In Erasmus ci si ambienta subito, mi avevano detto. Mai parole sono state così vere. Sono a Stoccarda da una settimana, ma per la quantità di cose che mi sono successe mi pare di essere qui da un mese. Non ci si ferma mai: neanche a sedici anni ho mai avuto una vita sociale così intensa. Le prime persone che ho incontrato sono stati i miei coinquilini: una ragazza greca, Agathe, e due ragazzi tedeschi, Gabriel e Jochem.
Agathe mi fa quasi da seconda madre, cucinandomi ottimi piatti di verdure che mi aiutano a dimenticare la desolazione del cibo tedesco. Jochem parla un ottimo inglese, ma altrettanto non è per Gabriel: tra il mio tedesco ancora scarso e il suo inglese stentato, le nostre conversazioni sono divertentissime.
Il gruppo dei ragazzi Erasmus ed Overseas è eterogeneo e divertente. Ho subito incontrato Emma, che si è rivelata essere una sorella nascosta: io e lei siamo state immediatamente ribattezzate party girls per la nostra voglia di festeggiare. Mi pare impossibile credere che qui sono famosa come la festaiola del gruppo: in Italia era tutto così diverso, mentre in Erasmus si ha la possibilità, davvero, di costruirsi una nuova identità. E paradossalmente tutto questo mi rende così… me stessa.
Stasera abbiamo deciso di trovarci in centro: ancora non conosciamo bene il campus, e di conseguenza ci incontriamo per lo più in città. L’appuntamento di stasera è al Casanova, pub in centro città.
Non voglio arrivare in ritardo anche nelle prime uscite e fare immediatamente la figura dell’italiana perennemente in ritardo: memore dell’avventura per arrivare a Stoccarda, decido di conseguenza di studiare bene la strada del Casanova prima di addentrarmi per le vie di una città che non conosco.
Scelgo un paio di jeans e una maglia che mi piace, un velo leggero di trucco ed esco di casa con strana calma. Nel gruppo di amici che mi appresto ad incontrare ci sono Guillaume e Mathieu, francesi sempre pronti a fare festa, Paco, un portoghese con la passione per le armi e uno strano senso dell’umorismo, ma che si è immediatamente fatto voler bene, e Ramon, uno spagnolo con la passione per il cinema. Salgo sull’autobus ascoltando i R.E.M., Uberlin.
«Hey now, take the U-bahn, five stops, change the station…»
La voce di Michael Stipe è perfetta per accompagnare il viaggio e si intona perfettamente con il mood ancora invernale della Germania.
«Hey now, don’t forget, that change will save you…»
A proposito di cambi… quella è Charlottenplatz, e l’autobus non si è fermato.
Il bellissimo piano di viaggio si sgretola ancora una volta nella mia mente, per la seconda volta in due mesi.
Scendo alla fermata successiva, correndo velocemente nella direzione opposta. È inutile, a quanto pare noi italiani abbiamo un’essenza che non si riesce a negare. Arriviamo in ritardo.
Come se non fosse bastata l’avventura del viaggio di andata, il mio senso dell’orientamento ha deciso di tradirmi ancora. Edifici imponenti mi guardano minacciosi da un lato e dall’altro della strada, mentre non ho la minima idea della direzione da prendere.
Ok, calma, Ishiki, si tratta solo di decidere se attraversare la strada o meno.
Tanto la tua decisione sarà irrilevante, perché ormai ti conosci: qualunque cosa sceglierai, sarà comunque nella direzione sbagliata.
Attraverso esitante le due carreggiate, muovendo piccoli passi sulle linee zebrate che solcano l’asfalto.
Sono arrivata in una via che mi sembra animata e colorata, con il pavimento lastricato di marmo e un via vai di gente che lascia ben sperare. Il cartello sull’angolo dice: Lowenstrasse. Magari sto arrivando nel centro della città, e non sono così lontana. Forse posso ancora salvare la serata, per il momento.
I buoni pensieri accompagnano la mia camminata marziale finchè l’occhio non mi cade su una delle insegne luccicanti che sovrastano le porte di quelli che all’inizio credevo pub. Le parole Girls, girls, girls mi rimbalzano nel bulbo oculare.
Guardo meglio le vetrine dei locali: sono dominate non da boccali di birra e vestiti bavaresi, ma da ragazze a seno scoperto, biancheria intima e giochi erotici.
Molto bene. Chissà come sono riuscita a finire nel quartiere a luci rosse.
E guardando anche meglio la gente intorno a me, direi che la presenza femminile in questa strada è piuttosto bassa.
Ora camminando mi sento addosso lo sguardo di tutti i passanti. Si vede lontano un miglio che mi sono persa, i miei piedi si accostano sempre più velocemente l’uno all’altro, fin quasi a raggiungere il ritmo di una corsa. Un baffone tedesco ridacchia mentre mi vede sgattaiolare via alla velocità della luce. Due ragazzi, già ubriachi alle nove di sera, mi urlano qualcosa in una lingua sconosciuta.
Che poi, io contro i quartieri a luci rosse non ho assolutamente niente. Però non è che sia proprio un’ottima esperienza camminarvi da sola di sera. Ma perché, poi, appena dopo cena c’è già gente che ha alzato troppo il gomito?
Esco da Lowenstrasse ansimando. Mentre riprendo fiato, una voce mi assale: «Brauchst du Hilfe?».
Mi trovo davanti una vecchina con un sorriso un po’ inquietante, che mi offre un sorriso sdentato e uno sguardo un po’ folle. Mi sento improvvisamente come una bambina davanti alla strega di Biancaneve, balbetto qualcosa, rifiuto l’offerta e vado avanti. O meglio, torno indietro in Lowenstrasse.
Stoccarda improvvisamente mi stupisce: pulitissima e ordinata fino al weekend, negli ultimi tre giorni della settimana si trasforma in un delirio dei più vari tipi di umanità. In questa strada c’è di tutto: da qualche passante casuale come la sottoscritta, al cliente abituale, alla prostituta che attende sulla porta di un locale con i vetri oscurati, alla segretaria cinquantenne con i capelli tinti di giallo canarino e le labbra disegnate a matita che riceve i soldi di chi entra.
Prendo in mano il telefono e chiamo Emma.
«Mi sa che tardo ancora un pochino».
«Ishiki, ma dove sei?».
«Arrivo, non temere. L’autobus non si è fermato quando doveva, sono dovuta scendere dopo, e quindi…».
Non ho ancora fatto in tempo a girare l’angolo che mi ritrovo davanti un uomo straordinariamente grande. Le sue spalle occupano quasi metà del viottolo in cui mi sono andata a infilare. Sull’avambraccio, spicca un tatuaggio colorato, un tribale rosso e verde. Due baffi biondi che sovrastano le labbra.
Mi guarda minaccioso, poi parla.
«…e quindi cosa?».
Lo guardo frastornata per una frazione di secondo, poi giro i tacchi e mi metto a correre. Nemmeno mi chiedo perché questo strano individuo conosce l’italiano.
«Amica, niente, sto arrivando».
Forse ho trovato la strada giusta, gli edifici intorno a me cominciano ad essermi familiari.
Se non fosse che davanti a me arrivano altri due strani individui. Due ragazzi piccoli e tarchiati percorrono in discesa tutta Charlottenplatz. Se non fosse che uno dei due si trova all’interno di un carrello della spesa.
Bella idea, ci dobbiamo provare una di queste sere.
Mentre cammino, finalmente nella direzione giusta, penso che conoscere una nuova città è qualcosa di interessante ed imprevedibile insieme. E, talvolta, per scoprire qualcosa di nuovo, è necessario perdersi e smarrire la rotta per qualche istante.
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