Quella che state per leggere è una storia di pura fantasia. Ogni personaggio, nome citato, luogo e situazione non sono riferiti ad un contesto reale, ma sono da attribuirsi ad un mondo puramente immaginario. Ogni riferimento a fatti, luoghi, storie, situazioni e personaggi realmente esistenti è puramente casuale.
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IL TRONO DI RUSPE
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Capitolo 10: Lacrime e sabbia – Parte II
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“Mio Moncliff, mi riceve?”
Matt afferra la ricetrasmittente, dietro di lui la lunga fila di camion attende i suoi ordini. L’aeroporto militare è a due kilometri da loro, i muri alti e a forma di ferro di cavallo conducono ad un’entrata blindata.
“Dimmi, Makeen.”
“I soldati sono preoccupati, c’è troppo silenzio e non c’è anima viva da quando siamo entrati in Turchia.”
“Non ti preoccupare, è solo perché tutti i militari sono ad Aleppo, come secondo i piani, ricordi? Dovrete solo seguirmi e irrompere insieme a me.”
“Ma mio Moncliff…”
Matt lo interrompe: “Makeen. Ti ho mai deluso..?”
La risposta è immediata e frettolosa: “Oh no, di certo no, mio Moncliff.”
“Bene, gli ordini sono questi, li ripeta ai suoi uomini: noi irromperemo dentro e voi ci seguirete. Una volta all’interno sparate a qualunque cosa si muova.”
“Ma non preferirebbe rimanere qua al sicuro? Può essere per-”
L’ordine è perentorio: “MAKEEN. Obbedisci.”
“…”
“…”
“…Va bene, mio Moncliff.”
Matt fa un cenno a Nunzio e si volta un attimo: “Beh, ci siamo tutti?”
I militari e le donne acconsentono.
“Ottimo, beh caporale. Ha il via libera.”
L’uomo socchiude l’unico occhio che gli rimane inspirando lentamente. Piega leggermente il capo in avanti e spinge il pedale a tavoletta. La jeep schizza in avanti sgommando e sollevando fumo nero dai pneumatici mentre la mano di Nunzio si sposta velocemente sulla destra cambiando le marce. Dopo qualche istante altri centinaia di camion iniziano a seguirli suonando clacson all’impazzata e sventolando bandiere nere nel vento.
La base militare è sempre più vicina, muri alti e torri provviste di mitragliatori fissi incombono su di loro, nessun soldato posto di guardia. La jeep va sempre più velocemente, passando dal suolo sterrato a quello asfaltato che porta all’ingresso con un piccolo sobbalzo, Nunzio stringe il volante fra le mani grugnendo.
Il cancello rimane chiuso.
Nicola si sporge verso i due uomini davanti: “Mmmhh… Ma è normale ‘sta cosa? Non dovrebbe essere aperto?”
Sono sempre più vicini, meno di 500 metri tra loro e l’ingresso della base.
“Vedrete…” Ignazio deglutisce piano: “Presto sarà tutto finito.”
Dietro di loro un mare nero e assetato di sangue li segue.
400 metri, il cancello resta chiuso.
Mary si intromette provando a velare l’ansia con ironia: “Ah-ah, ma vi eravate messi d’accordo vero…?”
Il politico si strofina nervosamente le mani sul petto e ricontrolla la trasmittente.
“Sì… certo…”
200 metri, le grida dei guerriglieri sono sempre più cariche d’odio. Il cancello resta chiuso.
Luisa afferra tremante il braccio del politico iniziando a scuoterlo: “Matt…? MATT!?! NON SI APRE!!”
L’uomo stringe le labbra: “Avanti, forza… ci siamo quasi.”
50 metri, un debole spiraglio si schiude davanti a loro. Il cancello si spalanca velocemente in un rumore di cigoli poco oliati. Ancora pochi metri e sono salvi.
“Forza!”
“Ce la faremo”
La speranza nei loro occhi si interrompe nello stesso momento in cui le ante spesse si bloccano a metà.
Nunzio grida premendo di più sull’acceleratore e schiacciando la schiena contro il sedile: “Merda! Non ce la faremo! Tenet-”
L’istante successivo il muso dell’auto sfonda i bordi esterni dell’apertura, la macchina affonda i pneumatici anteriori sollevandosi e sbandando lateralmente per poi ribaltarsi su un lato iniziando a rotolare sull’asfalto all’interno della base militare. Subito dopo, all’esterno, decine di esplosioni si susseguono a catena facendo tramare l’aria con onde d’urto che si propagano per centinaia di metri.
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Le orecchie gli fischiano e perde sangue da un braccio. Matt si afferra la testa fra le mani, sente tutto il corpo premergli sul collo: la macchina si è capovolta. Il mondo intorno a lui è appannato e ovattato, si volta provando a capire come muoversi per uscire dall’auto, geme provando a strisciare, cercando una posizione che lo aiuti a divincolarsi in quell’ammasso di lamiera accartocciata. Due paia di mani rispondono alla sua richiesta afferrandolo per le spalle e trascinandolo fuori dal finestrino con forza. Matt si stropiccia un occhio: un altro rivolo di sangue si snoda sulla fronte. Oltre venti militari americani lo osservano da dietro canne scure di semiautomatiche, un semovente fa da scudo, sono pronti a far fuoco.
“IDENTIFICATI!”
Matt alza gli occhi al cielo, il fischio nelle orecchie tarda a scomparire: “S-s-s-sono Matt…”
“ALZA LA VOCE!”
“S-SONO MA-”
Viene subito interrotto da una voce forte e decisa: “Ma che diavolo fate?” Il Capitano Ford si avvicina velocemente al plotone davanti a lui: “Lui è a capo dell’operazione! Aiutatelo e aiutate i suoi uomini, non c’è tempo da perdere!”
I soldati si guardano e si mettono subito all’opera. Il capitano Ford abbraccia Matt: “Ah! Italiano! Ce l’hai fatta, li abbiamo presi!”
Il politico si guarda intorno, poi inizia ad incamminarsi verso il cancello seguito dall’americano. Tutt’intorno centinaia di militari iniziano ad aprirsi al loro passaggio, l’atrio della base militare è gremito di soldati, sguardi carichi d’ammirazione e curiosità si spostano verso quest’uomo con la barba scura, leggermente sovrappeso, che cammina oscillando indossando un lungo abito verde smeraldo.
“È lui.”
“È l’italiano…”
“Il piano ha funzionato.”
“Non ci posso credere…”
Il politico si guarda intorno: “Che diavolo hanno da guardare tutti…?”
Ford sorride debolmente, la ricetrasmittente sulla spalla raschia piano: “Abbiamo portato i soldati dell’italiano e le donne in infermeria, deboli contusioni e tagli su arti e volti, niente di grave.”
Poggia una mano sulla spalla di Matt conducendolo verso le scale di una torre in cemento armato: “Diciamo che è diventato famoso da queste parti…”
Salgono lentamente i gradini, da oltre le mura iniziano a sollevarsi grida strazianti e nuvole di scintille e fumo.
“È andato tutto come previsto?”
“Sì, abbiamo i filmati audio e video in diretta, siamo pronti per la proiezione.”
Si interrompe ridacchiando incredulo: “L’operazione è stata un successo, il nemico è definitivamente abbattuto e con il morale a terra. Stiamo ricevendo ordini di resa da decine di guerriglieri e gruppi isolati rimasti nella regione. Il bilancio è anche migliore del previsto.”
“Quanti morti?”
“Zero.”
Il volto di Matt si illumina in un sorriso e i suoi passi superano l’ultimo gradino portandosi sul bordo superiore dell’alto muro di cinta: sotto di lui un’enorme perimetro infuocato si snoda all’interno dell’atrio a ferro di cavallo, portandosi all’esterno e abbracciando una vasta area che contiene quasi tutto l’esercito dell’ISIS. Enormi colonne di denso fumo bianco si sollevano, quasi oscurando i guerriglieri all’interno della trappola.
Il politico osserva meglio quelle strane fiamme che si sollevano, bruciando in alto nell’aria e muovendosi nel vento: “Che razza di fuoco è?”
“Mine al fosforo, bruceranno per giorni.”
Il perimetro infuocato, per quanto enorme, è troppo piccolo per contenere l’intero esercito dell’ISIS, in lontananza decine di carri armati iniziano ad aprire il fuoco contro i camion e le jeep rimaste all’esterno, cinque elicotteri pattugliano dall’alto la situazione, trivellando chiunque inizi a reagire al fuoco. È un massacro.
Matt fa un cenno agli arabi sotto di lui: “Questi lasciamoli vivi, per adesso.”
“Come desidera, signore.”
“Iniziamo con la proiezione, prima li distruggeremo e solo dopo li faremo fuori.”
Il capitano da il comando con la ricetrasmittente. Dopo qualche secondo decine di uomini cominciano a risalire dalle scale interne i muri di cinta trasportando dei lunghi teli bianchi. Si dispongono in linea e li srotolano iniziando a ricoprire di tessuto le pareti esterne dell’entrata principale, di fronte all’esercito arabo. Fra i due schieramenti oltre dieci metri di fiamme invisibili, ardenti e dai riflessi rossi, verdi e blu.
Due elicotteri si piegano in lontananza, scartando su un fianco, per poi inclinarsi leggermente in avanti procedendo velocemente verso le mura, sotto di loro due proiettori sono stati incernierati. Il rumore delle pale si fa sempre più vicino, scandendo il tempo come un solo metronomo e portandosi sopra le teste degli arabi, dopo un istante due raggi luminosi si abbattono sui muri della base militare
“Matt, siamo pronti.”
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Le strade di Aleppo sono ricoperte di fumo nero e l’aria si riempie dello scoppio dei proiettili provenienti da migliaia di kalashnikov. L’esercito dei guerriglieri prosegue per le strade dando fuoco ad ogni auto sul percorso e distruggendo statue ed edifici storici ovunque ce ne sia l’opportunità. I proiettili rimbalzano contro i muri scoppiando contro l’asfalto, schegge e vetri impazziti viaggiano sibilando e conficcandosi nelle lamiere delle auto e nelle finestre dei civili. L’onda scura procede inesorabile mentre le forze alleate non possono far altro che retrocedere, metro dopo metro, verso la cittadella. Un fiume di bandiere nere si avventa come uno tsunami oltre il quartier Sukkari, guada il Queiq, e travolge Al Fardos e Al Quasiliah, lasciando ogni alle sue spalle una lunga colonna di distruzione. Il loro obiettivo è ormai vicino, ce l’hanno quasi fatta.
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Il tenente colonnello controlla l’avanzata dell’esercito dagli schermi sul monitor, poi afferra una ricetrasmittente e la porta velocemente alle labbra.
“Qua tenente colonnello West, mantenete le posizioni, voglio la situazione sotto controllo. I civili sono stati allontanati?”
La risposta lo raggiunge presto, la voce leggermente disturbata dall’interferenza: “Signorsì, signore. Non possiamo ancora fare un bilancio delle vittime, ma l’esercito sta seguendo esattamente il percorso tracciato. Abbiamo fatto saltare macchine e tombini ogni volta che provavano a cambiare tragitto, le fiamme li spingono dove vogliamo, signore.”
“Perfetto. Fategli circondare la cittadella, poi chiudete l’accesso con i cingolati, voglio un lavoro pulito. Una volta che li avremo chiusi partiremo con il piano Hollywood. Mi sono spiegato?”
“Signorsì, signore.”
“Non aprite il fuoco, non vogliamo vittime fra i civili. Sono stato chiaro?”
“Signore, chiaro come uno scotch whisky, signore.”
Il tenente colonnello si appoggia di nuovo allo schienale della poltrona chiudendo la comunicazione, solleva le gambe e le incrocia sul tavolo accendendosi un cubano. Alla sua sinistra una bottiglia di Dalmore. La afferra e la stappa versando due dita di liquido color rame traslucido e cristallino nel bicchiere. Nella stanza si diffonde un lieve aroma pungente di mogano, zucchero e alcool.
Il suo sguardo segue l’avanzata dell’esercito dal monitor e un sorriso pacato gli compare sul volto.
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Makeen si ripara il volto dal calore, ritorna velocemente indietro, verso i camion dietro di lui. Deve trovare qualcosa: dell’acqua, dei tessuti, qualunque cosa per spegnere quel dolore, ha una gamba in fiamme. Si mette a gridare e si accascia a terra rotolandosi sull’asfalto per poi provare a spegnerle con le mani, ma il fuoco è avido e tenace e inizia a divorargli le dita e i polsi, risalendo lentamente lungo le braccia come zampe di una tarantola. Un guerrigliero si avvicina e inizia a gettargli addosso dell’acqua: è tutto inutile. Il calore non si placa e continua a divorare libbra dopo libbra della carne dell’uomo sollevando ricci bianchi di fumo che bruciano gli occhi dell’arabo.
“Cosa diavolo è successo…? Ci hanno attaccati?”
Si alza in piedi provando a capire la situazione, il suo viso si solleva e incrocia quello di Matt, tra le dense colonne di esalazioni ardenti. Accanto a lui un americano, dopo qualche secondo riconosce il volto: è uno degli ostaggi poi fuggiti. Una morsa gli attanaglia il cuore: “M-M-Moncliff…”
L’italiano gli risponde spalancando la bocca e sollevando gli zigomi mostrando i denti in un sorriso grottesco, la barba gli si solleva nel vento e le sopracciglia ispide si arcuano sugli occhi. Lo saluta con la mano.
Nello stesso istante qualcosa appare davanti a lui, le mura della base militare hanno preso vita. Dopo un po’ riflette e osserva meglio, il dolore lo sta divorando vivo, ma riesce ancora a guardare cosa avviene mentre si contorce: riprese dall’alto di Medina, La Mecca, Gerusalemme e decine di altre città, centinaia di moschee e innumerevoli bombardieri e caccia nei cieli. È un filmato.
La telecamera si sposta sulla popolazione: decine di migliaia di civili piangono in ginocchio, altri tremano, sono interamente ricoperti di un qualche tipo di sostanza indefinibile. L’inquadratura cambia velocemente mostrando la Kaʿba, Qubbat al-Ṣakhra e al-Masjid al-Nabawi, le tre moschee sacre. Il tetto degli edifici è sfondato e tutt’intorno è ricoperto da uno spesso strato indefinito, pare marroncino e appiccicoso.
La scena cambia ancora, gli sguardi dei presenti rapiti da quel terribile spettacolo, ogni arabo ripreso dal video è vivo, ma si contorce a terra o non è in grado di mettersi in piedi, squassato dai pianti e dalla disperazione.
“Arma biologica? Chimica? C-c-che ci hanno fatto?”
La risposta arriva immediatamente: l’interno delle moschee e le enormi superfici esterne riservate all’adorazione e la preghiera sono piene di sangue e sul pavimento decine di carcasse di maiali spappolati piovuti dall’alto hanno spruzzato viscere e budella ovunque. L’impatto ha devastato affreschi, colonne, altari, scale e scritte sacre. All’esterno le torri dei minareti paiono interamente ridipinte di rosso e, facendo più attenzione, si possono notare dense gocce di sangue ricoprire la pietra bianca, così come intestini, polmoni, milze, cervelli e muscoli stendersi sugli enormi pavimenti destinati all’adorazione e la preghiera.
Una lacrima comincia a colare sul volto di Makeen, il corpo ormai interamente avvolto nelle fiamme. La pelle inizia a sciogliersi e la goccia salata evapora istantaneamente. Nonostante il dolore non riesce a chiudere le palpebre e gli occhi restano fissi su quella telecronaca terribile: le città sante sconsacrate, così come centinaia di moschee sparse per tutto il medio oriente. Le immagini sono molteplici, veloci e non lasciano dubbi: non c’è un solo fazzoletto sacro di terra rimasto integro da quell’attacco profano, sono state sconsacrate anche le moschee di Qayrawan e di Kerbela e il resto della città è interamente ricoperto di ignobili sostanze. Su ogni casa, negozio, ufficio, piazza, persino su ogni sinagoga e ogni chiesa, c’è un denso strato di grasso che porta con sé pancetta a cubetti o a fettine, cruda o fritta, aromatizzata o affumicata.
Le palpebre iniziano ad arricciarsi per via del calore, sfibrandosi e aprendosi in spaccature porpora che si ossidano come la carta di una sigaretta accesa, gli occhi dell’arabo pieni di lacrime si seccano dopo qualche secondo, nel riflesso vitreo delle iridi che si sciolgono le moschee di Najaf, di Al-Kazimiyya e di Qom devastate dalla caduta di decine di grossi, grassi e impuri suini.
Makeen si accascia al suolo, non ha più forze e il corpo trema di dolore squassato da lame ardenti che gli scavano fra i muscoli e le viscere. L’ultima cosa che sente prima di andarsene è la risata di Matt sollevarsi al cielo e ricadere su di lui.
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L’italiano osserva la scena sotto di lui, pura disperazione negli occhi delle vittime, pura soddisfazione nei suoi. Ruota il busto abbracciando con lo sguardo tutta l’area, inspira come un serpente e socchiude gli occhi scrutando quei volti poco distanti: non è sufficiente. Si volta facendo un occhiolino all’uomo a fianco: “Ford, me la tradurrebbe una cosuccia?”
Il militare acconsente e dopo qualche istante afferra la ricetrasmittente al fianco. Sorride: “Qua capitano Ford a centro operativo, avrei un’ultima richiesta.” Poi passa l’apparecchio a Matt.
Dopo qualche istante la voce dell’italiano si solleva sovrastando le grida dei soldati: i megafoni disposti tutt’intorno sono stati azionati al massimo.
“Non avete più un esercito. Non avete più un paradiso. Non avete più una casa.”
Si interrompe per poi riprendere: “L’Islam è morto.”
Lo ripete ancora, gridando sempre più forte: “L’Islam è morto! Morto! Distrutto per sempre!! L’ISLAM È FINITO! AHAHAHAH!!”
La sua risata viaggia ricoprendo la valle e centinaia di arabi cominciano a prenderlo di mira con i fucili. Ford afferra l’uomo dalle spalle e lo spinge a terra, oltre il bordo del muro. Matt sembra non accorgersi di niente, le parole continuano a fuoriuscire rabbiose: “Vi seppelliremo con i maiali! Ahahah! Vi cuciremo nella loro pelle!! AHAHAHAHAH!!! OGNUNO DI VOI!!”
L’annuncio viene ripetuto in loop, gli altoparlanti sono implacabili e riempiono l’aria con le loro vibrazioni, la rabbia dei guerriglieri è presto sostituita dalla disperazione. Gli arabi iniziano a strapparsi la barba, altri cominciano a spararsi addosso gridando come indemoniati, altri si inginocchiano in lacrime, alcuni sparano contro gli elicotteri per provare a far terminare quelle terribili immagini proiettate contro il muro, centinaia di loro si spogliano e corrono verso l’esterno gettandosi piangendo nelle fiamme nella speranza che il cadavere bruci interamente e non possa essere usato per quell’atto blasfemo agli occhi di Dio. Una minuscola speranza di poter raggiungere puri il paradiso, a patto che esista ancora.
Il fumo bianco li circonda e gli spari dei carri armati si fanno sempre più vicini, i mitragliatori dall’alto rifiniscono il lavoro. La valle si riempie di sangue, lacrime e sabbia. Le grida, terribili e dolorose, si spengono lentamente, ora dopo ora, finché anche l’ultimo dei guerriglieri non si è arreso o non si è lasciato morire fra le fiamme e i proiettili.
Epilogo
La sala delle conferenze è gremita di generali e alti esponenti dell’esercito americano accorsi da mezzo mondo.
Il capitano Ford è in piedi e parla rivolto alla sala, l’uniforme stirata gli fodera il petto largo e muscoloso, i gradi e le onorificenze brillano lucide sotto i riflettori.
“E quindi, grazie a questo incontro inaspettato e fortunato, non solo io e i miei tre uomini siamo riusciti a sopravvivere, ma abbiamo potuto anche distruggere, definitivamente, la minaccia terroristica in Medio Oriente. E senza fare una sola vittima civile.”
Il generale Kirk si mette in piedi e inizia a parlare facendo tremare le guance grassocce: “Abbiamo ricevuto la resa di oltre milleduecento piccoli nuclei sparpagliati in tutto il mondo. Si sono consegnati a noi senza battere ciglio.”
“Sì, ma a che prezzo?” Un giovane ammiraglio della marina si mette in piedi: “Abbiamo avuto, in un solo giorno, il più alto tasso di suicidi nel mondo. Oltre quarantamila persone si sono lasciate morire e migliaia di scioperi della fame sono in atto ovunque, dal Canada alla Nuova Zelanda.”
Abbassa la testa rassegnato e sconcertato: “Abbiamo tolto il sacro da una delle religioni più influenti del mondo, avete idea del disastro sociale e umano a cui stiamo andando incontro? E questa è solo la stima delle prime ore.”
Kirk scuote le spalle ridacchiando: “Beh, questo non è un problema che riguarda noi: non sono certo vittime di guerra. Non è colpa nostra se non riescono a reggere un po’ di pancetta.”
La sala applaude divertita.
Una voce si solleva: “Avete visto anche il ragazzo che abbiamo recuperato? Abbiamo dovuto metterlo in isolamento, ha provato a fottere il tenente McKins-”
“Sì, sì, sì. Non è importante, tenete. L’importante è avere finalmente tutti questi stronzi distrutti e docili. Ha idea di quanto sia sceso adesso il prezzo del petrolio?”
La discussione continua animatamente e il capitano Ford esce dalla sala per dirigersi verso all’alloggio del politico italiano, vuole ringraziarlo un’ultima volta prima di ritornare in patria.
Dirige i suoi passi velocemente verso la camera assegnatagli, dopodiché bussa alla porta.
Una voce femminile proviene dall’interno: “Chi è?”
“Sono Ford.”
“Ah, prego. Avanti.”
Il capitano entra in camera e rimane in piedi osservando il gruppo dei militari, le due donne e il politico piegati sulla scrivania davanti ad una cartina.
“Interrompo?”
Matt si risolleva: “No, nient’affatto. Stavamo studiando i prossimi passi per andare in India.”
Ford annuisce soddisfatto: “Capisco, una missione è una missione. Va portata a termine.”
Un momento di silenzio imbarazzante si intromette fra loro, Mary decide di sciogliere il ghiaccio: “Suvvia, capitano, non ne avremo passate poi così tante insieme, ma per quello che è successo credo che presentarci da persone civili sia il minimo.”
La giornalista si passa la lingua sulle labbra e sorride maliziosamente avvicinandosi al militare. L’uomo la guarda e le stringe la mano con presa ferma, ma delicata, poi si dirige verso gli altri del gruppo. “Già, non credo di aver conosciuto gli altri eroi di questa operazione.”
Fa un cenno con il capo a Luisa e Nunzio: “Noi ci siamo visti se non ricordo male…”
Nunzio: “Già.”
Luisa: “Esattamente, nella tenda. Subito dopo avervi liberati.”
Volta lo sguardo verso gli altri militari facendo un cenno a Matt con il capo: “Ragazzi, spero che voi vi rendiate conto della fortuna di avere uno stratega come lui dalla vostra.”
Ignazio si volta: “Che…?”
Mary sbuffa e si mette a tradurre.
La mano del capitano stringe un’ultima volta quella di Luisa, Nunzio, Ignazio, Carmelo, Ciro e Nicola.
I suoi occhi stanno per posarsi di nuovo su quelli di Matt, quando qualcosa lo colpisce.
L’ultimo soldato. C’è qualcosa in quel volto gli stuzzica la memoria, l’ha già visto da qualche parte.
Continua a stringergli la mano socchiudendo le palpebre, analizza le labbra, i capelli, gli zigomi.
Dopo qualche secondo ha un flash: è nel deserto, circondato da decine di donne col burqa, il guerrigliero è stato catturato e lui e la sua squadra sono pronti per portarlo alla base per interrogarlo. Il vento soffia, la sabbia si alza. È un attimo: venti kalashnikov vengono puntati contro di loro dagli uomini sotto il burqa.
I suoi ricordi viaggiano veloci, rivede lo sguardo del guerrigliere e i suoi occhi son fissi su quelli di Nicola.
La mano inizia a stringersi sempre di più attorno a quella del soldato italiano e quella sinistra si sposta alla trasmittente al fianco. Spinge un pulsante rosso.
“E quindi voi quattro che ruolo avete avuto nel piano?”
Nei suoi occhi l’imboscata continua, Ward si risolleva e afferra l’M9 dal fianco, si getta di lato ammazzando tre guerriglieri prima di ricadere sulla sabbia.
Nicola interviene, Mary traduce: “Oh beh, noi abbiamo aiutato Matt a sopravvivere per tutto questo tempo.”
Gli occhi di Matt osservano quella stretta, stranamente più lunga e calcolatrice, poi si spostano sul volto di Ford e di nuovo su quelli di Nicola.
Ciro: “Già! Siamo il suo piccolo esercito personale.”
Il flashback continua: altri suoi quattro uomini reagiscono, imbracciando i fucili e iniziando ad aprire il fuoco sugli arabi. Un lampo bianco. I loro corpi tumefatti e trivellati si svuotano di sangue e budella sulla sabbia.
La mano del capitano Ford si serra come una pressa d’acciaio: “Immagino sia un lavoro molto difficile.”
Nicola inizia a gemere di dolore, le dita si sbiancano: “Ecco, b-b-beh, dà le sue s-s-soddisfazioni…”
Immediatamente nella camera irrompono dieci soldati armati: “Capitano Ford! È un’emergenza? Abbiamo ricevuto il segnale!”
Il capitano rimane in silenzio, i presenti si allontanano senza capire quel che succede. Matt si intromette: “Capitano, mi spiega che diavolo sta succedendo?”
L’uomo non risponde. Nella sua mente il tiratore scelto viene bloccato sul tettuccio della jeep da tre uomini, un quarto inizia a tagliargli la testa con un coltello. Dopo qualche secondo il capo del soldato Hall si alza verso l’alto sorretto dai capelli dalle dita dell’arabo. Gli occhi capovolti all’indietro e la bocca congelata in uno spasmo di terrore. Spruzzi rossi verniciano il parabrezza della jeep.
I suoi occhi fissi su quelli di Nicola. Ormai ne è sicuro: quel soldato che gli sta di fronte è lo stesso guerrigliere dell’imboscata.
Apre la mano e comincia ad allontanarsi rivolgendosi agli uomini davanti a lui: “Soldati, ammanettateli immediatamente. Sono in arresto.”
Matt si mette a gridare: “Cosa?!? E perché mai?”
Senza voltarsi la risposta del capitano arriva gelida: “Per terrorismo e crimini di guerra.”
I militari americani iniziano ad ammanettare gli italiani spingendoli con violenza a terra e contro il muro, li minacciano con tre M16.
Luisa: “Che diavolo vi prende?”
Ford, le braccia dietro la schiena e lo sguardo verso il muro: “Risponderete dei vostri crimini contro l’esercito degli Stati Uniti.”
Mary: “COSA? Ma se vi abbiamo aiutati?!?”
Ford: “Collaborazione con forze terroristiche e omicidio di sei soldati NATO.”
Luisa: “Tutto questo non ha senso!”
Mary: “No… Oddio no!”
Luisa è in lacrime, i polsi stretti dietro la schiena: “Matt! MATT!! Fa’ qualcosa!!”
Il politico ha lo sguardo perso nel vuoto, non è in grado di reagire. Due mani d’acciaio lo bloccano e lo ammanettano premendogli la testa contro il pavimento.
Il capitano volta la testa stringendo la mandibola come un cane rabbioso, sta trattenendo a stento la furia omicida. Si allontana dalla stanza a passi lenti: “Ci rivediamo in America. Vi aspetto.”
La stanza si riempie di grida e i militari provano inutilmente a divincolarsi. Un tramonto rosso illumina colonne bianche di fumo e i raggi si posano un’ultima volta su migliaia di corpi trivellati e bruciati all’esterno della base.
Epilogo dell’epilogo
La villa si erge sulla cima di una collinetta circondata da querce e cipressi. I muri bianchi mostrano colonne doriche in cartongesso e grandi finestre dai vetri ad arco. Il patio esterno è pavimentato in marmo rosa e una donna da un grande cappello a falda larga è stesa su una sdraio, legge un quotidiano sorseggiando un Cosmopolitan. Occhiali da sole, labbra carnose, pelle d’ambra. Dall’interno delle voci la raggiungono, sente suo marito parlare con quella nullità del suo consigliere.
“Ma signore! Non credo sia l’opzione migliore!”
“Andiamo! Ti rendi conto di quel che ha fatto? Ha sconfitto gli arabi, distrutto il terrorismo, abbassato il prezzo del petrolio e tutto questo senza neanche fare una vittima civile! Tutto in un colpo solo!”
I due uomini camminano velocemente su un tappeto rosso che si snoda fra mobili di mogano e quercia bianca.
“È perfetto! Te lo dico io!”
“Signore, è sotto arresto… rischia la pena di morte. Anzi, non appena i giornali lo verranno a sapere…”
L’uomo si interrompe davanti ad uno specchio, tende le labbra mostrando i denti e si passa l’unghia del mignolo fra due incisivi togliendo un pelucchio inesistente.
Un grido acuto riecheggia nel corridoio, facendo tremare i cristalli nei mobili.
Una risatina precede la risposta: “SE i giornali lo verranno a sapere.”
“…Che intende dire?”
“Intendo dire che a noi serve uno stratega e che ci serve adesso. E faremo di tutto per prendercelo o non vinceremo mai queste cazzo di elezioni.”
Il ragazzo tentenna: “Ma signore… è reato federale…”
Due ali si avvicinano sbattendo e distendendosi nell’aria, sono talmente ampie da sfiorare con la loro estremità le pareti del corridoio.
L’uomo si volta sollevando gli zigomi e socchiudendo gli occhi. I capelli biondi setosi vengono portati di lato con un gesto fluente. La pelle, leggermente arrossata, traballa mentre parla: “Forse, caro Adam, ti stai dimenticando chi sarà il prossimo presidente…”
Il ragazzo abbasso gli occhi sul pavimento grattandosi una spalla: “N-n-no mio signore… Lo so bene…”
L’uomo porta indietro la testa squadrandolo con aria di sfida, un’aquila dalla testa bianca si solleva dietro di lui per poi posarsi sulla sua spalla: “E come si chiamerà?”
Il ragazzo deglutisce: “Turmp, Dolan Turmp.”
L’uomo lo guarda soddisfatto e l’aquila sbatte le ali puntando i suoi occhi gialli, luminosi e democratici in quelli del giovane.
“Esatto, ragazzo mio. Esatto.”
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Ringraziamenti.
Ringrazio ancora una volta il mio amico Jacopo, primo tester, critico e supporter di quel che scrivo, il suo parere è sempre prezioso e mi spinge ogni volta a continuare con le mie storie. Ulteriori ringraziamenti sono per Paolo, Emiliano ed Evelyn che mi hanno aiutato nella revisione iniziale del personaggio con la loro opinione sull’andamento della storia.
Un ringraziamento speciale va fatto a Zobly, un disegnatore che ha ricevuto i primi nove capitoli a settembre, così da potersi portare avanti con il lavoro con calma, ma è riuscito ogni volta ad essere in ritardo con le tavole.
Ogni. Volta.
Le sue matite e le sue chine hanno realizzato tavole che ho adorato e grazie a lui i miei personaggi hanno preso vita sotto i miei occhi. È stato fantastico. Ancora una volta non posso far altro che incitarvi a seguirlo sulla sua pagina Facebook cliccando QUA, se lo merita davvero.
Per finire, ringrazio voi lettori. Come sempre siete stati attivi e una parte fondamentale nella storia. Ricevere messaggi privati di apprezzamento, quanto di critica è sempre stimolante per far meglio la prossima volta.
Grazie. A tutti voi.
-Rorschach
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Mi ero appassionato un sacco… Andrai avanti?
L’idea era quella, spero di riuscire ad organizzarmi per poter continuare.
Ok, allora continuo a tenere il sito tra i preferiti 😉