Ezio
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Se sei vero, fatti vivo.
Ezio continuava a ripetere la stessa cosa a chiunque gli capitasse sotto il naso. “Se ti chiedessi di quantificare nessuno?”. Vallo a capire. Diceva sempre un sacco di cose strane, puzzava di alcol e i capelli gli si appiccicavano alla fronte ogni volta che beveva.
La festa era iniziata da un pezzo quando Giorgina aveva beccato Francis a farsi una sega in bagno. Eravamo passati tutti almeno una volta da quel bagno per guardare le foto di sua madre in costume appese sopra lo specchio e la cosa all’inizio ci aveva fatto ridere parecchio, ma poi Francis era uscito dal cesso con le lacrime agli occhi e i pantaloni incrostati, mi era salito il disagio ed avevo cominciato pure io a bere come una spugna, tant’è che mi dimenticai in fretta di Giorgina, di Ezio e di quell’idiota di Francis che non si chiudeva mai la porta alle spalle. In sua difesa c’è da ammettere che la mamma di Giorgina era davvero una bella figa, ai tempi. Poi passarono gli anni e pure lei appassì come una foglia di lattuga sul lavandino.
Non ricordo che ore fossero, ma ad un certo punto Maggie aveva urlato e la musica si era spenta, qualcuno si era sporto dal balcone e alla fine io e Michi fummo i primi a gettarci giù dalla tromba delle scale per vedere il corpo di Ezio. Che razza di stronzo. Stringeva ancora tra le mani un bicchiere di birra. Si era schiantato su una Porsche in sosta in mezzo ai tigli sfondandole il parabrezza e nell’impatto doveva essersi spezzato il collo. L’intero culo sprofondava tra le lamiere.
Ciao mamma, mi dispiace ma ho di nuovo lasciato i calzini sulla scrivania.
Michi vomitò sulla ghiaia, vicino ad una pozza di sangue che colava dal cofano distrutto. Io mi avvicinai.
Avete mai fatto cadere un vaso? Dico del tipo di quelli belli colorati che la nonna non spolvera mai e che sta sulla mensola della cucina da prima che voi nasceste e sa di piscio di gatto e polvere e guai a toccarlo. Con tutti gli arzigogoli floreali che vanno in frantumi e i sensi di colpa che ti arrossano le tempie.
Gli scostai i capelli unti. Aveva gli occhi chiusi e lo ringraziai per non avermi costretto a fare quella cosa macabra che fanno nei film drammatici quando uno muore e FIUT gli abbassano le palpebre con il palmo della mano prima di esternare una cazzata del tipo ti vendicherò amico mio, lo sguardo carico d’odio oltre il cielo, una falce di luna riflessa negli occhi, la Glock già carica nella tasca interna del soprabito asciutto nonostante la pioggia. Le stronzate alla Jason Statham, così. Non mi erano mai piaciuti i cadaveri. Quando nonna morì (e il vaso era ancora integro, all’epoca) in obitorio ricordo che tutti i parenti stavano lì a massaggiarsela e ad infilarle gioielli tra le pieghe del vestito azzurro. Sapeva di naftalina. Mia nonna non aveva mai portato un vestito azzurro e di sicuro avrebbe preferito riceverle da sveglia quelle carezze. A che cazzo le sarebbero servite adesso?
Comunque.
Non conoscevo bene Ezio. Aveva fatto un volo di 15 metri e l’impatto lo aveva crocifisso all’auto come un Cristo ubriaco. Mi chiesi se era vero ciò che si diceva, che quando uno si butta da un palazzo poi cambi idea a metà strada.
Venne la polizia e fu un tale caos di gente che si accalcava al cesso per scaricare la roba. Eddie il Folletto mangiò tanto di quel fumo che dovemmo sbatterlo su un divano e imbottirlo di noccioline e succo all’arancia. La mattina dopo non si sarebbe ricordato nulla.
La polizia ci trattenne tutta la notte nell’appartamento che sapeva di vomito, interrogò i presenti, scattò qualche foto e se ne andò con un’ambulanza e i resti schifosi del ragazzo in un sacco nero.
Maggie non la finiva più di piangere.
Ezio era andato in frantumi e i suoi pezzi volarono addosso un po’ a tutti.
Sulla balaustra, prima di gettarsi, aveva scritto con un pennarello una roba che mi uccise:
“Magari domani succede qualcosa di carino”.
Vallo a capire.
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