Ex Machina, debutto alla regia di Alex Garland, si presenta fin da subito come un’ opera estremamente elegante e finemente elaborata nella sua forma, al cui interno il topos cinematografico e letterario dell’intelligenza artificiale si inserisce dapprima sotto una luce scientifica ed analitica, per poi farsi forte di una profonda attenzione psicologica e tingersi di una tinta thriller claustrofobica e genuinamente inquietante.
Il punto cardine della ricerca del film si trova nel senso di “creazione”, prerogativa divina peraltro evidenziata chiaramente sin dal titolo (nel teatro classico si definiva “deus ex machina” il meccanismo narrativo che prevedeva l’intervento di un dio sulla scena per risolvere i risvolti apparentemente inestricabili della trama), che passa nelle mani dell’uomo, creatore alle prese con il perfezionamento dell’essere a sua immagine che viene studiato approfonditamente attraverso fasi che scandiscono la struttura in 7 parti del film.
Anche da creatore, però, l’uomo non può fuggire ai suoi difetti, come un dio imperfetto è destinato a non comprendere a fondo la sua riproduzione e rischia di esservi sovrastato. Sembra a questo proposito che il film legittimi la coscienza scientifica, ma che dimostri l’inadeguatezza del suo utilizzo da parte di un essere tanto indefinito.
Probabilmente mai prima d’ora in ambito cinematografico avevamo assistito ad un’analisi dell’ intelligenza artificiale così essenziale, che si libera, però, di un certo tipo di complicazione di tipo morale o sociale per apparire come analisi intima dell’uomo, che in questo caso per creare se stesso decide di costruire il limite della sua volontà. Come in un quadro di Pollock, Ava (l’IA al centro dell’opera) è definita nella sua idea, ma non nella realizzazione, ovvero, l’emotività robotica non è diretta, ma parte da schemi naturali scientificamente definiti all’interno di cui agisce l’impulso insondabile della coscienza umana (la componente aleatoria dei dipinti di Pollock), capace di ragionare su se stessa e costruirsi come complessità emotiva alla ricerca della libertà. Ava è cosciente di ciò che è, ma al costo di confermare la sua limitatezza cerca di vivere, osservare, sentire.
Nella sua complessità l’uomo si dimostra, però, essenzialmente ingannatore, dell’altro come di se stesso, ed è da questo che si snoda la parte essenzialmente narrativa del film, dove il dubbio si insinua nel protagonista per dare adito ad una serie di svelamenti sempre efficaci che sottendono ad una struttura precisa e armoniosa. Il tutto unito ad una colonna sonora delicatissima, oscillante tra riferimenti ambient e noise, uno sguardo registico elegante e un’estetica scenografica realisticamente futuristica, rende il film un’opera prima notevole ed evocativa nella sua semplicità.
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