Cangelo & Gatti degli Apostoli ESPERIMENTI LETTERARI

Cangelo & Gatti degli Apostoli: Capitolo III – De cursu Senensis

Scritto da Cane Nudo

Capitolo III – De cursu Senensis

 

ANGVIS DOCET:

I cavalli non sono persone orribili, non sono nemmeno persone.

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Chiarirò da subito una cosa: questo quaderno – o diario, come volete – non è nato per sbeffeggiare gli esponenti del mondo animale. Se qualche malpensante mal pensò, pensò sostanzialmente male.

Questo perché? Ebbene, ho già ricevuto le prime critiche da una mia vecchia conoscenza: Professor Clòppete mi ha scalpitato il suo disappunto al telefono mentre ero intento a riascoltare quel famosissimo disco dei Macha, quello nel quale plana sulla copertina celeste un cerbiatto alato – così lo definisco, nella mia ignoranza, ma sicuramente si tratta di una creatura diversa. Ho cercato di discutere con lui, ma il tentativo è andato a vuoto appena gli ho chiesto: “Mi fa piacere risentirti! Da quanti anni non ci vediamo?”. Mi sono stancato di sentirlo contare e ho riattaccato, maledicendomi. Questa coppia di animali, tuttavia, mi porta alla mente un episodio ben preciso della mia vita, collegato ad una già ben famosa favola.

Alcuni miei lontani parenti, dei quali ho perso da molto i contatti, possedevano tempo fa un minuscolo podere sulle colline al nord della Toscana, isolato, a metà strada tra il paese di Scrotobello e i campi del piccolo borgo Nuova Trombetti: ho passato almeno tre o quattro estati, assieme alla mia famiglia, ad oziare sui prati di questo piccolo paradiso. Qui amavo passeggiare con Professor Clòppete, appunto, un anziano cavallo con il quale creai un legame molto forte che però andò disfacendosi nel tempo a causa della lontananza, proprio come spesso capita con gli amici umani creati durante una vacanza.

Io ed il professore parlavamo molto: io gli insegnavo a contare, lui mi scalpitava storie. Una di queste, in particolare, correggeva una delle famosissime favole di Stesicoro: “Mai fidarsi della memoria di un citaredo poiché è spesso avvezza alla dimenticanza, volontaria o involontaria” mi ripeteva sempre, nonostante ancora non potessi capire ciò a cui stava alludendo. L’anziano amico equino vantava di avere avuto, tra i suoi antichissimi avi, uno dei due protagonisti, da qui dunque la sua sicurezza sull’argomento. Così batteva sul terreno:

“Ci fu un tempo, quando tutto già era cominciato, ma ancora doveva prendere forma, in cui cerbiatti e cavalli vennero a scontrarsi assai aspramente. Entrambi ritenevano di essere la più bella e veloce razza di quadrupedi ungulati, e riguardo a ciò nessuno osava tirarsi indietro o usare la diplomazia: solo una di esse avrebbe potuto prevalere in modo assoluto, portando massima vergogna sull’altra. Decisero dunque di ricorrere, dopo un lungo discutere e litigare, a una sfida tra due campioni scelti: colui che si sarebbe dimostrato più veloce avrebbe subito sancito la superiorità della sua razza. Il caso volle che questa aspra diatriba fosse molto forte presso la zona che oggi ospita l’odierna città di Siena, sede di un piccolo villaggio di bruti, e al campione equino venne in mente un’idea: dopo svariate ambasciate andate a vuoto, poiché i senesi sembravano non riuscire a comunicare se non attraverso urla e botte da orbi, i cavalli marciarono sul villaggio e lo conquistarono a morsi e pestoni. Fatto ciò costrinsero ad uno degli uomini, il più basso, a cavalcare il loro campione e portarlo alla vittoria: solo grazie alla guida di un umano e alla sua imposta disciplina si sarebbe, infatti, assicurato l’esito favorevole della gara. Arrivò il giorno della gara: il fantino si presentò ubriaco, costrinse il cavallo a diverse iniezioni di sostanze ignote a tradimento e, partito, si lanciò cavalcando contro il cerbiatto, atterrandolo e spezzandogli la colonna vertebrale.

Così nacque il Palio di Siena, le contravvenzioni per la guida in stato d’ebbrezza e il ragù di cerbiatto. Il popolo senese insabbiò tutto e accusò il fantino di avere origini sarde.

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Clicca qua per il prossimo capitolo: Collyra o de cretinorum cena.

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