La luce del sole mi illumina gli occhi, svegliandomi da un sonno profondo. Devo decidermi a comprare delle tende, queste finestre mi costringono a svincolarmi dall’abbraccio di Morfeo troppo presto. Sul comodino accanto a me, il cellulare suona prepotentemente nei toni impietosi delle sveglie Samsung. Sono le undici di mattina.
Stiro le braccia e roteo le spalle, mentre tutte le mie giunture scricchiolano. Sono in pigiama, nella mia camera, ieri sera ho tolto il mascara con cura e mi sono pure passata un velo di crema idratante sul viso prima di andare a dormire. Ieri è stata proprio una gran serata.
Se non fosse che non ho la minima idea di come sono arrivata nel mio letto.
Penso e ripenso, sforzandomi di ricordare qualche particolare, ma nella mia mente resta il vuoto. Non ci faccio troppo caso, di mattina i riflessi sono sempre rallentati.
Afferro il cellulare e apro WhatsApp: quindici messaggi in altrettante conversazioni mi fissano dallo schermo dello smartphone.
Hey darling! How are you? All ok?
Ishiki, come stai?? Sei arrivata a casa?
Ehi, Ishiki, sei sveglia? Io non ce la posso fare, sto ancora malissimo, è l’hangover peggiore di sempre! Ma tu poi sei riuscita a dormire stanotte?
Ok. Calma.
Si può sapere cosa diavolo è successo ieri sera?
Mi infilo nella doccia, sperando che l’acqua riesca finalmente a diradare il sonno e a farmi funzionare la testa come si deve. Su, cervello, andiamo con ordine: cosa dovevo fare ieri?
Pian piano riaffiora qualche immagine sepolta: il corso di tedesco è ormai alla fine, pertanto avevamo deciso di organizzare un’uscita con il gruppo degli studenti Erasmus. L’esame mi è andato molto bene, quindi ero particolarmente in vena di festeggiare.
Ma sì, eravamo tutti quanti nel parco seduti a cantare e a bere qualche birra! Io ho un po’ esagerato, ok, però eravamo semplicemente seduti tutti insieme in compagnia ad assaporare il primo caldo dell’estate tedesca… Aspetta, mi sa che oltre alla birra qualcuno ha portato della vodka… Poi ci siamo messi a scambiarci confidenze… ah, sì! Ecco come sono tornata a casa. Mi ricordo che camminavo in Frankfurter Platz con Emma e gli altri, e mi stavano riaccompagnando a casa! Tutto bene quindi!
Sì, ma… dal giardino a Frankfurter Platz come ci sono arrivata?
C’è decisamente qualcosa che non va. Appena uscita dalla doccia prendo il telefono e chiamo Emma. Mi risponde immediatamente una voce proveniente dall’oltretomba. Posso immaginare che la faccia della mia amica in questo momento sia simile alla mia: sembriamo le sorelle di Marylin Manson.
«Ciao, Ishiki… Mamma mia, sto malissimo, non riesco ad alzarmi dal letto… Ieri sera abbiamo veramente esagerato, mai più a questi livelli…».
«Temo che sia una promessa che ci faremo tante volte in questo Erasmus. E che poi ovviamente non manterremo. Io comunque sto abbastanza bene, mi sono fatta una doccia e sono in piedi! Pensa che ieri sera ho addirittura impostato una sveglia, non so perché!».
«No vabbè, io e te con quella compagnia non usciamo più, si distruggono troppo! Maledetto shot bar, dopo la birra e la vodka nel parco questa non ci voleva!».
«Ah! Ma sei una grande! Dopo avermi riaccompagnato a casa sei riuscita pure a bere ancora shottini? Ci credo che sei così distrutta, non dobbiamo più arrivare a tanto…».
«…»
«Emma, ci sei? Che succede?».
«Ishiki, ma non ti ricordi? Guarda che allo shot bar ci siamo andate insieme, con altri tre ragazzi della compagnia».
Un brivido mi attraversa la schiena. Oddio. Allora ci sono cose che non ricordo.
«Emma, temo di avere un buco dal parco fino a quando mi avete riaccompagnato a casa».
Pausa. Gelo. Emma sospira.
«Oddio, Ishiki, hai rimosso tutto! Ma non mi pareva avessi bevuto così tanto!».
«Eh… nemmeno a me pareva, ieri sera. Dai, devo avere paura?».
«Non è successo niente di irrimediabile, tranquilla. Però non ti ricordi un bel po’ di cose! Forse è meglio che ti metti seduta».
Quando mi siedo sul letto, nonostante sia appena uscita dalla doccia calda e sia ancora avvolta nel tepore dell’accappatoio, sto tremando.
«Allora, da dove posso cominciare… Beh, innanzitutto ci siamo trovati nel parco con tutti gli altri studenti Erasmus per fare un po’ di festa. Ci saranno state cinquanta persone. Inizialmente il progetto era di bere una birra tutti insieme. Poi qualcuno ha tirato fuori una bottiglia di vodka e una di Red Bull, ha fatto un unico mix e si è messo a far girare la bottiglia fra tutti».
«Sì, questo me lo ricordo. Bene, vorrà dire che anche se il mio fegato è distrutto, il mio sistema immunitario sarà più forte!».
«Già, anche il mio! Eravamo tutti molto felici, quindi molti hanno bevuto questo cocktail in gran quantità. Purtroppo la Red Bull annullava temporaneamente l’effetto della vodka, quindi non sentendoci ubriachi non ci siamo fatti troppi problemi a tracannare tutto. Ma la situazione restava ancora sotto controllo, finchè non sono arrivati loro».
«Loro?».
«Bradley e Tyler».
Mi prendo la testa fra le mani. I soggetti in questione sono due ragazzi di Sydney. Sono estremamente simpatici, ma io e Emma li abbiamo sempre tenuti a distanza, dal momento che l’eco delle loro gesta nelle peggiori serate è arrivato ormai anche in Australia.
«Ecco, i due ci si sono avvicinati e hanno cominciato a urlare: “Ishiki! Emma! Venite con noi, ragazzi, andiamo tutti a un bar in centro!”. Noi eravamo talmente contente che li abbiamo seguiti. Inizialmente, con tutti gli altri, siamo andati al Casanova».
«Guarda, se mi concentro proprio bene magari riesco a ricordare l’insegna del Casanova, effettivamente…».
«Ma il peggio è stato quando loro ci hanno prese da parte, con un altro ragazzo belga, e ci hanno confidato sottovoce che conoscevano un ottimo shot bar. Ci siamo quindi distanziate dagli altri e siamo arrivate in questo postaccio un po’ imbucato, pieno di gente. Lì Bradley ha cominciato a ordinare da bere per tutti, e abbiamo bevuto tequila e rum».
«Stai scherzando? Non mi stupisce che non mi ricordi niente!!».
«Saremo rimasti in questo shot bar per circa due ore. A un certo punto è arrivato un gruppo di ragazzi italiani con una chitarra, si sono messi a cantare Lucio Battisti e io e te abbiamo cominciato a intonare La canzone del sole a squarciagola. Prima, però, hai parlato con uno di loro per una buona mezz’ora, in perfetto tedesco».
Sospiro. «Ecco cosa devo fare quando non riesco a migliorare la lingua…».
«A un certo punto siamo saliti tutti quanti sul tavolo per ballare. Il barista ha protestato, ma nessuno ci ha fatto caso. Io e te eravamo proprio al centro. Eravamo l’anima della festa».
«Sai che onore. Mamma mia, e poi cosa è successo?».
«Beh… mentre cantavamo Il pescatore di De Andrè, qualcuno ha perso l’equilibrio e si è afferrato a qualcun altro per non cadere. Ci siamo sbilanciati tutti e il tavolo si è rovesciato. Siamo crollati in sette nel bel mezzo del locale, portandoci dietro tutti i bicchieri e facendo un volo non indifferente sotto gli occhi di tutti».
«Stai scherzando??».
«Purtroppo no. Ma dai, ma nemmeno questo ti ricordi? Hai rischiato di slogarti una caviglia!».
Muovo i piedi: sembrano entrambi a posto. Forse Emma mi sta semplicemente trollando. Una parte di me lo spera ancora. Poi scopro un grosso livido in fondo al polpaccio sinistro, e anche quest’ultimo lume di speranza si spegne inesorabilmente.
«Ma la cosa più assurda è stata che è arrivata la security, ha preso me e te per la collottola e ci ha sbattute fuori! Tutti gli altri invece sono rimasti dentro! Ishiki, ci hanno cacciate da un locale! E non solo, poi ci hanno anche allontanate dalla porta d’ingresso perché continuavamo a cantare e disturbavamo la quiete pubblica!».
Cielo. Mi sa che domani dovrò espatriare. In un furgoncino della Polizei, che mi riporta in Italia dopo soli due mesi di Erasmus.
«Almeno non ci hanno arrestate. E dopo mi avete accompagnato a casa? È da lì che siamo arrivate in Frankfurter Platz?».
«Magari, Ishiki, magari. Dato che eravamo state buttate fuori, io e te abbiamo cominciato a camminare nei dintorni del locale. Eravamo nella fase “amicizia stretta”, che segue il momento di allegria in ogni sbronza. Ci siamo raccontate un sacco di cose, finchè non abbiamo assistito all’incendio».
«Un incendio?»
«Eh… abbiamo girato l’angolo e abbiamo trovato un cassonetto della carta completamente in fiamme. Evidentemente qualche genio ci aveva buttato una sigaretta accesa. In ogni caso, se non avessimo chiamato i pompieri sarebbe probabilmente andato a fuoco tutto l’edificio».
«Ah, abbiamo pure chiamato i pompieri?».
«Sì! Ma non ti ricordi? Per fortuna abbiamo incontrato Paco che stava tornando a casa, e lui è riuscito a chiamare i vigili del fuoco. Meno male che c’era lui, così è riuscito a parlare in tedesco con tutti, se no chissà come avremmo fatto io e te. In tutto questo, ti abbiamo lasciata un attimo seduta sul marciapiede in catalessi».
«…»
«In ogni caso, i pompieri sono arrivati dopo una ventina di minuti, e Paco ha deciso che era il momento di riportarci a casa. È tornato nel locale, ha gentilmente prelevato Bradley e Tyler e abbiamo cominciato a camminare verso la tua casa. Tyler però si è portato dietro la chitarra che qualcuno aveva lasciato nel locale, dopo la nostra rovinosa caduta».
«Non ci credo!».
«Sì! Te l’ho detto, è un miracolo che la polizia non ci abbia fermato. Comunque nessuno apparentemente si è lamentato, e tuttora non so cosa ne sia stato di quel povero strumento. Mentre camminavamo per strada, Tyler e Bradley hanno cominciato a cantare Comandante Che Guevara a squarciagola… finchè non ci si è avvicinato un ragazzo tedesco che ha urlato: “Che canzone di merda!”. A quel punto, gli australiani hanno attaccato una rissa».
«Una rissa?».
«Esattamente. Tyler ha mollato per terra la chitarra e Bradley si è avventato contro quel tizio con i pugni stretti. Si sono azzuffati per qualche minuto, mentre il povero Paco cercava di richiamarli all’ordine, e io e te stavamo appoggiate al muro fissando il vuoto. A un certo punto, fortunatamente, Bradley ha deciso che ne aveva avuto abbastanza e ha separato gli altri due contendenti. A quel punto siamo arrivati in Frankfurter Platz, dove tu evidentemente sei tornata alla lucidità».
Rimango immobile sul letto, con gli occhi sbarrati e il respiro affannoso. È mai possibile arrivare a questi livelli? Quante cose sono successe ieri sera?
Emma riprende a parlare.
«Che poi, almeno tu sei arrivata a casa a un’ora decente. Una volta che ti abbiamo lasciata sulla porta dell’appartamento, Paco ci ha accompagnato alla fermata dell’autobus. Se non fosse che ho preso l’autobus sbagliato».
«Oddio, ma dove sei finita?».
«A dire il vero non lo so. L’autobus è arrivato fuori città, passando attraverso la foresta e costeggiando una serie di paesini… mi sa che siamo perfino passati per Ludwigsburg! In ogni caso, ci ho messo quasi un’ora ad arrivare a una fermata conosciuta. Mentre ero completamente persa nel Baden Württemberg, ho riflettuto sulla mia vita e tutte le cose che mi sono capitate in questi due mesi. I classici pensieri filosofici da sbronzi».
Quando chiudo la chiamata, sono ancora sconvolta dal carico di informazioni e dalle avventure da smaltire. Prometto silenziosamente a me stessa che un tale devasto non capiterà mai più. Avrò imparato la lezione? Ma, soprattutto, mi sconvolge che queste avventure siano capitate a me, normalmente abbastanza moderata e conscia dei miei limiti. Dopotutto, ho già vissuto da fuori sede per quattro anni, serate moleste e goliardia incluse. Cosa mi ha spinto a cambiare così tanto? Cosa mi ha fatto rilassare a tal punto da allentare le redini? Sarà stata l’aria tedesca, l’Erasmus, oppure questa sensazione di completa libertà che ormai è entrata nella mia pelle?
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