Se quella che sta per cominciare fosse semplicemente una storia, sarebbe semplice spiegare di cosa si tratta. Ma questo è un viaggio da una costa all’altra attraverso le 21 lettere dell’alfabeto. Un viaggio diviso in tre parti, ogni parte “conta” sette lettere.
In fin dei conti è uno schema, un adattamento a uno stile di vita: la paura di non riuscire più a mettere un piede dopo l’altro.
Alfabeto
Parte II – Arrivo
L come Lotta
Credo che la cosa che più accomunava me e Felicita era la capacità di aspettare senza spazientirsi. Quando ci conoscemmo io ero già impegnato e quando notai un interesse verso di me nei suoi occhi cominciai a trattarla con maggiore freddezza e un pizzico d’indifferenza. Giocavamo una sorta di partita a scacchi in cui lei mi lanciava ripetuti attacchi frontali ed io rispondevo alzando ancora di più le difese, rifugiandomi in torri sempre più alte e inutili perché i miei alfieri perirono miseramente e i cavalli si ritirano con la coda fra le gambe, spaventati dallo sbaragliamento della schiera dei pedoni.
Poi quando la mia regina gettò la spugna per la mia troppa indifferenza, rimanemmo io e lei, Regina e Re. Lei fece scacco, matto.
La prima volta che restai a dormire a casa sua fu quasi un caso. Lei viveva con altre persone del nostro gruppo, gli ostelli erano tutti pieni, gli alberghi erano troppo per le mie tasche, l’alternativa era la stazione e quando lei lo scoprì quasi mi obbligò a restare.
Poi decisi di restare in quella casa, decidemmo di essere coinquilini, ma un giorno, semplicemente, cambiò la qualità della nostra relazione.
Da amici diventammo amanti.
Non l’immagine da film di due amici che si ritrovano, al mattino, nudi chiedendosi cosa sia accaduto la notte prima. Il nostro fu il naturale avvicinamento di due corpi. Ai nostri amici non dicemmo nulla, eravamo un gruppo di due all’interno di un gruppo molto più grande.
Poi, i nostri amici cominciarono a leggere i nostri silenzi, a guardare i nostri gesti trattenuti come quando ci davamo un bacio sulla guancia e quasi ci sfioravamo le labbra.
“Mi dici cosa c’è te fra te e Felicita?” Andrea, il mio amico di sempre.
Abitavamo assieme in quella cloaca a cielo aperto che nel resto della città si ostinavano a chiamare quartiere popolare. Sapevo che alla fine mi avrebbe fatto una domanda del genere e quando me la fece, ugualmente sbiancai.
“Le voglio bene, tanto. Ma fra di noi non c’è altro.” Impiegai circa mezz’ora per mettere assieme queste quattro parole. Ma Andrea non ci credette e nei giorni seguenti cominciò a chiedermelo ogni volta che eravamo da soli, e di certo le occasioni non mancavano fra gli allenamenti e le serate passate nei bar di quart’ordine della nostra zona. Solo che a un certo punto la relazione fra me e Felicita era così palese che non potei più negarla, soprattutto a lui e fu davanti a uno di quei bar che mi interrogò finché non gli dissi tutto di Felicita.
“Ma voi siete così amici, com’è potuto succedere?”
“Stai da mesi a dirmi che c’era qualcosa di più fra me e lei, mi hai messo la pulce nell’orecchio.”
“Adesso è colpa mia?”
“No, non è colpa tua, anzi, forse tu mi hai fatto vedere.”
“Vedere?”
“Sì, forse ero solo cieco e non riuscivo a vedere quello che era chiaro per tutti, soprattutto per lei. Ci siamo baciati.”
“Vi siete baciati a occhi aperti?”
“No, idiota.”
“E allora che hai visto?”
“L’epidemia, quando ci siamo baciati per la prima volta, è stato come se quel momento lo aspettassimo da tempo entrambi.”
“Alcune volte non ti capisco.”
“Solo alcune?”
Appena Andrea si offese decisi di cambiare discorso.
“Sai chi ho incontrato l’altro giorno per strada?”
“No, non lo so.” Rispose Andrea palesemente stizzito.
“Faccia di pesce.”
“Che cornuto!” Esclamò sorridendo sotto i baffi.
“Ti ricordi quando stavamo su quel motorino mezzo rotto, incontrammo lui e Francesca su un altro motorino che litigavano?”
“Sì, che coppia di idioti e mi ricordo pure che mi facesti scendere per far salire lei.”
“Ed io mi ricordo tutte le bestemmie che mi mandasti contro.”
“Mi lasciati con quell’idiota di faccia di pesce.”
“Pensavo che avreste potuto diventare amici.”
“Infatti, sì, avrei potuto chiedergli se l’amo è doloroso.”
Scoppiò in una grossa risata, dimenticandosi quasi subito dell’offesa. Forse, dovevo sentirmi meno superiore rispetto ad Andrea. Aveva un ingegno formidabile, solo che non riusciva a utilizzarlo nei discorsi quotidiani ed io, invece di aiutarlo quando parlavo con lui, non con l’intenzione di offenderlo, ma quasi a livello inconscio, tendevo a usare un lessico e un alfabeto per lui ostici.
Non potevo semplicemente dirgli che mi ero innamorato di Felicita e che lei ricambiava, gli ho parlato di epidemia quando potevo benissimo dirgli che quello che si era creato con Felicita era così forte che anche quando incrociavamo un passante lui capiva che eravamo innamorati, perché proprio il maggiore indizio che fra me e Felicita ci fosse qualcosa di forte era il nostro continuo guardarci.
A volte mi sembrava di sprofondarci, negli occhi di Felicita.
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