GEOPOLITICA

Il disastro demografico

Scritto da Ivàn Karamazov

Parliamo di una delle poche cose certe riguardanti il nostro futuro: la crisi delle nascite e l’invecchiamento irreversibile della popolazione europea.

Questo sarà certamente ciò che segnerà la fine dell’Europa così come la conosciamo e il meccanismo è già in movimento da qualche anno.

Una crisi demografica significa l’abbattimento del numero delle nascite e l’incremento del numero degli anziani. L’Europa è caratterizzata da un tasso di fertilità pari a 1,6, già ben al di sotto della soglia richiesta per il rinnovamento della popolazione, ovvero 2,1. L’età media passerà dai 37 anni del 2003 ai 52 del 2050, la  speranza di vita salirà di ben 5 anni, e la popolazione in età lavorativa diminuirà di un buon 16%. Tutto questo è direttamente visualizzabile dalla cosiddetta “piramide demografica” dove è facile notare il progressivo aumento dell’età media della popolazione:

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Il grosso degli abitanti dell’Europa di oggi che compongono ora la “pancia” della piramide sono i famosi babyboomers, cioè tutti quei cittadini nati nel dopoguerra, coccolati da un sistema welfare accomodante e cresciuti in un mondo abbondante di risorse naturali e di afflussi di capitali finanziari che hanno generato ricchezza. Entro il 2050 questa piramide si rovescerà, considerando i flussi migratori e la situazione economica attuale.

Più vecchi significa anche crollo del numero di consumatori, di imprenditori, di capitale umano. La produttività diminuirà, così come la grinta e la capacità di innovare che caratterizza i giovani e che dovrebbe anche caratterizzare lo sviluppo di un paese. Gli anziani sono psicologicamente deboli e paurosi, facilmente manovrabili dall’opinione pubblica verso strade che possono rivelarsi sbagliate. Ne consegue che tutto questo porterà all’azzoppamento della crescita economica e alla successiva crisi fiscale delle finanze statali, che non saranno più in grado di garantire welfare e che dreneranno sempre più risorse per il mantenimento dei vecchi a discapito dei giovani, creando un circolo vizioso senza fine. A poco servirà l’immigrazione (o perlomeno un immigrazione che immaginiamo sana e che non comporti tensioni sociali), dato che solo in Italia servirebbero 2 milioni di immigrati all’anno per garantire i “diritti” degli anziani. Considerando la posizione dell’Europa, circondata dal mondo musulmano e geograficamente lontana dai più apprezzabili paesi cristiani del mondo, è ben difficile immaginare un immigrazione che riesca allo stesso tempo garantire lavoratori qualificati e una rapida integrazione senza che la coesione sociale venga minata.

Nonostante i dati catastrofici, è probabile che non saremo soli nel mondo. Il Giappone è in crisi demografica da decenni, la Cina si avvia a grandi passi all’invecchiamento precoce frutto delle politiche di controllo delle nascite, la Russia e tutti i paesi della sua ex orbita vedono il diminuire della popolazione dalla fine della vecchia Unione Sovietica. In ogni caso bisogna anche chiedersi quanto potrà durare l’accoppiamento in serie geometrica tra crescita demografica ed economica, una volta che ci troveremo davanti ai vincoli ambientali rappresentati della scarsità di risorse idriche, alimentari, minerarie e forse energetiche (il parere di chi scrive è che il problema energetico verrà invece risolto).

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Ma essendo difficile fare un’analisi che abbraccia diversi aspetti della società, è possibile individuare anche qualche spiraglio di speranza. Innanzitutto se da una parte la produttività diminuirà, essa sarà sostituita con la produttività delle macchine, gli anziani potranno sempre più dirigersi verso mansioni più rilassate ma comunque in grado di generare reddito. Da un altro punto di vista ci si deve aspettare un cambiamento culturale della gente, siamo sempre più consci dei vari problemi che affliggono la nostra era, è possibile che ci si renda conto che la morte fa parte della vita, in poche parole: che si torni a morire come morivano i nostri avi, senza rincorrere una grande longevità. Così facendo in qualche modo si riuscirà a trovare un punto di equilibrio e convivere con la decrescita demografica. Bisognerà in ogni caso però favorire l’immigrazione sana nell’immediato, e investire per promuovere la formazione di nuove famiglie nel medio e lungo periodo.

Se invece vogliamo immaginare uno scenario più catastrofico, si può presupporre che il collasso della società odierna porterà a un drammatico ridimensionamento degli stili di vita. Con meno welfare, meno ricchezza e più povertà l’aumento dell’età media si arresterà, e dopo anni di transizione si ritroverà in modo naturale un nuovo punto di equilibrio da cui ripartire.

Vogliamo ora concentrarci un pochino di più sul caso italiano, che, guarda caso, rappresenta un caso drammaticamente tipico:

  • L’Italia è il terzo paese più vecchio del mondo, dopo Giappone e Germania. L’età media rilevata dall’ISTAT si aggira sui 44 anni;
  • La popolazione è in calo già da un decennio. L’anno scorso si è chiuso con 509k nascite e 597k morti. Considerando anche i flussi migratori il saldo rimane comunque negativo, con una perdita di 125k residenti;
  • Questa forbice non potrà che allargarsi, soprattutto una volta che emergeranno gli effetti della recessione sulle giovani generazioni. Un primo calcolo approssimativo definisce danni dovuti alla disoccupazione e al crollo del salari che ammonta a 120 miliardi di euro. In più molti immigrati decidono di tornare nei paesi d’origine o spostarsi in altri paesi europei. Tutto questo sta creando un grande buco sull’organizzazione attuale dello Stato italiano;
  • Il sistema pensionistico italiano è ampiamente insostenibile. Annualmente divora più del 17% del PIL e si chiude ogni anno con un rosso sui 10 miliardi di euro (forse la cifra calerà un poco nel breve periodo). Inoltre il sistema è fondato su un grave errore concettuale: i versamenti dei lavoratori servono per pagare le pensioni di oggi, il sistema si basa sulla fiducia che anche in futuro ci saranno lavoratori che verseranno per le pensioni correnti, ma, come dimostrato, non sarà così. Di fatto “l’accantonamento” non esiste;
  • Ne consegue che per mantenere il livello pensionistico attuale, i contributi percentuali aumentano sempre di più, che si riflettono su un calo del reddito il quale però non verrà restituito durante la vecchiaia. Aumenterà sempre di più anche la soglia d’età per andare in pensione, innescando un chiaro circolo vizioso in cui l’Italia è già dentro da qualche anno (ci vorranno molti anni perché si vedano gli effetti benefici della riforma Monti che ha spostato il sistema pensionistico dal criminale retributivo al contributivo);
  • Dulcis in fundo, la gestione disastrosa delle pensioni italiane non è dovuta solo a fattori naturali, ma anche a scelte politiche precise. In Italia le prestazioni pensionistiche che superano i 3000€ (crediamo lordi) mensili sono quasi 670.000. Lo sapete quante sono in Germania? 18. , 18. E queste 18, per la precisione, si basano su una soglia dai 2800€ in poi. In generale quel 8% di prestazioni superanti i 2500€ al mese divora il 22% della spesa pensionistica. Magari ci sarà qualche (raro) caso di chi prende pensioni su contributi effettivamente versati, ma di fatto questo disastro è frutto del sistema truffaldino del retributivo e di una mancata redistribuzione dei fondi, gli elettori (e la politica di conseguenza) hanno sempre chiuso due occhi davanti il problema.

 

http://europa.eu/legislation_summaries/employment_and_social_policy/situation_in_europe/c10160_it.htm

 

http://en.wikipedia.org/wiki/Ageing_of_Europe

 

http://www.istat.it/it/archivio/indicatori+demografici

 

http://www.creditvillage.it/notizie/pensioni-d%E2%80%99oro-confronto-italia-germania

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