“Cronache di uno studente fuorisede” è, fra le altre cose, un esperimento narrativo. La scrittura non è lineare, le frasi sottolineate indicano i pensieri che mi son balenati in testa, quelle in grassetto sono relative alla mia parte razionale e quelle in corsivo alla mia parte emotiva. Il risultato potrebbe sembrare strano e un po’ schizofrenico. Beh, lo è.
Se non hai mai letto queste Cronache inizia qua, se invece ti sei perso la Saga di Daniela inizia da qua.
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Sono ormai a Padova già da un po’ e, dopo aver sconfitto la precedente coinquilina in una fredda battaglia psicologica, decido di togliermi delle piccole soddisfazioni, tra cui qualche rissa in notti di studentesco ordinario delirio.
Dopo aver rischiato lo sfratto per via di una vita solitaria non proprio al massimo dell’ordine e della pulizia, un nuovo coinquilino è entrato, inconsapevolmente, nelle vicende di queste cronache. È Andrea, che è recentemente scappato da un collegio cattolico dove veniva tormentato. Spinto dal mio animo buono e supereroistico decido di aiutarlo a placare la sua presunta sete di vendetta.
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Capitolo 9: Santi e THC
Parte II: La Caccia
“Anon non credo che questa sia una buona idea.”
Sospiro: “Statte zitto Andrè.”
Pedaliamo lentamente verso il Piovego. Il cielo è nuvoloso senza luna e ci protegge da sguardi indiscreti con la sua oscurità, le ruote proseguono incerte sull’asfalto diretti verso zona Portello e Andrea non smette di lamentarsi.
“Dobbiamo proprio farlo?”
“No.”
———— Quella mattina ————
Io: “Bene Andrea, direi che ormai ci siamo conosciuti abbastanza per farlo.”
A: “Ma se mi sono trasferito ieri!”
Io: “Ti devo vendicare amico mio.”
A: “Ma vendicare COSA?!?”
Mi alzo in piedi portando una mano al petto e una dietro la schiena: “Per tutti i maltrattamenti che hai subito, io, Anon, prometto solennemente di vendicarti. Daremo a quei piccoli figli di puttana una bella punizione, vedrai.”
L’angioletto mi guarda con i suoi profondissimi occhi azzurri finendo di masticare lentamente la sua arancia.
A: “S-s-scusa, ma cos’è che avresti intenzione di f-f-fare?”
Io: “Tu conosci più o meno gli orari di questi ragazzi del dormitorio, no?”
A: “Beh si, però considera che comunque non sono stupidi. Ogni volta che escono rimane uno in dormitorio sia per controllare le camere che per riaprirgli il portone.”
Torno a sedermi sporgendomi curioso verso di lui: “Riaprirgli il portone? Capisco che uno si ubriachi, però…”
A: “No, non è come pensi. Alle undici l’istituto chiude il portone principale, chi c’è c’è.”
Io: “Alle undici?!? Ma che cazzo di orario è?”
A: “B-b-beh, è un collegio…”
Io: “Si, ma dai. Le UNDICI?!? Ahahah, porco cazzo!!”
Il silenzio scende su di noi rotto solo dalle mie risatine stupide. Lo vedo tentennare come per dirmi qualcosa mentre si gratta debolmente il petto con quelle ditina vellutate.
Io: “Avanti, che c’è? Spara.”
A: “Ecco, niente. È s-s-solo che ti pregherei… C-c-cioè io ti sarei davvero grato s-s-se tu potessi essere… Cioè…”
Io: “Dai, Madonna! Arriva al punto!”
A: “Es-s-sere un po’ meno volgare… Ecco. Cioè, non poi così necessario, no?”
Faccio un sospiro e mangio un biscotto: “E va bene, caro il mio cherubino, niente parolacce. Parola di boy scout.”
Il suo sguardo si illumina: “Anche tu facevi i boy scout?!?”
Io: “…Ma cosa diavolo c’entra questa cosa ades-”
A: “Facevi il boy scout?!?”
Sbuffo: “Senti non voglio parlarne.”
I suoi capelli biondi si muovono in preda all’euforia: “ERI UN BOY SCOUT! NON CI POSSO CREDERE! E che competenze avevi?”
Io: “Dai Andrè, torniamo al discorso di partenza per fav-”
A: “Ma no! Ma dai! Ma che cosa bella! Eppure non sembri! Non ti ci vedevo proprio!! Dai! Incredibile! Che figata! Ma va! Ma dai! Ma che roba! Che competenze avevi?”
“Ma chi diavolo abbiamo in casa?”
“Uno schizzo di troppo di Baden Powell.”
Andrea ormai è perso nei suoi discorsi, mi fissa con occhi luminosi e continua: “Io avevo le specialità di Pennese, Attore, Scenografo, Segnalatore, Giardiniere, Amico degli Animali, Topogr-”
“Dobbiamo fermarlo.”
Alzo la voce all’improvviso: “Io ero bravo a cagare nel bosco.”
A: “…”
Poggio la tazza sul tavolo e mi avvicino al suo volto con il mio: “E tu, Andrea? Tu cagavi nel bosco? O eri uno di quelle fighette che usava le latrine?”
A: “B-b-b-bhe, ma perché da fig-fig-fighette, scusa?”
“Oddio usava le latrine.”
“Dobbiamo curare questo ragazzo.”
Sospiro debolmente e riprendo: “Ascolta Andrea, torniamo al discorso di partenza, okay?”
A: “Va bene Anon.”
Io: “Allora ‘sti nonni meritano una bella punizione, no?”
A: “Ma non è mica necess-”
Io: “LA MERITANO. Fine della storia. La domanda ora è: quanto ti senti cattivo?”
Un brivido lo scuote: “Io?!? Ma io non mi sento cattivo!!”
Lo ignoro: “Allora le opzioni sono due: o facciamo qualcosa di soft oppure qualcosa di più.”
Incrocia le braccia al petto e inizia a balbettare: “M-m-ma che v-v-vuol dire? Cioè… Dai…”
Io: “Opzione uno: compriamo una decina, ma anche una cinquantina di palle di gomma magica, sai quelle palline che rimbalzano da tutte le parti?”
Annuisce piano. Il suo ciuffo biondo si muove candido andando a tempo.
Io: “Ecco. Allora con un trapano le perforiamo e ci infiliamo dentro una bombetta, tipo quelle che si usano per il capodanno, hai presente? Dopodiché le accendiamo e le lanciamo mentre gli stronzi mangiano in mensa.”
Lo vedo spalancare gli occhi: “MENTRE MANGIANO IN MENSA?!?”
Io: “Dici che è meglio buttargliele in camera mentre dormono? Forse hai ragione…”
A: “NON È QUELLO IL PUNTO!”
Io: “A no? E qual è?”
A: “QUALCUNO POTREBBE FARSI MALE!!”
Io: “Non era quello l’obbiettivo?”
A: “Ma cazzo no!”
Io: “Andrea, Andrea, Andrea… hai detto forse una parolaccia?”
A: “…”
Io: “…”
A: “…Scusa.”
Io: “Ma scusa che? Vabè, oppure potremmo provare ad infilarci in mensa e svuotare due boccette di Guttalax nel ragù, ma questa è un po’ più complessa. Dovresti darmi gli orari di chi ci lavora, anche una piantina del posto non sarebbe male. Hai una buona memoria fotografica?”
I suoi occhi sono aperti e spaventati, le pupille ridotte a due macchiette tremolanti.
Sbuffo leggermente incrociando le dita dietro la testa: “Ma se preferisci potremmo anche prendere in considerazione l’opzione più cattiva.”
A: “AH QUESTA ERA QUELLA SOFT?!?”
Io: “Dai Andrè, non fare la fighetta.”
A: “NO, NO, NO, NO!! IO QUESTA COSA NON LA VOGLIO FARE!!”
Io: “Okay, okay, ho capito. Mi inventerò qualcosa di diverso, vedrai vecchio mio” gli poggio una mano sulla spalla “presto la tua sete di vendetta sarà soddisfatta.”
A: “MA DI COSA STAI PARLANDO!! NON HO SETE DI VENDETTA!!”
Mi alzo dalla sedia e mi incammino verso il corridoio sorridendo “Vestiti, dobbiamo andare a fare compere.”
Lo sento alzarsi strofinando la sedia: “Nonononononono aspetta Anon. Dove vuoi portarmi?”
Io: “Niente di speciale angioletto mio, solo al supermercato.”
Dopo dieci minuti ci troviamo davanti all’Alì sotto casa ed entriamo. Afferro un cestino rosso e lo porgo ad Andrea. Man mano che ci addentriamo fra gli scaffali gli dico cosa afferrare, cammino con le mani in tasca mentre lui dietro di me corre a destra e a sinistra, afferrando prodotti, mostrandomeli e mettendoli nel carrello. Arriviamo alla cassa e poggiamo il tutto sul nastro.
Io: “Forza Andrè, paga. Io vado a comprare il Guttalax qua vicino.”
A: “Ma perché devo pagare io?”
Io: “Di chi è la vendetta?”
A: “Ma ti ho detto che non voglio farla!!”
Io: “Su, su boy scout, per pranzo ti preparo un risotto.”
Dopo un quarto d’ora siam di nuovo a casa e svuotiamo le buste sul tavolo. Davanti a noi ci sono una mela, una pera, una banana, delle noci, dell’avena, riso, una bottiglia di vodka liscia al 40% di alcool e del Guttalax.
A: “E ora?”
Io: “Adesso facciamo una bella macedonia!”
Iniziamo a tagliare la mela, la banana e la pera in cubetti mentre sui fornelli riso e avena iniziano a cuocersi, voglio dar loro appena una scottata.
A: “Credevo avremmo mangiato risotto…”
Sollevo un sopracciglio sorridendo: “Stai tranquillo, questo non è per noi.”
Quando il tutto si è cucinato per qualche minuto lo versiamo nella coppa con la frutta e le noci. A questo punto apro la bottiglia di vodka, le do un sorso schioccando le labbra e la verso su quella specie di macedonia finché il livello del liquido non ricopre leggermente tutto il resto.
A: “S-s-scusa Anon… Ma perché hai versato la vodka in questa roba?”
Io: “Capirai stasera, mi puoi passare il Guttalax?”
Un lampo di genio lo raggiunge: “NON DIRMI CHE VUOI FAR MANGIARE QUESTA PAPPETTA A QUALCUNO?!?”
Io: “Stai tranquillo Andrè, no.”
Inizia ad innervosirsi: “GUARDA CHE NON TI PERMETTERÒ DI FAR MANGIARE QUESTA ROBA A CHICCHESSIA!!”
Io: “A ‘chicchessia’? Ma come cazzo parli Andrè? Comunque stai tranquillo e non ti agitare, ti prometto sul mio onore di BoyScout che non darò questa roba a nessun uomo, donna o bambino. Croce sul cuoricino.”
Lo convinco sorridendogli piano e dolcemente, sembra funzionare.
A: “Ed ora?”
Io: “Ora mi spiegherai bene a che ora escono i ragazzi. Oggi è sabato e sicuramente andranno a ballare, no?”
A: “Si.”
Io: “Hai, per caso, anche i loro numeri di telefono?”
A: “…Beh si, mi chiamavano spesso per farmi qualche richiesta dell’ultimo minuto.”
Io: “Quanti sono in tutto?”
A: “Beh, i più stronzi sono circa sei.”
Io: “Sai dove sono le loro camere?”
A: “Si.”
Io: “…”
A: “…”
Io: “…”
A: “…”
Io: “…Andrea, hai forse detto ‘stronzi’?”
A: “…”
Il serafino continua a parlarmi di loro rivelandomi che in genere escono verso le nove per poi tornare a notte fonda. Il “palo” di turno gli riapre il portone principale al loro rientro.
Il pomeriggio passa velocemente e ceniamo verso le nove, adesso bisogna prepararsi per il fattaccio.
Io: “Bene, vestiti con gli abiti più scuri che hai.”
Vado in camera e mi metto dei pantaloni verdoni larghi, con molte tasche, un dolcevita nero e una felpa pesante grigia. Il tutto è completato da un passamontagna invernale che mi copre il volto.
Esco dalla mia camera e trovo Andrea in tenuta di laurea: pantaloni neri lucidi, camicia nera e giacca di velluto. Lo fisso sbigottito.
Io: “Mi prendi per il culo?”
Suda leggermente grattandosi la fronte: “M-m-m-ma tu mi hai detto di vestirmi con quello c-c–”
Io: “MI VEDI CON UN MAZZO DI FIORI? TI SEMBRA CHE ABBIA UN CESTINO PIENO DI FOTTUTISSIME BOMBONIERE A FORMA DI CONIGLIETTO?!? NON STIAMO ANDANDO AD UNA CAZZO DI CRESIMA, PICCOLO STRAMALEDET-”
Mi trattengo per tempo, chiudo gli occhi e me li massaggio fra le mani. Andrea sta per correre in camera e chiudersi la porta a chiave alle spalle.
“Sssshh… Piano.”
“Tranquillo.”
“Non puoi arrabbiarti con quest’agnellino.”
“Forza.”
“E va bene…”
Abbasso le mani sbattendole sui quadricipiti: “Ho capito, okay. Vediamo cos’hai.”
Dopo altri dieci minuti usciamo di casa. Andrea indossa ora jeans, una maglia blu della Napapijri e un maglioncino scuro. Non aveva felpe.
Inforchiamo le biciclette, mi infilo una sigaretta accesa fra le labbra e iniziamo a pedalare portando con noi la macedonia corretta.
A: “A-a-a-allora puoi dirmi cos’hai in mente?”
Io: “Stiamo andando a caccia di nutrie.”
A: “COSA?!?”
Io: “Esatto, dopodiché le facciamo mangiare la nostra bella macedonia. Ne libereremo una in ogni camera dei ragazzi. Immagino che combineranno un bel casino.”
Andrea pedala sempre più piano.
A: “MA CHE RAZZA DI PIANO È? C-c-come pensi di catturarle?”
Io: “Ho preso questa federa.”
I suoi occhi si spalancano: “Ma quella è mia!!”
Io: “Dai tranquillo, le nutrie sono animali puliti.”
A: “MA NON È VERO!!”
Dopo un po’ riprende a parlare: “Allora, allora Anon, per favore rallenta. Allora… Mi sa che è inutile ripeterti che non mi interessa vendicarmi, no?”
Io: “Esatto.”
A: “Allora, aspetta… Cioè… Ponendo che riusciamo davvero a catturare tre nutrie… Mi spieghi come facciamo a distrarre il ragazzo? Ti ricordo che ne rimane sempre uno a fare da palo.”
Do una boccata alla sigaretta e sussurro: “Lo so, ci servirà una prostituta.”
Lo sento frenare di scatto. Continuo a pedalare come se niente fosse per poi voltarmi indietro incuriosito: sta tornando verso casa.
“Ma porca miseria!”
“Ma che cazzo gli prende?!?”
Faccio un’inversione ad U e torno da lui tagliandogli la strada e mettendomi davanti alla sua bicicletta.
A: “Fammi passare.”
Io: “Stammi ad ascoltare.”
A: “Tu hai dei problemi.”
Io: “No Andrè, cioè, forse. Però fammi parlare.”
A: “Ti rendi conto di quello che vuoi farmi fare?”
Io: “Ascolta: questi stronzi fanno tutto il diavolo che gli pare a decine di bravi ragazzi. Sono arroganti, violenti, irrispettosi e nessuno può fargli mai niente. Quante persone hanno tormentato nel corso degli anni, quante camere hanno distrutto? Quante volte vi hanno impedito di finire un cazzo di pasto? Vuoi davvero che qualcun altro subisca quel che hai passato tu o qualche tuo amico?”
A: “Beh no, ma…”
Io: “Ma, ma, ma un cazzo. Saremo l’ago della bilancia che pareggerà a malapena la situazione.”
Mi guarda perplesso, qualcosa in lui sta cambiando. Decido di dare il colpo di grazia.
Io: “Si tratta di giustizia, di spirito di fratellanza nei confronti di altre decine di ragazzi umiliati, sottomessi e succubi di una violenza gratuita. Nessuno dovrebbe subire questo tipo di prepotenza psicologica.”
A: “Si, beh… Q-q-quel che tu dici è vero. Ma non mi va di comp-”
Io: “Stai tranquillo me la vedrò io. Tu devi solo cantare Screaming for vengeance dei Judas e siamo a cavallo.”
A: “Che…?”
Io: “…Non la conosci?”
Squote piano la testa.
Io: “Okay, okay. Vai con The trooper allora.”
A: “…”
Io: “Youth gone wild?”
A: “…Ehm…”
Io: “HEROES?!?”
A: “…Non posso sceglierla io?”
Sospiro chiudendo gli occhi e stringendo il manubrio fra le mani: “Va bene Andrè, canta quel cazzo che ti pare.”
Ci rimettiamo in marcia, la pedalata è lenta e le biciclette sibilano piano sull’asfalto mentre l’arcangelo al mio fianco canta La canzone del sole.
Dura poco e, dopo qualche secondo, ricomincia con i suoi dubbi:
“Ma come pensi di infilare una nutria nella federa?”
“Magari sono aggressive.”
“Penso che potremmo solo fargli uno scherzo telefonico!”
“Anon non credo che questa sia una buona idea.”
“Sicuro che ci stiano nella federa?”
“Sono tre. Tre nutrie, no?”
“Forse dovevamo portare dei biscotti.”
“Io ho fame.”
“Anon non credo che questa sia una buona idea.”
“Non ho chiamato i miei stasera.”
“Fa freddo.”
“Tutto questo è davvero folle.”
“Puoi rallentare?”
“Anon non credo che questa sia una buona idea.”
Sospiro: “Statte zitto Andrè.”
Pedaliamo lentamente verso il Piovego. Il cielo è nuvoloso senza luna e ci protegge da sguardi indiscreti con la sua oscurità. Le ruote proseguono incerte sull’asfalto diretti verso zona Portello e Andrea non smette di lamentarsi.
“Emisfero sinistro?”
“Dica.”
“Inviare comando di manovra difensiva 1012: ignorare voci fastidiose.”
“Agli ordini.”
La voce acuta diventa uno squittio sempre più ovattato e silenzioso mentre mi concentro sul da farsi.
Arriviamo in zona portello, superiamo il ponte e ci addentriamo nel viale alberato, il fiume sulla sinistra e la facoltà alla nostra destra. Percorriamo la strada fino in fondo finché non arriviamo su Ponte Porciglia. A questo punto smontiamo dalle biciclette e le leghiamo a dei pali lì vicino. Un mucchio di frasche sono accatastate sulle sponde, l’acqua è una tavola piatta che riflette il cielo scuro e gorgoglia pigra.
Mi avvicino alle frasche e apro la federa poggiandola sull’erba tenendola aperta con due bastoncini verticali sui lati, ci svuoto dentro dei cracker e dei grissini della mensa dopodiché mi allontano.
A: “E ora?”
Io: “Ora facciamo il gioco del silenzio.”
Siamo seduti sotto un albero, il cumulo di legna è a pochi metri da noi, il fiume alla nostra sinistra mentre il tempo passa lentamente, ogni secondo è lunghissimo e i minuti passeggiano pigri facendosi sentire pesantemente. Il barilotto di grasso alla mia destra si muove in continuazione cambiando posizione come un’inquieta ragazzina alla sua prima volta.
Passa mezzora e inizio a tremare di freddo.
Passa un’ora e le gambe mi si addormentano.
Passa un’ora e mezza e sto seriamente pensando di lasciar perdere.
A: “Anon secondo me questo piano non è granché.”
Io: “Ne hai in mente uno migliore, giovane marmotta?”
A: “…”
Ad un certo punto accade: un debole tremolio scuote le frasche e vediamo una piccola palla di pelo scuro muoversi nell’ombra. Ondeggia debolmente, sembra goffa, impacciata e cammina curiosa sul prato.
A: “Anon lo vedi anche tu?”
Io: “Sssshh! Fa silenzio!”
La preda trotterella in giro, ignorando totalmente la federa.
“Ma come?!?”
“Non funziona!!”
Continua così per dieci minuti: la nutria cammina facendosi i beati fattacci suoi e la nostra trappola resta lì, aperta e inefficace. Siamo nascosti lì da da almeno un’ora e mezza e la mia pazienza sta per raggiungere il limite.
Ad un certo punto ecco che l’attesa viene ripagata: vediamo la palla di pelo avvicinarsi alla federa annusando debolmente. Andrea ha un leggero sussulto di impazienza. Dopo altri quindici secondi il naso del roditore urta un legnetto facendolo cadere e chiudendo l’apertura della federa.
“MA PORCA TROIA!”
A: “Te l’avevo detto che non era un bel piano.”
Io: “Vaffanculo Andrè.”
Mi alzo lentamente in piedi, sono furioso e infreddolito, afferro un sasso lì vicino e lo scaglio contro quella maledettissima palla di pelo. Il sasso è grande circa metà della mia mano e viaggia dritto tagliando l’aria al suo passaggio sibilando debolmente mentre ruota su se stesso.
I cinque metri che mi separano dal bersaglio vengono divorati in un attimo, dopo qualche frazione di secondo e uno squittio acuto di dolore la bestia si accascia al suolo.
Andrea spalanca gli occhi e si mette in piedi: “ODDIO! MA CHE HAI FATTO?!? L’HAI UCCISA!!”
Mi avvicino al corpo e afferro la coda della vittima, sollevandola per aria.
Io: “Naaaah, guarda. Sta benone!!” mentre lo dico faccio tremare leggermente il braccio, facendo sobbalzare il corpo inanimato della vittima con le zampette che gli pendono ai lati del corpo.
A: “OH MIO DIO! L’HAI DAVVERO UCCISA!! NON POSSO AVERTELO LASCIATO FARE! HO LA SPECIALITÀ IN AMICO DEGLI ANIMALI, IO! NONCICREDONONCICREDONONCICREDONONCICRED-”
Infilo quell’inanimato pezzo di carne nella federa e mi avvicino ad Andrea provando a calmarlo.
A: “TU SEI UN MOSTRO!! AVREI DOVUTO CAPIRLO SUBITO!! SEI MALVAGIO! UNA PERSONA CATTIVA!! ALLONTANATI! ALLONTANATIII!!”
Io: “Andrè è solo un topo del cazzo, Cristo San-”
A: “E NON BESTEMMIARE!!!”
Io: “Ma ti rendi conto del casino che stai facendo per un topo? Quando i tuoi colleghi di dormitorio ti cagavano sul cuscino non rompevi tanto i coglioni mi sembra, o no?”
A: “Ma cosa c’entr-”
Lo afferro dalla giacca stringendo il pugno sotto la gola fissandolo dritto negli occhi: “C’ENTRA ECCOME PICCOLA FIGHETTA SENZA PALLE. Finché si tratta di violenza fisica e psicologica su esseri umani ti pieghi a novanta e spalanchi le natiche, quando ti si tocca il tuo toooopoliiiiino del cazzo ecco che diventi il più rottinculo dei paladini del caz-”
Vengo interrotto da un debole verso proveniente dalla federa: la bestiola si sta iniziando a muoversi, leggermente frastornata dalla botta avuta. Abbassiamo entrambi lo sguardo sulle pareti di cotone che iniziano ad agitarsi.
Risollevo gli occhi guardandolo: “Visto?”
A: “…”
Io: “…”
A: “…”
Io: “…”
A: “Tu sei cattivo.”
Io: “Cresci Andrè.”
A: “CRESCI?!? Da quando ‘prendere nutrie a sassate’ è considerato ‘crescere’?!?”
Io: “Da quando l’homo habilis ha iniziato ad utilizzare rocce e strumenti per andare a caccia.”
A: “TU. SEI. FUORI.”
Io: “È una lezione vecchia due milioni di anni.” Sorrido a labbra strette: “È storia, bitch.”
A: “…”
Io: “…”
Il saccottino solleva le mani portandosele fra i capelli iniziando a grattarseli convulsamente: “Ma mi spieghi come hai fatto, come cazzo hai fatto a convincermi?”
Spalanco le labbra mostrando un sorriso a trentadue denti abbassando la mandibola: “Andrè, non dire parolacce.”
Prendo la macedonia e la svuoto nella fodera inzuppando la nutria di frutta in pezzi, riso e avena impregnati di vodka e Guttalax. Dall’interno provengono suoni strani: “Gnheeehhieee… Gnheeehhieee… Gnheeeeeeeeehhhhieee.”
L’ammasso di peli puzza di acqua sporca, fango e si contorce debolmente in quello che gli ho versato addosso. Andrea prende la bicicletta, è seccato e innervosito: “Beh, forza! Facciamola ‘sta cazzata allora.”
Ci abbiamo messo più di due ore da quando siamo usciti di casa per prendere la nostra preda e, in tacito accordo, decidiamo che una può bastare.
“Non credo proprio voglia che continuiamo a prendere a sassate i suoi amati roditori.”
“Già.”
“Mi inventerò qualcosa.”
Inforchiamo le biciclette mentre tengo la ben stretta la federa nella mano e iniziamo a pedalare verso zona Arcella, dobbiamo finire i preparativi del nostro piano.
Arriviamo in stazione e superiamo il cavalcavia, la nutria nella sacca si agita sempre di più emettendo strani versi mentre alcuni spacciatori ci guardano straniti. Andrea alle mie spalle mi segue preoccupato, posso sentire vibrazioni di paura e incazzatura che si sovrappongono raggiungendomi.
“Emisfero sinistro?”
“Dica.”
“Inviare comando di manovra difensiva 1025: menefreghismo.”
“Agli ordini, ma mi servirebbe una distrazione.”
“Ci penso io.”
“Che hai in mente?”
“Once upon a time you dressed so fiiiine, threw the bums a dime in your priiime, didn’t youuuuu?”
“Oh, il buon Dylan. Ottima scelta.”
Ci addentriamo nel quartiere peggiore di Padova, superiamo incroci, semafori, macchine e frotte di extracomunitari che ci spolpano con gli occhi. Il serafino pedala più velocemente e mi raggiunge mettendosi al lato: “A-A-A-Anon, ma dove mi hai portato? N-n-non sembra Padova… Sicuramente qua v-v-vendono delle sostanze…”
Io: “Delle sostanze?”
A: “S-s-s-si.”
Io: “Tipo?”
A: “Tipo… Sai…” La sua voce diventa un bisbiglio: “Tipo la droga…”
Scoppio a ridere e allargo le mani al cielo iniziando a gridare: “LA DROGAAAHH! LA DROOOGAAAAAHH! AHAHAHAHAHAHAH!!”
A: “Ma che cazzo fai!? Qua ci fanno secchi!!”
Finisco di ridere e lo guardo: “Non ti preoccupare angioletto mio, spacciatori e ubriachi sono come i cani randagi: se non gli parli e non li guardi negli occhi, non ti faranno niente.”
A: “…Non è un po’ razzista questa cosa che hai detto?”
Io: “No, io ho parlato di spacciatori e ubriachi, sei tu che hai pensato subito agli extracomunitari…”
A: “…”
Io: “…”
A: “…”
Io: “Andrè, ma sei razzista?”
A: “…Non dire fesserie.”
Io: “Ahahahah…”
A: “…”
Io: “Hey Andrè.”
A: “Dimmi.”
Io: “Hai forse detto una parolaccia prima?”
A: “BASTA!! Qua sto parlando di cose serie! Questa gente potrebbe fermarci e avere dei coltelli o chissà cos’altro.” La sua voce è un tremolio carico di compassione e paura: “Oddio Anoooon… Per favooooore, torniamo a casaaaa… Non voglio più farla questa cosa…”
Continuo a sentirlo parlare preoccupato e alzo di nuovo lo scudo di strafottenza che mi circonda come una testudo romana.
“How does it feeeel, how does it feeeel? To be oooon yooour own. Like a complete unknooown, like a rooolling stooone.”
Pedaliamo, mentre il peso della nutria mi sta sfiancando il braccio, in compenso posso sentirla mangiare piano, con piccoli scricchiolii e rumori. Dopo un quarto d’ora di vagare sconclusionato mi arrendo e gli rivolgo la parola.
Io: “Dannazione Andrè, tu hai trovato nulla?”
A: “Tipo una ragazza bionda, con stivali alti in pelle, i tacchi e un giubbotto bianco?”
Io: “Cosa?!? DOVE?”
A: “Beh l’abbiamo superata prima. Te l’ho pure detto, ma mi hai ignorato.”
Io: “Beh dovevi dirmelo meglio!”
A: “TE L’HO DETTO TRE VOLTE!!”
Facciamo inversione di marcia e seguo le indicazioni del mio biondo TomTom.
Dopo qualche minuto arriviamo ad una fermata dell’autobus e, sotto una luce al neon arancione, eccola che compare la nostra Lampyris noctiluca esattamente come l’aveva descritta prima il barilotto.
Scendiamo dalle biciclette parcheggiandole poco lontano e ci avviciniamo. Andrea ha le mani infilate nel giubbotto e la testa infossata nelle spalle, sta morendo di vergogna. Io allargo le mani sbatacchiando leggermente la nutria a destra e sinistra procedendo a passi lunghi e sicuri. Dalla federa riprendono i lamentosi Gnheeehhiee. A qualche metro dalla nostra seconda preda usciamo dall’ombra ed esordisco con un bel “Buonaseeeeera!!”
Un rapido movimento e la testa della ragazza ruota verso di noi in un turbinio di luminoso biondo dato dai suoi capelli. Ci guarda per qualche secondo dopodiché si porta una mano alla bocca iniziando a gridare: “AIUTOOOO!! AIUTOOOOO!!!”
“COSA?!?”
“Ma che diavolo le prende?!?”
Mi volto e vedo Andrea, ha la testa piegata in basso, il volto nascosto e la schiena curva. Ha un aspetto strano, okay, ma non sembra per niente pericoloso. Ad un certo punto me ne rendo conto.
“Il passamontagna.”
“Indossiamo ancora il passamontagna!!”
“Perché cazzo abbiamo messo il passamontagna?!?”
“Faceva tanto figo!”
Faccio due conti e mi immagino la scena: una prostituta vede due persone avvicinarsi, uno ha gli occhi bassi, si avvicina trascinando i piedi con il volto nascosto fra le spalle curve, accanto a lui c’è un ragazzo con stivaletti neri, pantaloni verde militare, un giubbotto di pelle e indossa un passamontagna agitando un sacco pieno di chissà cosa dal quale provengono suoni grotteschi.
È un istante e le grida raggiungono il centro nervoso di decine di nottambuli passeggiatori dell’Arcella.
Provo a togliermi il passamontagna interrompendo le sue grida: “CAZZO STA’ ZITTA!! GUARDA! SONO UN RAGAZZO, TRANQUILLA!!”
Non serve a nulla: “AIUTOOOOO!!! AAAAAAHHH!! QUALCUNO MI AIUUUTIIIIIIIII!!!” La sua bocca è spalancata in un ovale di terrore e la voce acuta si espande pericolosamente ovunque, rimbalzando tra una strada e l’altra e rimbombando nell’eco di quest’orribile Bronx patavino.
Dall’altro lato della strada vedo un gruppo di ragazzi che passeggiano all’ombra, si fermano e ruotano le teste verso di noi come terribili nazgul.
Andrea potrebbe svenire da un momento all’altro, gli tremano le gambe e ha gli occhi lucidi. Mi avvicino a lui e gli afferro il mento costringendolo a guardarmi. È paralizzato.
Una saracinesca si spalanca poco lontano e cinque africani si sporgono fuori cercando l’origine delle grida.
Io: “Andrè, guardami. ANDRÈ!! CAZZO!! ANDRÈ GUARDAMI.”
Solleva lo sguardo mordendosi un labbro mentre due lacrime gli rigano affettuosamente le guance.
Io: “Allora Andrè, ascoltami. Non è il momento di cagarsi nei pantaloni.”
A: “Ah no?”
Io: “Non ancora, dobbiamo andare.”
A: “…”
Un kebabbaro esce fuori dal locale strofinandosi le mani sul grembiule e facendo un cenno a dei ragazzi all’interno. Ci sta indicando con un coltello a lama lunga. I suoi baffi scuri si sollevano piano man mano che parla, dopo qualche secondo qualcuno lo raggiunge.
“ANDRÈ DOBBIAMO ANDARE.”
Annuisce debolmente.
“ORA.”
Occhi rapaci ci raggiungono da ogni dove. Sento l’orlo dell’apocalisse che si avvicina.
Torniamo velocemente verso le biciclette correndo come dannati mentre alle nostre spalle le grida della prostituta riecheggiano terribilmente per le strade insieme a decine di passi che, veloci e terribili, iniziano ad inseguirci furiosi.
Clicca QUA per il prossimo episodio: La metamorfosi di Andrea!
Foto di copertina di Mario Saraceni.
Ricordo che tutti i fan padovani (e non) possono mandarci i loro scatti. Una giuria popolare e imparziale (io) li sceglierà per farli diventare future copertine delle Cronache di uno Studente Fuori Sede.
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Scrittura geniale, sei forte, è da un po’ che leggo ed è sempre un piacere farlo. Ma ciò che realmente mi preme scoprire è se, quello che scrivi, è una sorta di incrocio tra sfoggio nozionistico e tanta immaginazione o se sei veramente un cazzone del genere.
L’ultima frase mi ha commosso. Grazie. You made my week.
Per rispondere alla tua domanda devo dirti che questi racconti sono un po’ a metà fra “fantasia” e “realtà” e forse neanche questa è una risposta sincera.
Alcune cronache sono avvenute esattamente così come le ho scritte, altre sono state romanzate e altre, pur partendo da un input reale, hanno preso una via tutta loro.
“Like a rolling stone” è sempre un’ottima scelta. Mischiare la scrittura con la musica funziona, Murakami e Yoshimoto insegnano.