Quella che state per leggere è una storia di pura fantasia. Ogni personaggio, nome citato, luogo e situazione non sono riferiti ad un contesto reale, ma sono da attribuirsi ad un mondo puramente immaginario. Ogni riferimento a fatti, luoghi, storie, situazioni e personaggi realmente esistenti è puramente casuale.
IL TRONO DI RUSPE
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Capitolo 3: Partenza – Parte II
Davanti a lei oltre le centinaia di gambe distese e bruciate dal sole, due uomini si sollevano lentamente in piedi appoggiandosi alla balaustra arrugginita. Li vede chinarsi piano, singhiozzano debolmente. Stanno legando qualcosa, ma la matassa di corpi sul ponte principale le impedisce di vedere bene. Si sporge in avanti: adesso riempiono una tanica vuota con acqua di mare e la legano ai piedi di un uomo disteso a terra. Dopo qualche istante il cadavere viene gettato fuori dall’imbarcazione, scomparendo fra i riflessi delle onde in uno sbuffo indaco.
Mary si aggiusta il velo sugli occhi, riparandosi dal sole. “Ecco un’altra rockstar.”
Si appoggia contro la sottile parete in legno marcio.
“Lo chiamerò Amir, lo farò diventare un bracconiere costretto a cacciare specie in estinzione per poter sfamare la famiglia. Il padre… sì, il padre sarà zoppo e cieco, la madre morta di una qualche febbre del cazzo. E magari vuole pagare l’operazione agli occhi per la sua bambina per non farle perdere la vista com’è successo con suo padre. Non è colpa sua, è una vittima senza possibilità di scelta ed è costretto a far fuori rinoceronti neri per questo…”
Socchiude gli occhi: “Una vittima che uccide piccoli di elefanti… farà pena e rabbia al tempo stesso…”
Riflette: “La gente vorrà punirlo… e infatti -Tac!- muore sulla barca. Il lettore si commuove, si compiace e si dispiace della propria morale, continua a leggere e siamo tutti contenti.” Sorride sotto il velo soddisfatta di sé.
Il flusso di pensieri viene interrotto da un grido, centinaia di volti si sollevano spostandosi verso la prua della barca.
“Che diavolo succede?”
Un uomo è in piedi, urla agitando le mani e sporgendosi verso il mare.
Dopo qualche istante la situazione viene compresa dagli altri. Decine di presenti si mettono in piedi spostandosi verso la balaustra iniziando a gridare disperati, molti di loro sono troppo deboli anche solo per stare sulle proprie gambe, ondeggiano e si accasciano gli uni sugli altri.
Mary si alza con fatica premendosi il velo sul volto. Socchiude gli occhi verdi provando a guardare oltre le decine di spalle che si frappongono fra lei e l’oggetto di quello stupore. Parla arabo, provando a mascherare l’accento.
“Permesso. Fatemi passare. Per favore. Voglio vedere.”
Un ragazzo prova ad alzarsi in piedi seguendola e spostandosi anche lui verso il bordo della nave. Il volto è pallido, sta male, dopo qualche passo inciampa cadendo sulle ginocchia. Si afferra la pancia fra le mani, l’istante successivo inizia a vomitare muco lucido ai piedi della giornalista.
Mary si volta abbassando lo sguardo disgustata: “Ma che cazzo fai?!?” Gli tira un calcio spostandolo di lato: “Fuori dai coglioni, negro di merda.”
Decine di volti si girano verso di lei: “Che lingua è?”
“È inglese?”
“È inglese!”
Una donna spalanca gli occhi: “No, no. È italiano!”
“ITALIANO?!?”
Gli sguardi stupiti si moltiplicano. Decine di altri uomini si sollevano in piedi lasciando scivolare sulla nave una cappa di silenzio. Mary si morde un labbo: “Merda.”
“È italiano! È italiano!!”
“Può aiutarci!”
“Grazie a Dio! Grazie a Dio!!”
La ragazza cammina piano facendosi largo fra i presenti: “Conosco qualche parola, forse ci sarà utile. Fatemi passare.”
Quattro uomini si mettono al lato, allargando le braccia e facendole spazio fra i presenti: “Ti prego, riconosci qualcosa?”
“È la marina italiana?”
“È l’esercito?”
“Sono venuti a salvarci?”
La giornalista si lancia in avanti afferrando il parapetto in ferro. Si sporge verso quella distesa di blu opprimente coprendosi gli occhi dai raggi del sole con una mano. Gli occhi si socchiudono mettendo a fuoco l’orizzonte. Dopo qualche istante un’onda si abbassa rivelando un’enorme sagoma nera a qualche chilometro da loro.
Si volta verso i presenti con scetticismo: “Sì. È una barca. E sembra… Sembra italiana…”
La folla dietro di lei esplode in un unico grido inneggiando preghiere e cantilene di ringraziamento al cielo, ma Mary non è convinta. “C’è qualcosa che non va in quella sagoma. È troppo lunga e alta ed è… è nera.” Pensa nervosamente: “Nessun reparto della Guardia Costiera ha imbarcazioni così… C-che diavolo sta succedendo?”
Attende qualche istante concentrandosi e provando ad isolare la mente da tutte le urla di disperatissima gioia. I minuti passano, l’imbarcazione si fa sempre più grande sull’orizzonte, la preoccupazione della ragazza cresce. I suoi occhi fissi su quel profilo scuro. Le onde si alzano e si abbassano, mentre l’imbarcazione si fa inesorabilmente più vicina.
Il mare riflette i raggi del sole accecandola, la sagoma nera è veloce, riesce a scorgere delle persone sul ponte. Dopo qualche minuto se ne accorge:
“Merda. Quella non è una nave…”
È troppo tardi.
———
“Quindi cosa credi di fare adesso? Voglio dire, Matt… è tutto molto bello e romantico, andare in India a riprenderci i marò, ma come credi di riuscirci?”
“Ho un piano.”
Luisa sbuffa: “Un piano, certo, chiaro. E, spiegami un attimo, quando raggiungeremo l’India e recupereremo per miracolo quei ragazzi rischiando un disastro diplomatico a livello internazionale come hai intenzione di tornare? Credi che ti lasceranno andare con una pacca sulla spalla?”
“Ho detto che ho un piano.”
La ragazza si avvicina a Matt, gli circonda il collo con le braccia: “Oh Matty caro… Questa cosa è un disastro, come tutto. Lo sai, vero?”
Inizia a baciarlo sul collo delicatamente facendo scivolare le mani lungo la schiena.
Carmelo si avvicina: “Capitano, il radar ha individuato qualcosa, sembra un’imbarcazione, è poche miglia da qua, a ore dieci.”
Matt lascia scivolare una mano sul corpo di Luisa, afferrandole il fianchi e premendola contro di lui: “Portatemi lì.”
La cravatta verde ondeggia sul suo petto sollevandosi verso il mare puntando verso le onde: “Lo sente anche lei, ho un buon presentimento.”
Matt inizia ad accarezzare le maniglie della mitragliatrice davanti a lui: “Ah, Carmelo?”
Il ragazzo si volta a guardarlo: “Sì?”
“Dì agli altri di armarsi.”
“Si combatte?”
“Quasi.”
La gondola si piega piano sulla superficie azzurra del mare virando dolcemente e Luisa inizia a sbottonare i pantaloni di Matt guardandolo negli occhi: “Allora, che farai appena tornato in Italia?”
“Non è ovvio? Governerò tutti quei figli di puttana.”
I motori rombano veloci e schizzi schiumosi si infrangono contro il legno nero. Dopo qualche minuto la voce di Carmelo si intromette.
“Comandante, la barca è in vista. Ci stiamo avvicinando e sembra ci abbiano visti.”
“Poche ciance, sottufficiale, mi dica chi sono.”
La cravatta verde sembra impazzita e si tende in obliquo puntando sulle onde. Sbatte e schiocca affamata nell’aria.
“…Da quel che mi sembra di vedere…” Carmelo alza il binocolo verso il mare, ruotando una manopola lentamente avanti e indietro: “Sembrano immigrati. Imbarcazione di fortuna, tanta gente. Ci sono donne, vecchi e bambini, a centinaia. Ci salutano.”
Matt afferra i manici della Vulcan ruotandola lentamente: “Lo sapevo.”
Solleva due levette nere e poggia i pollici su due pulsanti rossi, gli indici sui grilletti cromati. Pistoni idraulici si riscaldano nel corpo della macchina.
Luisa fa scivolare una mano sulle mutande dell’uomo davanti a lui: “Allora, Matt? Come pensi di tenerli a bada?”
“Cosa ti preoccupa?”
“No so, ma, ecco… Non sono tanto sicura di tutto questo. Poniamo davvero di riuscire a tornare in Italia sani e salvi con i nostri soldati… E facciamo finta di venir eletti il giorno dopo. Cioè, come pensi di poter andare avanti?”
Matt sbuffa e le colpisce il sedere con uno schiaffo: “Luisa mi stai innervosendo. Arriva al sodo.”
“Mi piace essere, come posso dire, concreta.”
Preme più forte il palmo contro la seta lucida.
“Non abbiamo un piano economico, né uno culturale, scolastico, giudiziario, non sappiamo niente di mercato interno e internazionale, di infrastrutture, agricoltura, imprenditoria, istruzione, ricerca, fondi e legalità. Ci divoreranno vivi.”
I polpastrelli si chiudono e iniziano ad andare su e giù, sentendo il membro iniziare ad indurirsi.
“Come faremo ad andare avanti? Dobbiamo pensare a qualcosa, conoscere gente preparata, farci aiutare.”
Matt solleva piano le dita accarezzando il profilo lucido dei grilletti: “Luisa, non essere ridicola.”
“E allora come? Come potremo sopravvivere a quello che verrà dopo?”
Un debole sorriso si affaccia sul volto dell’uomo in uno sguardo sadico: “Non è ovvio? Gli darò quello che vogliono.”
Si sfila la giacca e la butta via, alle sue spalle. La cravatta verde si solleva nel vento tendendosi a massimo indicando l’imbarcazione davanti a loro, ormai sempre più vicina.
Rivolge il comando ai soldati alle sue spalle: “Rallentate i motori.”
Luisa insiste, gli bacia il mento muovendo la mano più velocemente: “E cosa vogliono? Mmmhh, dimmelo Matt… Dai…”
L’uomo la prende dai fianchi e la gira, appoggiandola sul treppiedi della mitragliatrice, le sposta il costume e tirandole uno schiaffo, la pelle candida del fondoschiena si arrossa lentamente. Luisa si morde un labbro aprendo la bocca in un rantolo sordo.
“Gli darò la verità.”
Comincia.
“Come sempre.”
Nello stesso istante preme i pollici sui pulsanti tirando a se gli indici: una raffica da 8000 spari al minuto fa tremare la gondola mentre colpi da 20mm scoppiano tracciando parabole luminose sulla superficie del mare. I proiettili brillano sotto i raggi del sole e ruggiscono in uno boato affamato ruotando verso il bersaglio divorando centinaia di metri in pochi millisecondi, le pupille delle vittime non hanno neanche il tempo di restringersi per il terrore. Accade: lo scafo della barca esplode in migliaia di pezzi di ferro e legno, un boato fa schizzare via le lamiere della prua in centinaia di lame impazzite che trafiggono donne e bambini sopra di loro, decine di migranti vengono trapassati in fila da proiettili rinforzati in rame, costole si staccano e iniziano a pendere da casse toraciche fracassate, budella iniziano a colare in mare, lo scoppio dei proiettili è così rumoroso e veloce da non far sentire le grida che si sollevano verso il cielo.
Matt grida spalancando la bocca in un ghigno di follia erotica colpendo i fianchi della ragazza con i suoi sempre più velocemente. Si interrompe per un attimo e le afferra i capelli sollevandole la schiena: “Guarda… nghh! Nghh! ti piace?”
“Mhhh… Ooohh… È… È… È quasi meglio di quella volta con i rom e le molotov! Ooh, ooohh è fantasticonnhh-”
Riprende, colpendo sempre più forte, mentre segue con le canne della mitragliatrice tutto il profilo dello scafo.
Nel giro di qualche secondo sulla superficie del mare non restano che lamiere di metallo, taniche di plastica, vestiti stracciati e decine di cadaveri. Il fumo sale grigio e l’aria si riempie di polvere da sparo e cordite. Ad ogni mitragliata Matt grida verso il cielo e Luisa geme di piacere: davanti e loro scatole craniche esplodono come frutti di bosco, schegge impazzite tagliano braccia, labbra, dita e le grida vengono spente all’istante dal frastuono della Vulcan o da uno dei suoi proiettili che porta via ora una spalla, ora una gamba, ora una mascella. Un’enorme macchia di porpora inizia ad allargarsi ricoprendo cadaveri di bambini e grida disperate di donne. I loro burqa bagnati sono troppo pesanti, gridano in preda al panico, non sanno nuotare e vengono trascinate velocemente verso il fondo. Luisa geme sempre più velocemente mentre Matt tira ancora sui grilletti, mirando sui pochi superstiti che si aggrappano su tavole in legno, il tremore delle esplosioni fa sussultare tutta la gondola.
Dopo qualche altro secondo si interrompe, il vuoto scende su di loro, assordante quasi quanto il rumore della mitragliatrice. Un’intera barca è scomparsa, disintegrata in migliaia di pezzi in fiamme che lentamente affondano fra onde rosse. Una distesa di cadaveri si allarga galleggiando sulla superficie, permettendo quasi a stento di vedere l’acqua fra i corpi. Alcuni di essi iniziano a riempirsi di liquido salmastro e ad affondare, altri invece vengono abbracciati dai sopravvissuti, qualche uomo che, ferito, senza un braccio o una gamba, prova a mantenersi a galla.
Gemiti di piacere e grida di soldati provengono dal ponte della gondola.
—-Epilogo—-
Mary si lancia dalla barca appena in tempo, sfilandosi velocemente di dosso i veli pesanti, ormai zuppi di acqua. Si risolleva in superficie prendendo una boccata d’aria per poi immergersi immediatamente, su di lei grida, scoppi ed esplosioni. È stanca e disidratata, ma non può finire adesso, non così, non ora. Guarda la strage a qualche metro da lei e gli uomini che li stanno bersagliando. Non può rischiare, dà una boccata d’aria profonda e si immerge, nuota sott’acqua dirigendosi verso l’enorme gondola nera spostandosi di lato, non vuole essere vista. Riemerge in superficie dopo qualche estenuante secondo. La gondola è ancora lontana, ma nessuno sta guardando verso di lei. Riprende a nuotare portandosi verso la poppa della barca, dopo qualche minuto la raggiunge. Si aggrappa ad una cima ansimando, è stanchissima. Gira lo sguardo verso quelle che era prima il suo biglietto della lotteria per il Pulitzer.
Sgrana gli occhi sconcertata: “Maledetti figli di puttana. Guarda che diavolo avete combinato…”
Lo sguardo si distende su quella marea di cadaveri triturati e fatti a pezzi.
Nella sua mente solo pensieri di vendetta: “Avete idea di quanto mi ci sia voluto per fingermi siriana e comprare un posto su una barca del genere? Maladetti bastardi, appena scoprirò chi siete… tutte le mie storie, i miei premi, servizi televisivi, saggi, speciali tv e contratti… tutto in fumo.”
Una voce esclama sopra di lei, è una ragazza: “Oooohh, siii, e quindi gli darai la verità? Mmmhh? E a me? A me non la darai?”
Un rantolo rauco le risponde poco dopo: “Vuoi la verità? La vuoi? Vieni qua…”
Dopo qualche secondo un gemito di piacere rimbomba sull’acqua.
“Allora dimmi un po’, di cosa sa la verità?”
“Glglhi lglglguschlioh.”
Risate maschili scoppiano simultanee per poi venir interrotte da uno schiocco di labbra e dalla stessa voce femminile: “Nggh-ah! Volevo dire: di muschio!”
Altre risate si accavallano sul ponte della gondola sopra di lei. Stringe le funi legandole insieme e issandosi su, sedendosi sul nodo e riposandosi, ha ancora un po’ di affanno.
Pensa fra sé e sé: “Questa voce la conosco…”
“Forza! Accendiamo i motori, il viaggio è ancora lungo!!”
L’illuminazione la raggiunge: “Ma certo, è Matt. Che diavolo ci fa qua?”
Acqua rossa le bagna i piedi.
“Non importa.”
Stringe le corde fra le mani, lo sguardo si irrora di sangue perdendosi fra i riflessi delle onde: “Non importa…”
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Ogni disegno de Il Trono di Ruspe, dalle vignette nel testo alle copertine, è stato fatto dalla mano del bravissimo Zobly. Cliccate QUA per seguirlo sulla sua pagina FB, se lo merita.
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