Raggiungere il Nirvana
1 MARZO 1994
Fuori, sulla veranda, erano addossate una accanto all’altra grosse scatole colme di libri e vestiti, aperte. Un piccolo cane a pelo corto, bruttino, col muso sporco e un’orecchia, la destra, mozzata, le annusò sospettoso prima di pisciare noncurante sulla copertina consumata di Gluey Porch Treatments.
Soffiava una brezza calda da ovest e la porta di casa cigolava rumorosamente sui cardini arrugginiti.
Lui guardava la scena senza interesse. Vedeva le cose, sentiva il vento scompigliargli i lunghi capelli biondi e poteva avvertire i piccoli movimenti della natura che si muoveva intorno a lui, ma senza percepire completamente la realtà della situazione.
Viveva la scena in terza persona, osservando dall’alto quel triste cumulo di oggetti come un merlo che controlla a distanza il suo piccolo nido prima di planarvi dolcemente in un fruscio di ali.
“HEY RAGAZZONE…”
Quella vocina familiare, nella sua testa…
“HEY, RAGAZZONE, IN PIEDI.”
La strada cominciò a sfumare sotto ai suoi piedi e, in un tremolio di luci che si accendono, il sogno svanì così com’era venuto, allontanandosi silenzioso come un serpente che striscia nella sua tana tra i cespugli.
“EHILÀ, PRINCIPESSINA. CI SIAMO FATTI UNA BELLA DORMITA, EH? COS’ERA QUELLA ROBA? CASA TUA DA BAMBINO. AMMAZZA, IL RE DEL PUNK COSI SENTIMENTALE, QUESTO È ORO COLATO PER I GIORNALISTI LA FUORI! AHAHAH!”
Si stringe forte la testa con le mani, senza aprire gli occhi. Non ancora. Vuole imprimere quell’immagine nella testa, ma questa scorre via e si perde nei recessi del cranio, prima di uscire di soppiatto da un buco nell’orecchio.
“Era proprio il caso di svegliarmi a quel modo?”
Scivola giù dalla brandina e rimane qualche istante a fissarsi le mani. 10 unghie mangiucchiate lo fissano bianche e immobili. Si rizza in piedi ed un rigurgito dal forte sentore di birra gli sale alla bocca.
Corre al cesso e vomita rumorosamente.
“HEY, CHECCAZZO, QUESTO FACEVA SCHIFO.”
Pulisce la bocca dalla bile con un pezzo di carta igienica.
“Tutto a posto amico, lasciami 5 minuti.”
“ABBIAMO TUTTO IL TEMPO DI QUESTO MONDO,” sogghigna la vocina.
“IO NON VADO DA NESSUNA PARTE.”
La stanza è illuminata da grandi luci al neon poste in cima all’alto soffitto, una in fila all’altra. Un forte odore di vomito e cibo stantio permeano l’aria, i crampi allo stomaco lo divorano di nuovo e, come se non bastasse, un altro conato lo assale. Tossisce forte reggendosi allo stipite della porta.
“BENE. MI SEMBRI UNA MERAVIGLIA. QUAND’È STATA L’ULTIMA VOLTA CHE CI SIAMO FATTI UNA DOCCIA?”
“Stai zitto, coglione, non mi aiuti”.
Siede alla bassa scrivania di formica tutta intagliata da graffiti osceni e membri stilizzati. Apre un cassetto ed estrae una busta di erba.
“COMINCIAMO A RAGIONARE.”
Il fumo gli sale alle tempie, e il biondo si accascia sul divanetto. I crampi svaniscono. Sbuffa felice.
Tossisce.
Aspira. Trattiene. Sbuffa.
Tossisce.
Non sente più i dolori allo stomaco.
E anche quella maledetta vocina si è tranquillizzata
“MI GODO IL MOMENTO.”
Aspira. Trattiene. Sbuffa.
Tossisce.
Questa volta più forte.
Tossisce ancora.
Un piccolo fiotto di sangue sgorga ad un angolo della bocca.
Si asciuga con la manica della camicia, abbandona la canna ancora accesa sul posacenere. Sputa bile, saliva e sangue sul tappeto.
“Si va in scena”.
“PUOI DIRLO FORTE.”
—————
Mancano dieci minuti e il biondo ancora non si vede. Dave, alla batteria, rosicchia nervosamente le unghie della mano sinistra e gratta via dai piatti delle piccole macchie di ruggine. Un coro di ragazzine sudate urla e strepita all’indirizzo del palco.
–Sarà il caso di andarlo a chiamare?- chiede Dave.
-Aspettiamo ancora qualche minuto-
-Ma Krist, perdio, mancano dieci minuti e lui ancora…-
-TI HO DETTO CHE ASPETTIAMO, CAZZO!-
È nervoso, Krist. Dave non insiste. Il biondo ultimamente è strano. La tosse. I frequenti crampi allo stomaco. La pressione della stampa. Quelle sue continue sfuriate. Anche con le chitarre qualcosa sembra non andare. Quel pezzo finale dove si volta verso il pubblico e schianta la chitarra sul pavimento. Molto punk. La violenza piace. Ma da qualche tempo è diverso. Non è l’adrenalina del concerto. Non è più un effetto scenico come altri. C’è disperazione. C’è rabbia e dolore. Le riduce a brandelli, quelle maledette chitarre.
Le polverizza, ci si accanisce, e solo i crampi allo stomaco lo fermano.
E quelle dannate droghe.
Non che Dave o Krist disdegnassero, ma diamine, c’era un limite ad ogni cosa, soprattutto ora che avevano cominciato a tirare su i soldi veri.
Ma il biondo niente.
Il biondo veniva da un mondo tutto suo.
E più la gente lo acclamava, più lui si chiudeva in sé stesso.
Attraversava una piccola porta nella sua testa, chiudeva a chiave e non lasciava entrare nessuno
Court, sua moglie, ormai non era nient’altro che un impiccio per i manager, sempre troppo fatta per poter stare sul palco.
Ma al biondo, guai a toccargli la mogliettina.
E poi c’era la bambina.
Frances, la piccola Frances. Solo lei sembrava aver riportato il sorriso sul volto del biondo.
Ma era come porre una trave di legno sui binari e tentare di bloccare un treno impazzito. Il treno avrebbe spezzato la trave e proseguito imperterrito la sua folle corsa. O peggio, avrebbe deragliato, uscendo dalle rotaie e travolgendo il mondo intorno a lui, lasciando dietro di sé solo un’atroce scia di ferro e sangue e devastazione.
—————
Krist, immerso nei suoi pensieri, impiega qualche secondo ad accorgersi che Dave lo sta chiamando.
-Krist! Krist, porca puttana!-
-Dimmi.-
-È ora, cazzo.-
Il biondo è lì, sorride. Indossa una maglietta bianca con un disegno colorato stampato sul fronte, i soliti jeans sbiaditi, la barba incolta e i lunghi capelli lisci che gli piovono sulle spalle.
Ha già la chitarra in mano e sta strimpellando sulle corde per ascoltarne il suono. Rimane un attimo concentrato, aspira. Ha gli occhi rossi, ma sembra lucido. Il suono sembra soddisfarlo, espira ed alza i tristi occhi azzurri su di lui.
“Facciamogli mangiare un po’ di merda a questi stronzi.”
3 MARZO 1994
Ancora quel bastardino. Stava pisciando contro una transenna arrugginita, noncurante del capannello di adolescenti seduti proprio li accanto. Un meraviglioso profumo di erba saliva alle narici del ragazzino più piccolo, capelli biondi sporchi e unti, che fissava estasiato gli amici noncurante del puzzo di melma e sudore. Si trovava ad un concerto, i Melvins.
Ma c’era qualcuno la sul palco, accasciato per terra, proprio di fronte alla batteria. Nessuno sembrava essersi accorto di lui.
Il ragazzino si alzò di scatto.
-Hey! AIUTATELO!-
Nessuno faceva caso al tipo svenuto sul palco, una cintura stretta al braccio, né al ragazzino biondo che cercava di attirare su di lui l’attenzione.
Ballavano tutti, spiritati, le braccia volte al sole e le pupille ridotte a capocchie di spillo che fissavano un punto in alto nel cielo.
Il ragazzino alzò anche lui lo sguardo e in quel preciso istante una nuvola bianca, enorme, cadde sulla sua testa, e la terra si riempì di luce…
1 APRILE 1994
La notte è fresca, il cielo terso, si vedono le stelle alte nel cielo. Non soffia un filo di vento e il biondo osserva la spirale di fumo della sigaretta che sale roteando verso le stelle.
Una infermiera grassottella, dal viso pulito e con due lunghe trecce che le scendono lungo la schiena fa capolino dalla porta d’emergenza.
-Tutto bene?- chiede con tono gentile sorridendo benevola all’indirizzo del ragazzo biondo, pallido ed emaciato che fuma una sigaretta appoggiato al muro esterno della clinica.
-A meraviglia- sorride il ragazzo.
-Se ha bisogno di qualcosa non si faccia problemi…- dice ancora l’infermiera, prima di accostare la porta e lasciare nuovamente il biondo alla sua solitudine.
“TI TENGONO D’OCCHIO. FICHISSIMO.”
Stringe forte le mani sulle orecchie.
“POTEVI CHIEDERLE DI SCOPARE. NON ERA MALE. IO ME LA SAREI FATTA. CERTO, TUTTO QUEL GRASSO SUI FIANCHI NON DEV’ESSERE IL MASSIMO, MA QUELLE TRECCINE… MM… COMINCIO GIÀ AD ECCITARMI…”
“Smettila, ti prego.”
“TU CHE PREGHI ME? AHAHAH, QUESTA ME LA DEVO SEGNARE, HAI CARTA E PENNA?
ANDIAMO, RAGAZZONE, CHE FINE HA FATTO IL BASTARDO INCAZZATO E VIOLENTO CHE SPACCAVA CHITARRE E VOMITAVA BIRRA NEI CAMERINI?”
“Ho solo bisogno di riposare.”
“DAI, ADESSO TIRAMI FUORI LA CAZZATA DELLO “STARÒ MEGLIO”
AHAHAH
ASPETTA, FACCIAMO UN PICCOLO SUNTO, COME QUANDO AVEVAMO 12 ANNI, TI RICORDI?
AH, BEI TEMPI QUELLI.
10 OVERDOSE, TRA IL 1990 E OGGI. CORREGGIMI SE SBAGLIO.
TRE RICOVERI PER DISINTOSSICAZIONE.
IL CONCERTO AL SATURADY NIGHT LIVE. QUANTO RISI QUELLA SERA. NON SO SE ERO PIÙ FUORI IO O TU. DIO QUANTO HO BALLATO…”
“Basta…”
“BEI TEMPI QUELLI. 400 DOLLARI AL GIORNO PER SBONBALLARSI. FACEVAMO PROPRIO LA BELLA VITA…
AH, E IL CONCERTO DEL ’93 A NEWYORK? QUANDO COURT TI FECE QUELL’INIEZIONE PROPRIO DIETRO AL PALCO?
BENEDETTA RAGAZZA, CHISSÀ DOVE SAREMMO ADESSO SENZA DI LEI.
E POI, IMBOTTITI DI NALOXONE, CI SIAMO FATTI LA PIÙ BELLA ESIBIZIONE DI SEMPRE.”
“Già, bei tempi…”
“VEDI CHE TI RICORDI?”
“Certo che me lo ricordo, c’ero io su quel palco.”
“C’ERAVAMO TUTTI E DUE…
OOH ANDIAMO CAZZO
NON TI MANCANO QUEI TEMPI?
QUANDO LA FIGA ARRIVAVA A FIUMI E CI SAREMMO SPARATI ANCHE LA VITAMINA C SE L’AVESSERO DICHIARATA ILLEGALE!”
“Che fai, mi citi Welsh?”
“BRAVO, VEDO CHE RISPONDI AGLI STIMOLI.
OH ANDIAMO, CHE DIAMINE CI FACCIAMO IN QUESTO POSTO?
COME DIAVOLO TI E’ VENUTO IN MENTE DI FARCI RINCHIUDERE QUI DENTRO…?”
“Basta!”
Si gratta la testa furiosamente. Quella vocina. Come un prurito tra la gola e il timpano, in quel punto ignobile dove mano nuda non può arrivare, e non resta che ingoiare saliva ed aspettare che passi. Aspettare che passi.
“ANDIAMO. SONO CON TE DA SEMPRE E VUOI MANDARMI VIA COSÌ, COME QUELLE PUTTANE CHE TI RITROVAVI TRA LE LENZUOLA NELL’89 E NON SAPEVI SE CACCIARLE A CALCI O CHIAMARE LA SICUREZZA.”
“Aiutami…” singhiozza il ragazzo
“MA GUARDATI, SEI DISTRUTTO. QUESTO POSTO TI STA RISUCCHIANDO L’ANIMA E TU GLIE LO LASCI FARE.
ANDIAMOCENE”
“Non possiamo… non posso… io…”
“OH MA SMETTILA. IO E TE POSSIAMO TUTTO.”
“Devo stare qui… io devo guarire… non mi faranno più rivedere Frances… e Court…”
“FINISCILA CAZZO.
ANDIAMOCENE.
TAGLIAMO LA CORDA.
QUELL’INFERMIERA PANZONA CI METTERÀ ANNI A CAPIRE CHE CE LA SIAMO SVIGNATA.
ANDIAMO.
TIRA FUORI LE PALLE.
TI RICORDI, QUANDO QUEI QUATTRO SBIRRI DI MERDA CI BECCARONO A RIEMPIRE DI GRAFFITI I MURI DI ABERDEEN?
SARA’ STATO L’85…
TI RICORDI? CHE QUEI BASTARDI VOLEVANO RIEMPIRCI DI CALCI, MA NOI CI SENTIVAMO COSÌ FORTI, COSÌ SUPERIORI, CHE NON LA FINIVAMO PIÙ DI INSULTARLI, E DOVETTERO CHIAMARE LA CAMIONETTA PER PORTARCI VIA.
EH?
TI RICORDI?”
Un bastardino è rannicchiato su un angolo del giardino e rosicchia con gusto un piccolo osso di pollo. Osserva quel tipo biondo scuotere la testa, gettare una sigaretta per terra e dirigersi spedito verso il muro del giardino.
Spicca un salto, si aggrappa alla cima e lascia penzolare i piedi nel vuoto per qualche istante, prima di issarsi in alto e scavalcare l’alto muro con un balzo.
Il bastardino, con un orecchia mozzata, la destra, e il muso sporco di pollo, resta per un istante ancora a fissare il punto in cui il tipo è scomparso.
Forse avrebbe dovuto chiamare aiuto.
Avrebbe dovuto.
Ma lui è un cane.
E i cani non interferiscono con le faccende umane.
Quindi riprende a dedicare ogni sua attenzione all’osso di pollo, ormai ridotto in briciole.
5 APRILE 1994
Steso sul pavimento si gode il silenzio della casa vuota e, di tanto in tanto, manda giù una pasticca di Valium, accompagnandola con qualche sorso di buon Whisky.
È un po’ ubriaco e i farmaci gli fanno girare la testa, quindi rimane sdraiato a godersi il fresco delle mattonelle sulla schiena nuda.
“NIENTE MUSICA?”
“Niente musica.”
“ANDIAMO, CANTAMI UN PO’ I RAMONES.”
“Ho detto niente musica.”
Ingoia un’altra compressa, la voce si acquieta, e rimane a fissare l’alto soffitto buio fino a quando gli occhi non si chiudono, e cade in un profondo sonno senza sogni.
—————
Si sveglia che è già notte
“CHE DICI, USCIAMO A FAR CASINO?”
Si alza in piedi ignorando la vocina, e comincia a prepararsi una siringa.
Lenta, una solitaria lacrima scorre sul suo viso e si scioglie su una guancia.
La roba che bolle nel cucchiaino. Un laccio nuovo di zecca stretto attorno al braccio. Sente la botta che sale, si accascia a terra e torna a fissare il soffitto.
“DA QUANDO IN QUA MI IGNORI?
NON ERAVAMO VENUTI FIN QUAGGIU’ PER DIVERTIRCI UN POCHINO?
LONTANO DAL MONDO, LONTANO DA TUTTI…”
“Lontano da tutti…”
“ANDIAMO, CANTAMI QUALCOSA.”
“Basta. Non sentirai più musica uscire da questo corpo. Nessuno sentirà più musica uscire da questo corpo”
Si gira sulla pancia, la roba l’ha rimesso in sesto.
Afferra una penna e un pezzo di carta.
Scrive veloce, frenetico, non stacca mai la biro dal foglio. La calligrafia è minuta, i pensieri corrono rapidi e lui li coglie tutti, come un bimbo avido che si attacca al seno della madre e succhia fino a sentirsi male.
“VACCI PIANO, BIONDO, NON TENGO IL PASSO.”
“Non mi distrarre”.
“E TU NON TRATTARMI COSI. NON SONO LA TUA PUTTANA.”
Finisce di scrivere. Poggia la penna per terra e si infila il foglio in tasca.
Osserva il vuoto per qualche istante.
“Sai”, esordisce, “Mi hai proprio stufato.”
“AHAHAH, BEH? CHE SAREBBE ‘STA STORIA?”
“Mi hai stufato tu, le tue parole velenose, le tue cattiverie gratuite”.
“CATTIVERIE GRATUITE? CHI È CHE INFA…”
“DEVI AZZITTIRTI! PER UNA BUONA VOLTA, CHIUDI QUELLA CAZZO DI BOCCA E ASCOLTAMI! Mi hai stufato, devi andartene, questa volta davvero! Ho fatto solo cazzate, ed è tempo di rimediare. Non posso più permettere che né te né nessun altro continuiate ad interferire con la MIA vita. Vattene, e non tornare mai più”.
“AHAHAH, E DOVE VUOI CHE VADA?”
Ne ha abbastanza, il ragazzo biondo.
I lunghi capelli sono sporchi e unticci, avrebbero bisogno di una lavata. Si siede, incrocia le gambe, prepara un’ultima pera.
La botta sale ancora, forte, potente.
Un brivido gli corre lungo la schiena.
“BEH? FAI DIVERTIRE ANCHE ME O COSA?”
Ma il ragazzo ha attraversato una piccola porta nella sua testa, ha chiuso a chiave, e non fa entrare nessuno.
Il silenzio totale.
Nessuna ragazzina che urla il suo nome.
Nessuna voce superflua.
Nessun manager che lo rimprovera per i jeans strappati.
Nessuna musica.
Nessun suono.
Vuole il silenzio completo.
Vuole poter sedersi sul pavimento a gambe incrociate e non sentire altro che il rumore del battito del proprio cuore.
“EHILÀ? CI SEI ANCORA?”
Scatta in piedi.
Corre verso il garage.
Un tubo.
Anzi no.
Una lametta.
Gli serve una lametta.
O comunque qualche cosa di acuminato.
Raschierà quella voce come una crosta su un muro.
Gratterà via dalla sua gola quel fastidioso prurito.
Non avrà più bisogno di scappatoie.
Basta con l’ero.
Basta siringhe.
Basta Valium e antidepressivi.
“NON FINIRÀ COSÌ“.
Ha ragione lei.
Ancora una volta.
Non è abbastanza.
Deve spegnere quella voce una volta per tutte.
Accende la luce e si guarda intorno.
Il Remington di Dylan.
Riposa lì, immacolato, ancora nella sua lucida scatola nera.
Apre la scatola e lo osserva brillare alla luce fioca dello stanzino.
“CHE CAZZO DI INTENZIONI HAI?”
Si siede, la schiena appoggiata al bancone da lavoro.
“HEY, BRUTTO COGLIONE, CHE CAZZO PENSI DI FARE?”
“Raggiungere il NIRVANA.”
8 APRILE 1994
Il signor Smith, parcheggiato il furgoncino sul ciglio della strada, si avvicinò fischiettando verso la grande villa di mattoni al numero 171 di Lake Washington Boulevard, Seattle. Giunto al cancello, suonò quattro volte il citofono, senza ricevere risposta.
-SIGNOR COBAIN! SIGNOR COBAIN E’ IN CASA? SONO L’ELETTRICISTA!- urlò
Che andassero al diavolo, queste rockstar maledette.
Affidabili come un ebreo di fronte ad una collana di diamanti.
La porta del garage era aperta e il signor Smith, avvicinatosi, attese qualche minuto.
-SIGNOR COBAIN?- provò ancora.
Nessuna risposta.
Infilò la testa nel garage buio.
Un terribile odore di alcol e uova marce gli inondò le narici.
Accese la piccola lampadina appesa al soffitto.
Steso supino, Kurt Cobain sembrava dormir profondamente, immerso in silenziosi sogni la cui memoria è andata perduta come spirali di fumo che muoiono roteando all’indirizzo delle stelle.
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