Trio Bobo in concerto a Padova, intervista e recensione
Martin mi chiama qualche giorno fa: “Giovedì sera c’è il Trio Bobo al Plaza, ci andiamo?”
“Che giorno è?”
“Il 30 aprile, è giornata mondiale della musica jazz… Allora? Ci andiamo?”
Domanda lecita, risposta scontata. Non posso perdere l’occasione di ascoltare uno dei gruppi più interessanti dell’ultimo decennio che, fra influenze funk, rock e fusion degli anni ottanta-novanta, è stato in grado di far emergere un jazz innovativo, virtuoso e originale. Il gruppo è composto da due musicisti già attivi negli Elio e le storie tese, Christian Meyer alla batteria e Nicola ‘Faso’ Fasani al basso, e da Alessio Menconi alla chitarra, virtuoso jazzista della sei corde tutto da scoprire.
Magari potrei anche riuscire a strappare loro qualche domanda, ma d’altra parte cosa potrei mai chiedergli?
La loro storia? Come si sono formati? Cosa li ha spinti a creare musica insieme? Le loro influenze musicali? Futuri progetti?
Tutte domande scontatissime e che potrebbero avere una risposta da una rapida ricerca su Google. Non lavoro mica per Rete4, dovrò farmi venire in mente qualcosa di meno banale.
Ore 20.00, giovedì 30 aprile, siamo all’ingresso dell’hotel Plaza con le gambe che ci tremano come quelle di due ragazzine alla loro prima volta.
Acquistiamo i biglietti e iniziamo a mangiare al buffet offerto dal ristorante. Dopo una mezz’oretta saliamo le scale e prendiamo posto, davanti a noi la batteria e le pedaliere degli artisti sono già in posizione, così come un buon MarkBass con il suo giallo vivido pronto a pulsare.
La sala si riempie quasi del tutto, i posti a sedere finiscono in cinque minuti mentre la piccola folla inizia ad accalcarsi rimanendo in piedi in fondo alla saletta e al lato del bar.
Sono le nove e dieci quando i musicisti iniziano a salire sul palchetto fra applausi e brusii. Lo show ha quindi inizio: Christian Meyer prende in mano il microfono e anticipa una delle domande che gli avrei fatto.
“Qualcuno di voi potrebbe chiederci come mai questa formazione. Io e Faso già ci conoscevamo, ma chi è questo Alessio Menconi? Beh, vi dobbiamo dire la verità, Alessio è un chitarrista che… Ecco non è bravissimo. Diciamo che se la cava.”
Faso interviene: “Però impara molto velocemente.”
“Esatto, dobbiamo dire che, nonostante non sia granché, ha fatto molti progressi da quando ha iniziato a suonare con noi. Ma, per esser sinceri, è un altro il motivo che ci ha spinto a suonare con lui.”
Si interrompe per un secondo: “Sapete, lui è di Genova e ha una casa al mare bellissima.”
Il pubblico ride e il microfono passa in mano a Menconi.
“Beh, c’è anche da chiedersi perché io abbia accettato a suonare con Faso e Christian… E il motivo vi sarà presto chiaro. Avevo saputo che la famiglia di Christian, che è svizzero, era piena di soldi… E quindi volevo provare ad entrare nel giro, così mi avrebbero fatto conoscere persone e musicisti famosi. Volevo anche investire qualcosa…”
Risatine serpeggiano fra la sala. Menconi continua: “Il punto è che Christian ha deciso di investire tutti i suoi soldi in una piantagione di manghi. Manghi in Svizzera, appunto. Attività che poi non è andata molto bene come potrete intuire… Che dire? Ormai era troppo tardi per tirarsi indietro e quindi ho continuato a suonare con loro nonostante non fosse più un miliadario.”
Faso accarezza il basso e chiede il microfono: “Scherzi a parte, adesso tocca a me spiegare perché suono con loro. Che cosa c’entro io con loro? Guardateli bene, loro son pelati e io capellone. Magari volevano fare il trio pelato-capellone-pelato, non lo potevo mica sapere… Solo più tardi ho capito il vero motivo. Indipendentemente dalla bravura e dai soldi, alla fine, chi ha la sala prove sono io. E senza sala prove non si va da nessuna parte.”
Il pubblico applaude i musicisti e i sorrisi son stampati sui volti di tutti, i tre si confermano grandi intrattenitori a 360 gradi. L’ambiente è caldo e pronto per il primo pezzo: Fast Boulitch.
Non appena Christian inizia ad accarezzare rullante e charleston velocemente con le sue bacchette Faso si unisce abbellendo il groove con note morbide e calde, in sottofondo Menconi sembra quasi in secondo piano, ma le sue dita eseguono accordi tremolanti ed evocativi, con un leggero riverbero che diffonde nella saletta un’atmosfera onirica.
Sono passati meno di trenta secondi e già si capisce quale sia l’incredibile forza di questo gruppo: la drum machine è serrata, elegante e virtuosa quando serve, capace di abbellire con tecnicismi e passione brani già di per se ricchi e complessi. Le linee di basso incantano il pubblico, lasciando ottimi spazi per soli e improvvisazioni, mentre la chitarra è perfettamente in grado non solo di reggere con eleganza il tema portato avanti dalla canzone, ma anche di inserirsi con improvvisazioni intelligenti e colte, segno evidente di una grande passione e cultura musicale portate avanti negli anni con dedizione. D’altra parte stiamo parlando di un chitarrista vincitore dei premi AICS JAZZ, Eddie Lang e Premio Jazz lighthouse. Mica pugnette.
La canzone finisce, il pubblico applaude e i tre non lasciano spazio ad altre chiacchiere attaccando subito con un altro loro brano: Drama in Jamaica, pezzo che apre il loro primo album.
Christian batte con la bacchetta sinistra sul bordo del rullante e con la destra gioca con i piatti tendendo il collo come una tartaruga e mordendosi il labbro inferiore. Faso inizia a ricamar la melodia facendo ballare i fianchi e i baffi mentre Menconi si aggiusta la sua cravatta nera e accompagnando i colleghi rimanendo statico e con il volto inespressivo. Le dita del bassista passeggiano sulle sei corde rimanendo vicino al manico, il suono si riscalda e ricorda un basso fretless, incupendosi ancor di più quando vengono pizzicate con il pollice, per poi essere scosse da uno slap avvolgente.
Il pezzo è un capolavoro di tecnica e creatività e stupisce l’ascoltatore trasportandolo da melodie smooth e sognanti fino ad uno stacco del tutto inaspettato. Dopo averci cullato su note dolci e accompagnato su spiagge dalla sabbia bianca ecco che succede qualcosa: la batteria incrementa l’intensità e la rullata si fa più decisa, dopo un attimo si è in un pezzo hard rock dove a farla la padrona è una chitarra mai così presente in precedenza mentre i fraseggi di Faso al basso reggono gli imprevedibili controtempi di Meyer alla batteria.
Il pubblico segue la musica con coinvolgimento e il gruppo si guadagna appieno il nomignolo che si è dato: “Il trio che si fa in quattro.”
E si vede.
“Chissà se suoneranno anche qualche cover… Di sicuro hanno nomi assurdi da tirare fuori dal cilindro.”
Il pezzo termina e Faso mi legge nella mente, rispondendo alla domanda prendendo il microfono: “Questo è un pezzo di un gruppo scoperto per caso da un amico entrato in un negozio di dischi. Pensate, già oggi nessuno compra più il disco di un gruppo che conosce già, figuriamoci comprarne uno a caso. Un giorno mi chiama e mi fa: ‘Devi venire assolutamente ad ascoltare questo gruppo, non capisco neanche dov’è il battere’. Loro sono un gruppo africano e questo è un pezzo di un loro album registrato in Francia… Sono gli Ultramarine!”
Il concerto continua, il pubblico è estasiato e grida e applausi incoraggiano i tre.
La serata procede sulle note di Poinciana, musica originale di Nat Simon e Buddy Bernier, Volcano for Hire dei Weather Report, altri pezzi originali tra i quali le fantastiche Bobetti’s Revenge, Acid Bobo e divertenti improvvisazioni.
Mi piacerebbe chiedere quasi quale sia la storia musicale di Menconi, sapere da quale estrazione musicale vien fuori e le sue influenze. Non ho neanche finito di formularmi la domanda che Meyer si alza in piedi e racconta al pubblico la storia del chitarrista: “È cresciuto fra i pontili e i macchinari di navi mercantili che facevano tutti i giorni la tratta Cagliari-Genova. Lì il capo della sala macchine gli ha insegnato i primi rudimenti di chitarra e, approfittando delle pause di silenzio durante le manovre nel porto, ha potuto allenarsi inserendosi con i suoi suoni e imparando poco a poco.”
Perfetto.
La serata si avvicina alla conclusione e le mie domande non sono ancora finite, così come le ironiche probabili risposte. Dopo l’applauso finale il pubblico comincia a richiamare a gran voce i musicisti. Dura meno di un minuto. I tre ritornano sul palco ben decisi a divertire il pubblico fino alla fine.
L’ultimo pezzo è un grande mix di riff e temi di altre canzoni dove il gruppo si interrompe di tanto in tanto lasciando la sala in silenzio per qualche secondo. A quel punto uno dei tre propone un pezzo famoso che gli altri due accompagnano per qualche altro secondo. Nel giro di un quarto d’ora vengono suonati gli accordi di Wish you were here, Stairway to Heaven, Billie Jean e la sigla di Heidi. A questo punto il pubblico inizia a farsi prendere la mano e urlano le loro richieste: Kashmir, Rock and Roll, Jailhouse Rock, Walking On The Moon, Master Blaster…
Il pubblico riesce, stranamente, anche a battere le mani a tempo.
“È la mia occasione per chiedergli se apprezzano l’influenza di Jaco Pastorius nella tecnica del basso moderno.”
Porto le mani alla bocca e grido “Pastorius!”
Faso sorride sollevando gli occhi al cielo: “Eeeeehh…” ma Menconi lo anticipa subito iniziando Teen Town, seguito subito da un sorridente Meyer.
Siamo a fine serata e i tre musicisti salutano il pubblico con inchini e ringraziamenti. Noi, d’altra parte, ci alziamo per avvicinarci e fargli i complimenti e, se possibile, qualche altra domanda. Dopo un quarto d’ora di coda scopro che hanno pure finito i CD e la mia occasione di averne uno autografato va a farsi benedire. Quando mai s’è mai visto che un gruppo finisce i CD ad un concerto? Vabè, mi avvicino ai tre chiedendogli una foto.
Mentre ci stringiamo sotto l’occhio della fotocamera mi sento in dovere di ringraziarli per l’occasione di averli potuti sentire, per l’intervista che non mi hanno direttamente lasciato, per aver trasmesso al pubblico della sala passione, intelligenza musicale, tecnica e divertimento.
Abbraccio Faso emozionato e sorrido all’obbiettivo: “Grazie, ragazzi.”
Il fotografo sta per scattar la foto e il bassista si gira guardandomi: “Grazie un cazzo.”
Epilogo:
Torno a casa soddisfatto.
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