievo satellitare potrebbero essere anche seimila o settemila unità.”
“SETTEMILA?!?” L’uomo ha uno scatto e si mette in piedi. “Come diavolo fanno ad essere così tanti?”
“Signore, nessuno di noi ne ha idea signore, pare che il diversivo previsto sia andato fin troppo bene.”
L’uomo scuote la testa e inizia a camminare uscendo dalla stanza. Il ragazzo lo segue rimanendo un passo dietro di lui.
“Signore, abbiamo contattato il Generale Kirk, gli aerei sono decollati e sono pronti per la consegna, signore. Tocca solo a noi adesso.”
“Vero, ma… Non credevo fossero così tanti. Spero che lo spazio basti, gli avete spianato la strada…?”
“Signorsì, il percorso è segnato, tutte le altre strade laterali sono state bloccate, andranno esattamente dove vorremo noi, signore.”
“Dategli l’impressione di offrire un qualche tipo di resistenza, devono credere di star vincendo.”
Raggiungono la sala telecomunicazioni, il tenente, mascella quadrata e occhi stanchi, afferra un telefono satellitare. Dopo qualche secondo la voce del capitano Ford gli risponde.
“Capitano Ford, da quanto tempo.”
“Signore, felice di sentirla, signore.”
“Non credo di essermi ancora scusato per avervi mandato in missione quella volta, vero…?”
Un secondo di silenzio precede la risposta, carica di veleno: “Signornò, temo proprio di no, signore.”
L’imbarazzo scende per tutta la stanza. Il tenente colonnello riprende: “Ho già inviato ai piani alti il rapporto, ne parleremo meglio quando potremo parlare di persona. Adesso mi dica come procede a İncirlik.”
“Signore, è tutto pronto, aspettiamo solo l’arrivo di Matt. Dovrebbero essere qua a momenti, mi ha contattato poco fa, hanno superato il confine e sono a nord di Dörtyol, hanno aspettato il passaggio dei nostri veicoli diretti ad Aleppo prima di procedere, gli arabi non sospettano niente. Dica pure al Generale Kirk di procedere, signore.”
“Perfetto, vi siete assicurati che le strade siano tutte sgombre, avete dirottato il traffico altrove?”
“Signorsì, siamo pronti ad accoglierli, ci manca solo un tappeto rosso. Ogni veicolo nel raggio di 10 kilometri previsti dal percorso è stato bloccato. Le strade sono libere e ogni loro movimento è controllato dal satellite. È tutto sotto controllo, signore, e ci siamo assicurati la collaborazione dei Turchi grazie a quelle foto. Il presidente non ha battuto ciglio.”
Il tenente sorride soddisfatto grattandosi il mento: “Ben fatto. A presto Capitano, è tutto nelle vostre mani adesso.”
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“Qua Idra 1 a base, posizione N20.60 E38.50, stiamo per congiungerci alle squadre Ace e Lemon da İncirlik, l’obbiettivo è a diciassette minuti da noi. Attendiamo il via libera.”
I quindici Falcon si dispongono a delta sollevandosi in alto come un colpo di mortaio, poi virano verso sinistra, davanti a loro delle macchioline nere si fanno sempre più grandi e vicine. I caccia a questo punto si dividono tracciando due semicerchi che si separano lasciando spazio gli enormi B52. Le nuvole spariscono in ricci bianchi e vorticosi dietro le ali dei velivoli mentre questi si ridispongono ai lati dei bombardieri e davanti ad essi. La formazione vira adesso verso est, dirigendosi verso la terraferma.
“Qua Idra 1 a base, siamo diretti a La Mecca. Attendiamo il via libera.”
Il centro di comando risponde dopo qualche istante: “Squadra Idra, confermiamo. Avvicinarsi al bersaglio e sganciare.”
“Affermativo, base.” Il pilota ha un attimo di indecisione: “Spero vi rendiate conto di quel che state facendo.”
Il comando viene ripetuto con fermezza: “Base a Idra 1: avete il via libera. Quando il bersaglio sarà in vista l’ordine è di sganciare. Ripeto: sganciare.”
Il pilota stringe gli occhi e guarda fuori dalla cupola in vetro temprato, al suo fianco decine di altri Falcon e, dietro di loro, sei B52. Gli aerei sono appesantiti da una stiva piena fino all’orlo, ma il mare presto lascia spazio alla terraferma, le nuvole scorrono fumose sotto di loro proiettando ombre scure sul terreno ocra. Superano una cittadina e si dirigono sul bersaglio, la formazione inizia ad aprirsi a ventaglio, i caccia davanti, i bombardieri dietro. Lo schermo di comando mostra i bersagli come puntini rossi sullo schermo: l’intera mappa della città è un fuoco da spegnere, centinaia di spie luminose si accendono mostrando gli obbiettivi principali e i secondari. L’orizzonte si curva in una falce bianca che abbraccia il profilo del paesaggio sotto un cielo azzurro.
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Ha sei anni, si aggiusta i capelli allo specchio facendo una piega verso destra. È troppo basso ed è dovuto salire su uno sgabello per potersi osservare. Inclina la testa di lato e sposta un ciuffo ribelle che si ostina a ricadere sulla fronte. Una voce femminile lo raggiunge dal piano di sotto.
“Ihsaan, sbrigati o farai tardi a scuola! Lo sai che poi tuo padre si arrabbia, dai!”
“Arrivo!”
Scende velocemente dallo sgabello e torna in camera correndo. Passi leggeri e frettolosi. Indossa una maglia bianca e scende le scale dirigendosi in cucina.
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“Idra 1 a squadra: armare.”
“Qua Lemon1: ricevuto.”
“Ace1, confermo.”
Le dita si muovono velocemente sui pannelli di comando, sollevando levette rosse e una piccola cupoletta di metallo, sotto di essa una leva a farfalla viene fatta ruotare di 360 gradi.
“Idra1 a squadra: dirigersi verso gli obbiettivi.”
La formazione inizia ad aprirsi in una ragnatela di traiettorie che inizia ad abbracciare la città.
—
Passa lo strofinaccio sui piatti asciugandoli e impilandoli su un mobiletto in legno. Un leggero ronzio comincia ad insinuarsi nelle sue orecchie.
“Allora, mi raccomando, non fare tardi dopo la scuola che mi devi aiutare con i mobili nuovi.”
È sempre più forte, cupo, sinistro. I vetri della finestra iniziano a tremare.
“Sì, dai, mamma… lo so, me l’hai già detto.”
“Bravo, adesso vatti a lavare…”
Si dirige verso il balcone, il boato si fa sempre più forte, finisce la frase quasi sussurrando: “…I denti.”
Il tuono avanza pericolosamente e si moltiplica secondo dopo secondo, alcune coppe di creta appoggiate ad una mensola cominciano a tremare e un piatto scivola dalle mani della donna spaccandosi sulla pietra rossa.
“Ihsaan!!”
Lo afferra in braccio e si sporge verso la finestra, accarezzandogli i capelli e premendoselo sul petto.
Il bambino muove gli occhi curiosi verso il cielo, stringe il braccio della mamma con dita piccole e tremanti: “Mamma, che succede…?”
—
Due caccia ai bordi della formazione si sollevano per un attimo, sembrano quasi immobili, poi si inclinano scivolando nell’aria in un movimento improvviso che rilascia scie bianche i bordi delle ali, ruotano su se stessi e ritornano in coda iniziando a pattugliare lo spazio aereo sulla Città Santa. Le rimanenti macchine da guerra volanti al centro della formazione iniziano a dirigersi verso un bersaglio diverso, anche i caccia sono stati armati e sono pronti a sganciare.
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Gli occhi della donna iniziano a spostarsi verso l’alto, nel cielo, cercando una traccia nell’indaco che confermi il suo terrore. Come lei, altre centinaia di uomini e donne si affacciano dalle loro abitazioni, altri fermano la macchina e scendono per strada, altri ancora iniziano a correre chiudendosi la porta di casa alle spalle. Per qualche istante il tempo stesso pare interrompersi e migliaia di facce si piegano all’indietro puntando lo sguardo verso il cielo come un’unica onda: sopra di loro decine di angeli scuri volteggiano implacabili.
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I portelloni sbuffano impazienti, pronti ad aprirsi e i bombardieri si sollevano lentamente facendo flettere ali lunghe 28 metri l’una verso il basso per poi prepararsi ad una veloce e breve picchiata.
“Qui Lemon 1: siamo sopra il bersaglio principale.”
“Qui Ace1: affermativo, siamo pronti anche noi.”
Il rumore dei motori è l’unico sottofondo che si intromette nel silenzio delle cabine di pilotaggio.
I bombardieri attendono il comando che tarda ad arrivare.
“Qui Lemon1, ripeto: siamo sopra il bersaglio principale.”
Il pilota nel caccia stringe la cloche con entrambe le mani, scuote la testa. Sotto di lui decine di migliaia di civili.
“Idra1, mi ricevi? Qui Ace1, ripeto: siamo sopra il bersaglio principale…”
Un sospiro precede la risposta: “Qui Idra1… Affermativo…” deglutisce provando a bloccare la parola nella sua bocca: “Sganciare.”
I pollici premono sulle leve della cloche e il serbatoio si apre in un cigolio metallico. Il carico degli aerei comincia a piovere sulla città in un’enorme ombra scura che pare eclissare il cielo.
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Clicca qua per la seconda parte del finale di stagione.
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Ogni disegno de Il Trono di Ruspe, dalle vignette nel testo alle copertine, è stato fatto dalla mano del bravissimo Zobly. Cliccate QUA per seguirlo sulla sua pagina FB, se lo merita.
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