È questo l’Islam che fa paura
Autore: Tahar Ben Jelloun
Dopo l’attentato a Charlie Hebdo dell’8 gennaio 2015, in molti hanno tentato di dare risposte ad un Occidente ferito e minacciato in uno dei più robusti, almeno teoricamente, capisaldi della sua storia: la libertà di parola. Il mondo intellettuale ha tentato di rispondere a questo clima di forti ansie e paure con l’affollamento di rappresentanti del mondo islamico nei salotti televisivi e l’inserimento nelle librerie di una schiera di saggi scritti, più o meno da tutti, sull’argomento.
Anche io sono stata coinvolta in questo clima di allarmismo e ho ceduto alle lusinghe di questo saggio, prevalentemente per il nome dello scrittore: Tahar Ben Jelloun, un nome molto più esotico rispetto a quelli della schiera sopracitata; ingenuamente mi aspettavo, dunque, risposte interne dal mondo dell’Islam, fin dalle prime pagine, però, l’autore rivendica la sua libertà religiosa e decide di non condividere la sua fede.
La principale domanda alla quale questo libro vuole rispondere è se l’Islam sia per sua natura antidemocratico e violento, come gli ultimi fatti di cronaca dimostrano, e saggiare la responsabilità dell’Occidente e dei paesi del Golfo. Questi sono i due temi principali della prima parte del libro, la quale è articolata con una formula dialogica, un colloquio tra lo scrittore e la figlia, francese di origini musulmane.
Ben Jelloun definisce l’ISIS come una forza capace di trasformare l’istinto di vita in istinto di morte, e tale forza viene identificata dall’autore come un prodotto in parte creato dai paesi ex coloniali e dai loro trascurati rapporti con la seconda generazione di migranti, i quali, cresciuti in periferie abbrutite e abbrutenti e nel completo vuoto culturale, hanno trovato nell’Islam estremista una risposta alla loro ricerca d’identità.
La seconda parte del saggio è un’appendice, ricavata dall’autore da articoli scritti e pubblicati nel periodo 2012 e 2015. All’interno si raccolgono riflessioni riguardanti il mondo islamico, come le primavere arabe, le barbarie del movimento criminale Boko Haram, la controversa personalità del presidente siriano Bashar Al-Assad, i pensieri partoriti subito dopo l’attentato nella redazione di Charlie Hebdo e l’importanza della lettura allegorica del Corano, una lettura “razionalista” che contempli metafore, allegorie, simboli ed interpretazioni, diversa da quella pedissequamente letterale incoraggiata dal Wahhabismo e dall’ISIS.
La fortunata forma padre-spiega-a-figlia, inaugurata proprio dall’autore con il celeberrimo Il razzismo spiegato a mia figlia forse qui risulta un po’ semplicistica per questo tema, e, diciamocelo, visti i precedenti, anche poco originale. Le varie sezioni del saggio sono prese da articoli già precedentemente scritti dall’autore, ne risulta quindi, nella parte finale, una specie di collage abbastanza disorganico per qualcosa che si propone come un’opera divulgativa. Lo stesso autore specifica che il continuo sviluppo circolare delle sue idee all’interno dei vari articoli non può nuocere alla comprensione del lettore, ma il risultato che ne deriva è disorganico e poco accessibile a chi ha poche e confuse conoscenze su questi argomenti.
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