Non essere cattivo, film postumo di Claudio Caligari, è stato presentato come fuori concorso alla 72esima mostra del cinema di Venezia, dove già nel 1983 era stato premiato lo splendido esordio del regista, Amore tossico, che con uno sguardo documentaristico e una sincerità rara era riuscito a fotografare Ostia e i legami profondi tra disagio sociale e droga.
Ad un primo sguardo sembrerebbe proprio che da Amore tossico parta la materia del film, in cui innegabilmente emerge lo scarto temporale che ha portato alla modifica del tema della droga: se nell’esordio la centralità era dell’eroina, ora questa viene sostituita dalle droghe sintetiche, e se prima la descrizione delle sue ripercussioni su una generazione oppressa da una sempre più potente spinta all’abbandono di se stessa non lasciava spazio ad una costruzione narrativa tradizionale, in Non essere cattivo la prospettiva cambia, e la narrazione sottende ad un processo evolutivo nei personaggi da cui si snoda il labirinto di riflessioni ed emozioni suscitate dal film.
La coscienza del distacco temporale porta chiaramente ad una modifica del linguaggio del cinema, ma in un senso più profondo evidenzia la stretta necessità di ricercare sempre il modo di descrizione più efficace di uno stesso sentimento nelle sue variazioni, e testimonia la profonda lucidità e libertà del regista.
Vittorio e Cesare, i due protagonisti, sono due facce della stessa medaglia, fratelli di una vita di eccessi e violenza, ma dalle loro differenze nasce uno sguardo cinematografico duplice. Se infatti da una parte Vittorio rappresenta l’istinto all’affermazione in una società completamente assente, Cesare dall’altra ne dipinge la parte più intima e indistricabile, dove la miseria umana prende il sopravvento per annichilire la speranza e portare al sentimento dell’abbandono e all’ira, ma le loro strade procederanno in un continuo di incroci, tra cadute e rivincite, gioie e drammi, vittorie e sconfitte.
I risvolti della trama sono sempre efficaci, e si uniscono ad una continua tensione emotiva, costruita fuori dal lirismo e da facili pietismi che forse proprio grazie a questo riescono a rafforzare i frequenti cambi di prospettiva umana nei personaggi e a manifestarne la precarietà: la loro miseria è totale, le loro vite barcollano tra la perdizione e la lotta strenua e probabilmente insensata.
Per concludere, Non essere cattivo è l’occasione per ricordare un modo di fare cinema raro nella prospettiva italiana, sincero e potente, dove la costruzione propria del cinema narrativo non è svelata da dialoghi artificiali, ma discende nel lessico di ciò che vuole descrivere per farlo coincidere con le vicende dei personaggi, ma sarebbe forse bene prescindere la commozione per capire la profonda carica esemplare di questo cinema e renderlo totale e attuale, e soprattutto condividerne la lotta.
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