Tim Burton al suo diciassettesimo lungometraggio si dedica ad un biopic sulla vicenda coniugale della pittrice Margareth Keane, nota per essere stata al centro di una truffa ordita dal marito bramoso di fama e guadagno che si finse pittore a spese di lei, tanto rilevante da sollevare l’opinione pubblica americana in favore di una sensibilizzazione della realtà sociale della donna nell’America degli anni ’50.
Burton, amico personale di Margareth Keane, costruisce il film attorno alla coppia, interpretata da Amy Adams e da Christoph Waltz, mostrando le dinamiche del mercato d’arte sullo sfondo di una San Francisco coloratissima e una fiorente America del dopoguerra.
C’è più di qualche punto di contatto tra Andy Warhol e il Tim Burton di “Big Eyes”, in realtà non solo perché il film si apre con una citazione del suddetto o perché la protagonista viene inquadrata mentre compra una confezione di zuppa Campbell, ma, prima di tutto, perché nel rappresentare la visione dell’arte americana del tempo Tim Burton sceglie la via dell’immagine pop che ragiona essenzialmente di status symbol e tiene bene a mente il sogno americano senza denunciarne la mediocrità, ma con la sola voglia di mostrarne lo spirito.
Si potrebbe dire che la pellicola rotea attorno alla figura di Amy Adams, che si offre forse troppo timidamente ad interpretare una martire del maschilismo imperante, ma in realtà l’insieme di temi racchiusi portano il film oltre una lettura prettamente sociale, verso una riflessione sull’arte e in particolare su questioni come l’originalità, la riproduzione, la critica e il mercato, il tutto permesso dallo scenario storico in cui questi problemi si palesavano, grazie anche all’opera del maestro della pop-art.
Viste queste premesse il risultato poteva essere veramente interessante, ma il film soffre una cura insufficiente nella struttura narrativa, che, oltre ad offuscare alcuni temi chiave, annulla il gioco tra senso del tragico e del comico che si sarebbe dovuto impostare tra le interpretazioni della Adams e di Christoph Waltz. Si palesa inoltre una conoscenza non troppo profonda del meccanismo di ispirazione che sottende alla creazione artistica, ma forse, paradossalmente, è proprio così che viene a galla il senso intimo di una visione del mondo targata orgogliosamente U.S.A.
Accolto nei modi più disparati dalla critica, il film rimane comunque un interessante spaccato storico, che se non altro evoca pensieri chiave per comprendere la mentalità americana e, anche solo per questo, merita una visione.
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