ESPERIMENTI LETTERARI Storie

Racconto di Natale

Scritto da Rorschach

Dal 15 iniziano.
Feste di Natale, uscite fuori in centro con cappellini di lana e guanti rossi, sorrisi e grida nei centri commerciali, comitive che si chiudono in locali a bere punch e cioccolato caldo.
Le risate. Il divertimento.
No, non fa per me. Lasciate che vi spieghi.

Era il 23 dicembre. Mentre voi vi stringevate attorno al fuoco io ero chiuso nel bagno di un centro commerciale con un tizio alto un metro e novanta pronto a sfondare la porta e a massacrarmi di botte.
Ma andiamo con ordine.

Serata in tavernetta, ore cinque del pomeriggio, obiettivo: spennare gli amici a poker e bere vino economico. Avete presente quella bottiglia che vedete stipata nei centri commerciali a basso prezzo, quella che ha il vetro verde che uno si chiede come possa un’azienda pagare coltura, raccolta, imbottigliamento e trasporto e poter avere anche un minimo di guadagno con una bottiglia di vino a 2€? Ecco, noi ne avevamo due cartoni. Vino pessimo. Cattive compagnie. Vecchie abitudini.
Bene, c’era tutto.

La serata inizia e in poco meno di mezzora finiamo circa una bottiglia di questa dolce brodaglia calda a testa. Le carte girano, il tempo vola, i salatini vengono divorati con nervosismo e come volevasi dimostrare sono già sotto di 100€.
Come si possa perdere una mano con un doppio asso servito grazie a un tris dell’ultimo secondo è ancora un mistero. Il fegato bolle di rabbia, forse per il gioco, forse per il vino.

Mezzora dopo ne perdo altri 50: un tris battuto da un colore. Avrei dovuto capirlo subito che non era la mia giornata. Meglio distrarre i giocatori con qualche chiacchiera.
“Credo che stasera diano un festino in contrada, magari dopo ci possiamo fare un salto”.
Mi danno le carte. Guardo. Un Jack e un Re di picche. Bene. Continuo.
“Non ci freghi, resta seduto e rimani a giocare da uomo. Se vuoi ci possiamo andare quando sarà finito il vino”. Il sorriso che si allarga sui loro volti.
“Cazzo non ditemi che sono l’unico che vuole conoscere un po’ di gente nuova. Credo ci vada la comitiva di Chiara”. Girano le prime tre carte. Guardali negli occhi, percepisci il bluff. Un Jack, un due e un quattro.
Bene ho fatto coppia, non è granché, ma ci sto.
“Quelle se le tirano e poi l’unica con cui si poteva fare qualcosa è fuori città”.
Le mani appoggiate sul tavolo a coprire le proprie carte.
“E chi sarebbe?”
“Samantha. Lei era quella facile.”
Le sollevano e ricontrollano quello che hanno.
Due di loro passano, l’altro ci sta. Continua a guardarmi negli occhi.
“Come fai a dirlo?”
Girano la quarta carta. Un altro Jack. Questa volta sei mio.
Rilancio di altri 20. Lui ci sta.
“Le piace l’astrologia.”
“Cosa?”
“Si sai… I segni zodiacali e quelle menate lì.”
Girano la quinta carta. Un 3 di cuori. Inutile. Ci sono. Vado all-in. Che con quello che mi era rimasto non era praticamente nulla, ma vabè.
Mi guarda. Conta le fishes con la mano. Le soppesa, le alza e le lascia cadere giù rumorosamente. Ci pensa ancora, controlla le sue carte. Mi riguarda. Ci sta.
“E che significa? A uno non può piacere l’astrologia?”
Giro le mie carte: tris di Jack.
Mi sorride: “Non se sei una donna. Tutti lo sanno che in una comitiva di ragazze quella a cui piace l’astrologia è quella facile. La zoccola del gruppo insomma. Utilizzano la scusa del ‘I pesci sono un segno molto dinamico nella vita sentimentale’ per sentirsi autorizzate a succhiare un cazzo diverso a sera. ‘Non sono troia io, è solo che sono dei pesci’!”
Gira le sue carte. Ha due Jack. Poker batte tris.
Lo stomaco si unisce al fegato e inizia a brontolare disgustato. Forse per il gioco, forse per il vino.
Ho perso tutto. Merda. Mai stato un buon giocatore di Poker.

La serata continua e mi fiondo sul vino. Nel giro di un’altra oretta siamo rimasti poco più che ad una bottiglia. Sono le 7 e mezza di sera.
“Hey, visto che tu non stai più giocando, perché non fai un centro al Lidl subito fuori città e non prendi ancora un po’ di vino? Magari anche qualche altra cosa da mangiare così poi andiamo al festino.”
Mi alzo. Non ho né la voglia né le energie per ribattere. Mi sento il viso bollente e le gambe pesanti, si: sono ubriaco.

Mi avvio verso la macchina, cerco le chiavi in tasca, le trovo e provo ad inserirle nella toppa.
Dopo 10 umilianti tentativi riesco finalmente ad entrare.
Con grande sorpresa questa volta riesco ad infilare subito le chiavi nella fessura, accendo le luci, metto in moto e mantengo il riscaldamento spento: meglio rimanere al freddo per avere la mente lucida. Si come no.
Esco dal vialetto e guido lentamente. Ci metto mezzora per fare 7 kilometri e raggiungere il Lidl, ma almeno solo salvo. All’uscita vedo un barbone steso per terra con un sacco pieno di vecchie bottiglie e strofinacci. Mah. Gli lancio una moneta da due euro. Mi guarda in modo indecifrabile e gli rispondo con l’espressione ebete che avevo da circa due ore.
Appena entro dentro mi si avvicina una ragazza: capelli castani raccolti, occhi nocciola, un po’ bassa, ma che importa. Molto carina. Mi guarda, sorride e fa: “Scusi stiamo per chiudere, cosa le serve?”
“Prendo solo un po’ di vino. Faccio in fretta.”
Mi addentro ondeggiando con il carrello in questo labirinto di scaffali, prodotti e offerte promozionali finché non trovo il vino più pezzente ed economico che il mercato internazionale possa offrire. Allungo la mano, prendo una bottiglia e controllo: 12% di alcool. Basterà.
Comincio a riempire il carrello: una, due, tre bottiglie.
Prima che possa prendere l’ultima vedo una figura che velocemente mi passa davanti e afferra la bottiglia.
“Hey che cazzo, dovevo prenderla io.”
Mi risponde una ragazza bionda, occhi verdi, forse, che non voce serafica mi fa: “Scusami, ma ho visto che tu ne hai a sufficienza e poi serve anche a noi…”
“Frega un cazzo se serve anche a te, c’ero io e la prendo io.”
“Hey stronzo, stai calmo. C’è tanto altro vino, prendi quello.”
“Perche non lo prendi tu allora? Stavo io e lo prendo io.”
“Che è tutto ‘sto nervoso? Sei dell’acquario per caso?”
“Come scusa?”
“…Si sai. Oggi l’acquario ha una giornata un po’ nera dovuta a Saturno negativo che…”
La interrompo con una risata fragorosa, mi piego appoggiandomi sulle ginocchia mentre le lacrime incominciano a bagnarmi le guance.
“Oddio… Oddio non ci posso credere…”
La voce che mi si strozza, sto quasi morendo d’infarto.
“Quindi tu… Tu sei la succhiacazzi eh?”
“COSA?!?”
“Si, sai… Che tipo sei dei pesci e usi questa scusa per fare la zoccola in giro, no?!? La succhiacazzi, insomma.”
“Vaffanculo!! Ma come cazzo ti permetti?!?”
Continuo a ridere, non sento più niente. La vedo con la coda dell’occhio che si gira, mi grida qualcosa e se ne va.
Proprio mentre ripenso al fatto che potrebbe aver avuto ragione sul fatto della giornata nera e su tutti i soldi che avevo perso a poker la vedo tornare con un tizio alto quanto un armadio. Era il terrone più grande che avessi mai visto. Dolcevita aderente nero, jeans strappati molto cozzali con scritte dorate e rosa, orologio enorme. Oh merda.
Si avvicina a un palmo di mano dal mio naso e alitandomi in faccia mi grugnisce “Che cosa hai detto alla mia ragazza?”
Oh porca puttana.
Che cazzo faccio?
“Allora, pallina di merda, cosa cazzo le avresti detto?”
Che può fare un pover’uomo con Saturno contro se non dire la verità? Alzo lo sguardo, lo punto nei suoi occhi e mentre sono pronto ad abbracciare l’oblio gli rispondo: “Che è una succhiacazzi”.
Prima che me ne possa accorgere prende con entrambe le mani le mie spalle e mi solleva pronto a scaraventarmi a terra come un pupazzo.
Forse è stato il sollevarmi troppo velocemente, forse è stato Saturno contro o forse semplicemente oltre due litri di vino in corpo, sta di fatto che inizio a vomitargli addosso tutto ciò che avevo mangiato e bevuto quel pomeriggio.
E’ in quell’istante che mi ricordo come un flash le puntate dei Pokemon che vedevo da piccolo e sento rimbombare nella testa come un mantra la voce di Ash: “SQUIRTLE, USA PISTOLACQUA!!!”.
“Subito” penso.
Un fiotto di roba rosa traccia una parabola perfetta e inzuppa totalmente il troll che mi tiene a mezzo metro da terra. La ragazza inizia a gridare disperata, mi ricordo della sua presenza:
SQUIRTLE USA IDROPOMPA, ADESSO!!”
“Subito”
penso.
Giro la testa a destra e sinistra dandone un po’ anche a lei.
Il tipo mi lascia mentre si mette a grugnire come un cinghiale. Ho appena due secondi per capire cosa fare e inizio a scappare. Vado in fondo al supermercato, supero le transenne e mi chiudo nei bagni riservati al personale.
Bene sono al sicuro. A meno che…
Guardo in basso, sul pavimento c’è una bella striscia di nettare rosa che mi segue fino all’interno del bagno. Merda. La prossima volta userò la Fune di Fuga.
Tempo qualche istante e sento il muflone che arriva e comincia a caricare la porta prendendola a spallate.
“PICCOLO PEZZ’EMMERDA SEI MIO! T’ACCIDC SCHIFOS LURD!!”
Appoggio la schiena contro la porta mi sollevo e punto entrambi i piedi contro il muro.
“TI A’ APRì COM NA COZZ!!”

Sono a mezz’aria difendendo con le unghie e con i denti quella sottile parete di truciolato che mi separa da una morte certa. Nel frattempo continuo a vomitarmi addosso con piccoli singhiozzi, ma vabè.

A intervalli costanti sento l’urto della spallata contro la mia schiena.
Diventa un ritmo ossessivo, simmetrico e terribile. Uno, due, tre… BOM!
Uno, due, tre… BOM!
Uno, due, tre…BOM!

Idea. Mi rimetto in piedi, tolgo la sicura dalla serratura, la mano sulla maniglia. Sono pronto ad aprire e a tirarmi la porta… Ecco l’urto, conta: uno, due, tre… la apro. Mi passa davanti questo blob rabbioso ricoperto di vomito che si accartoccia come un guscio secco urtando contro la parete. La spallata fa rimbombare tutto il muro. Quasi temo che lo stronzo sia morto. Era una spallata epica, non c’è che dire. La grande mamma “quantità di moto” non delude mai.
Resto lì imbambolato davanti questo ammasso di steroidi e frutti di mare ricoperto di un’ottima annata di rosso, indeciso se filarmela via o fargli la pipì addosso.
Lo sento gemere, meglio andar via. Anzi, gli sputo addosso. Ok, basta adesso.
Inizio a correre freneticamente scivolando sulla striscia di vomito che percorre tutto il corridoio del supermercato.
Passo accanto all’astrologa, è lì in ginocchio, si guarda le mani disperata come a cercare un briciolo di senso in tutto questo, piange ed è ricoperta da un delicato velo di schifo rosa. Sembrerebbe quasi di vedere “La Pietà” di Michelangelo.
Prendo il mio carrello, afferro la bottiglia di vino dal carrello della tipa e mi dirigo verso la cassa.

La commessa mi guarda esterrefatta. Non dice una parola. Prende le bottiglie e comincia a batterle alla cassa. Mi guarda e fa: “S-serve una busta?”
“Ah per il…?” Mentre indico con il dito la bocca sporca di vomito.
Faccio un cenno con la testa verso la ragazza in ginocchio nel corridoio.
“No grazie, ho già fatto”.

Esco. Il barbone mi guarda, sorride e annuisce. Ho la sua approvazione.
Bene, qualunque cosa significhi.
Gli porgo altri 5 euro, giusto per ringraziare il karma per com’è andata.

Entro in macchina, metto in moto e mi avvio dagli altri.

“Che cosa cazzo ti è successo?!?”
“In che senso?”
“Nel senso che sei ricoperto di vomito e hai la faccia di chi ha combattuto un bue.”
“Beh, hai ragione. Giochiamo ora.”
“Ma hai perso tut..”
Lo congelo con lo sguardo, mi siedo. Riprendo i miei soldi dai loro posti.

“Dai le carte… E apri un’altra cazzo di bottiglia.”
Mentre sorseggio questo schifo guardo la mano che mi hanno servito: asso e nove.
Questa volta vinco, me lo sento.
Questa volta vinco.

Buon Natale.

Racconto precedentemente pubblicato su Cheesusfried.com QUA

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Rorschach

Studente di ingegneria, lettore di fumetti, bassista occasionale, amministratore e scrittore sconclusionato.
Non credo nelle descrizioni da blogger e quello che leggo su internet, non dovreste farlo neanche voi. Forse. Chissà. Meh. Fanculo.