Dialogo scadente di un mezzo incontro casuale
Cammina con lo sguardo stralunato e i pantaloni col risvolto. Capelli taglio ananas che c’è da chiedersi se li fa accorciare da un fruttivendolo o da Edward Mani di Forbice. Saranno due anni che non lo vedo.
Un paio di occhiali inutili poggiano sul suo naso perfetto: ci vede benissimo, ma si intonano col baffetto da ratto che cresce spelacchiato sul labbro superiore; un cappellino con il nome dei Seattle Mariners calato sulla testa.
Per proteggersi dai cancerogeni raggi UV della luna.
È colorato. Coloratissimo.
Pare la tavolozza di un pittore inesperto, camicia psichedelica rosa e verde, grasse sneakers rosse a tinta unita.
Mi gira un po’ la testa a vederlo da lontano.
Si avvicina.
Porcaporchetta.
È un tripudio di colori.
Una granata al fosforo nel buio della notte.
Si avvicina.
Che faccio?
Forse se mi tiro la barba sulla faccia non mi nota.
Ormai mi ha visto.
Magari non si ricorda di me.
Non posso ignorarlo.
Si avvicina.
Ehi, guarda che magnifici spazi geometrici tra i sanpietrini…
“FRANCESCO!”
Mmh, fanculo.
“LUCA…”
“Bella!” alza leggermente la mano col palmo rivolto verso il basso…
“Ehm… Bella cosa?” i miei tentativi di afferrare quella mano si schiantano con un tono imbarazzante sul suo gomito.
“No dico, cioè BELLA.”
“Eh si capisco… Ma bella cosa?”
“Ahahah… Mi fai morire!”
A me sembri sano come un pesce.
“Come stai, toro?”
Bah, alle corna devi farci l’abitudine, ma se non nasci a Siviglia, via, alla fine non te la passi malaccio.
“Benebene. Tu?”
“Alla grande! St’università?”
Qualche problema con le proposizioni vero? Andiamo amico, tirami fuori un verbo.
“Quale scusa?”
“No dico, come va l’università?”
A parte la macchinetta del caffè che sputa soda caustica, i piccioni con una media sul libretto più alta della mia…
“Benebene…”
“DAI! CHE GRANDE!”
“Ma si dai, mi è cresciuta anche un po’ di barba…”
“AHAHAHAH! Mi hai sempre fatto pisciare sotto!”
Silenzio.
Una balla di sterpi rotola lontano, su una nuvola di sabbia.
L’ululo lontano di un coyote.
COYOTI IN PIENO CENTRO?
“Allora, come te la passi fra?”
Di solito in senso orario, poi naturalmente dipende da chi l’appiccia. Giorgio è mancino, quindi ogni tanto capita che arrivi da destra.
“Si tira avanti…”
“Che mi racconti di bello?” sorride con quei suoi denti bianchi e perfetti.
Ne so una. Ci sono un leghista, un gitano e un cane su un tetto. Il leghista si butta e l’umanità fa un po’ meno schifo.
“Le solite cose…”
“Che fai di bello stasera?”
Sputa domande come fossero noccioli di ciliegie.
Diomio.
Placati.
Sto organizzando un’offensiva aerea contro il Califfato: lanceremo polvere di fata sulle loro basi, voleranno via verso il cielo e superata la biosfera le loro teste esploderanno e 70 vergini balleranno il cancan in sella a cammelli evirati.
“Niente di che… Come al solito… Si beve qualcosa, due chiacchiere…”
“Ho capito…”
Altro silenzio.
Wow.
Più facile del previsto.
Come annoiare un idiota in 120 secondi.
Ora monta su quelle zattere colorate e naviga verso l’orizzonte dei vaffa…
Odio questi mezzi incontri.
Io non ti conosco.
Sì, abbiamo passato 5 anni di superiori nella stessa stanza.
Sì, ti ho attaccato pezzi di scotch al culo quasi ogni venerdì.
Sì, mi hai aiutato a matematica, e sì, mi hai invitato al tuo diciottesimo.
E t’ho pure offerto da fumare.
Sì, è vero, negli anni sono stato gentile ed educato con te.
Esuberante, logorroico e un po’ coglione.
Per non parlare dei gusti in fatto di moda.
Mi saluti perché papà ha cresciuto uomo beneducato.
Intrattieni un informale discorso, cercando con lo sguardo ammiccante di rievocare i bei vecchi tempi.
Sto al gioco, ma faccio l’arbitro, che sono un po’ fuori forma.
Ti sorrido gentile, ma sappi che io sono cresciuto a suon di sberle, e tutte ‘ste smancerie da vips non le capisco.
Ho 300 follower su instagram, la metà sono parenti, mentre te sembri uscito dalla settimana della moda di Antananarivo.
“Ti piace il baseball quindi?” provo poco convinto.
“Scusa?” mi risponde distratto.
Due ragazzi in canottiera aderente gli sorridono sfiorandogli una spalla.
HEY ASPETTA UN ATTIMO.
“Baseball?”
“Seattle Mariners, c’ha fatto una canzone pure Macklemore, magari lo conosci…” continuo io.
“MAAAN! LASSA GI’!” mi fa dopo un attimo di titubanza.
Oddio, che significa?
“NON POI CAPI’! CIOÈ ALL’ALCATRAZ MECHELMOR ST’INVERNO! NO, MAN, CIOÈ HA SPACCATOI CULI! TROPPO BULO!” continua eccitato.
Io… Non ho capito un parola.
“CHE POI DIOCARO S’E’ MESSO A FA SAIM LOV, QUELLA PER I FROCI… CIOÈ ME SO’ VENUTI I BRIVIDI”
Il diavoletto sulla mia spalla sinistra si strozza con un colpo di tosse, scivola e precipita sui sanpietrini in uno sbuffo di polvere.
L’angioletto custode mi trattiene per la maglietta.
No dai, io ci ho pure provato, ma ‘ste cose proprio non fanno per me…
“OOOOH BELLLAAA!” fa poi il tizio d’un tratto, con gli occhi che strabuzzano oltre la mia testa.
Ha visto qualcuno.
È la mia unica occasione.
Ora o mai più.
Ora o mai più.
ORA.
Mi defilo sotto la sua ascella, allungo il passo e mi allontano.
La notte mi inghiotte.
Scusami amico. Davvero.
Magari ora stai abbassando lo sguardo e ti accorgi di non avermi più di fronte a te.
Magari ora il tuo cuore ha perso un battito, ferito.
La camicia sgargiante ti si scolorisce sul petto depilato, avvampi per la rabbia.
No amico.
Non è rabbia.
È l’abbandono.
Scusami amico. Davvero.
Ma non me ne fregava proprio nulla.
Gli incontri occasionali.
Ricordi vecchi come l’acqua che scorre.
Domande di cortesia e sorrisi di riguardo.
Una falsa maschera con cui reciti la tua parte.
Io non ce la faccio, mi dispiace.
Vorrei fingere che mi importi qualcosa, raccontarti di come ho salvato un bambino quando andò a fuoco un estintore in pieno giorno.
Di quella volta che corremmo ubriachi in moto perché Olaf stava diventando padre, ed Ethan vomitò sedici bicchieri di vino sulla porta dell’obitorio.
AHAHAHAHAHAH.
No ragazzo. Io non ce la faccio.
Fingere di avere 16 anni.
Camuffare con un cappello firmato la paura fottuta che ho della vita.
Magari ci rivedremo tra cinque anni.
Tu sarai vice-presidente dell’azienda del papi, sposato con una donna bellissima, due figli viziati e grassi, una casa in centro e una al mare. Le estati a Fano, ciabatte Havaianas da 40euro.
Di giorno col furetto al guinzaglio (ah è uno Shih-Tzu?), la sera lunghe passeggiate in camicia e pantaloni di lino.
Avrai ancora i risvoltini.
No amico, evitiamo di prenderci in giro.
Non so neanche dove andrò adesso. A dire il vero ho un po’ fame.
Tra cinque anni venderò lentiggini a ragazzine pallide ed avrò ancora paura del mondo.
Forse ci vedremo di nuovo, ma stanne sicuro, continuerò a scappare.
Mi dispiace amico, ma proprio non mi interessa sapere chi sei, cosa sei diventato e quanto scopi.
Ti eviterò di nuovo, la prossima volta. Mi farò crescere la barba e raserò le sopracciglia.
Vivi la tua vita e lasciami in pace.
Accelero il passo, una marea umana mi travolge.
Ruminano cocktail ad una velocità disarmante.
Faccio in tempo a sentire la puzza di saliva delle fauci della notte, prima di venire inghiottito dalle tenebre.
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