Cronache di uno Studente Fuori Sede ESPERIMENTI LETTERARI

Cronache di uno Studente Fuori Sede. Capitolo 9: Santi e THC. Parte V: La Seconda Rissa

Scritto da Rorschach

“Cronache di uno studente fuori sede” è, fra le altre cose, un esperimento narrativo. La scrittura non è lineare, le frasi sottolineate indicano i pensieri che mi son balenati in testa, quelle in grassetto sono relative alla mia parte razionale e quelle in corsivo alla mia parte emotiva. Il risultato potrebbe sembrare strano e un po’ schizofrenico. Beh, lo è.
Se non hai mai letto queste Cronache inizia qua, se invece ti sei perso la Saga di Daniela inizia da qua.

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Andrea è entrato nella mia vita e ho mostrato la parte peggiore di me troppo presto, dopo aver passato una nottata a dir poco “strana” e aver scatenato la sua metamorfosi abbiamo iniziato a convivere in modo pacifico e abbiamo iniziato a legare bene. Da qualche giorno si è aggiunto a noi un altro coinquilino e tutto sembra possa solo far peggiorare le cose. Tuttavia il legame fra me e Andrea è saldo e nulla potrebbe incrinarlo… o forse no?

Capitolo 9: Santi e THC

Parte V: La Seconda Rissa

 

Io: “Allora che fai stasera?”
A: “Lo sai Anon… Devo controllare… LUI.”

Andrea è seduto sul bordo del letto e io sono accovacciato sui talloni appoggiando la schiena contro la porta della sua camera da letto. Lukas è in salone e non vogliamo che ci senta.

A: “Non può continuare a portare gente a casa… E chissà per far cosa, poi.”
Io: “Non ricordi ciò che ha detto il suo amico qualche giorno fa…? Aspetta, com’è che si chiamava…?”
A: “Julian con la J.”
Io: “Ah già, beh comunque sembra che lo sia…”
A: “…Cosa?”
Io: “Beh sai, uno che vende roba Andrè.”
A: “D-d-del t-t-tipo…?”

Stringo la mascella sospirando leggermente.

Povero…
Il lato innocente di Andrea mi sa che non cambierà mai.

Ruoto la testa a sinistra lateralmente spalancando gli occhi: “Del tipo la DROGA.”
“M-m-ma se ci dovesse davvero portare qualcuno in casa per quello…?”
“Per adesso non è successo, no? È solo un ipercoglione che si limita a dormire fino all’una, mangiare pasta in bianco e pisciare fuori dalla tazza.” Tamburello le dita sulle ginocchia: “In questo non mi sembra molto diverso dall’80% dello studente universitario medio.”
“…Sempre il solito estremista.”
“Quello che ti voglio dire è che sembra innocuo. Non fa del male a nessuno, basterà sopportarlo un po’ e sarà una convivenza pacifica.” Concludo con un occhiolino sgargiante. “Vedrai.”
Andrea ci pensa un po’ su accarezzandosi i capelli biondi con una mano: si muovono silenziosi e armoniosi come spighe di un campo sferzate da una brezza leggera di fine Agosto.
A: “E va bene, cosa avevi intenzione di fare stasera?”

Mi risollevo in piedi e inizio a camminare avanti e indietro per la stanza.

“Sin dalla prima creazione cellulare ogni essere vivente ha provato ad adempiere al suo scopo finale. Organismi unicellulari evoluti in pluricellulari sopravvissuti per milioni di anni hanno dato il via alle danze fra mitosi, duplicazioni e continue scissioni. Da quel momento la strada è stata abbastanza lineare, nuovi organismi son nati e si son evoluti, certo, ma nulla è stato innovativo quanto il salto qualitativo che si ebbe poco dopo.”

Un sopracciglio paglierino si alza“…Di che salto qualitativo stai parlando?”

Mi siedo di nuovo sui talloni ponendomi ad altezza del suo sguardo: “Della riproduzione sessuata.”
“Non mi dir-”
Do uno scatto ai quadricipiti e mi riporto su puntando un indice contro di lui: “Oggi, amico mio, onorerai il meraviglioso processo che ha permesso a te di esistere.”
I suoi occhi sono spalancati, le pupille ridotte a punti sospesi nell’azzurro lago perfetto dell’iride.
“C-c-cosa dovremmo fare?”
Sorrido mostrando due fila di denti chiusi: “Stasera io e te trombiamo.”

Andrea ritrae il mento, incrocia le gambe e spalanca gli occhi. Se lo sguardo di prima era di incertezza e timore dopo questa frase si trasforma in fottuto terrore.

Watching Game of Thrones Tonight

Mi sa che ha capito male.
Imbranato.
Correggi, coglione.

Stendo le braccia aprendo i palmi davanti a lui: “Ma no! Che cazzo hai capito?!? MICA TROMBIAMO IO E TE INSIEME!”
A: “Ah… Ecco… Mi pareva infatti che…”
Sollevo gli occhi al cielo. “Senti qua: residence Cristoforo, stanotte, c’è un party poco fuori città. Ci sarà un pullman che parte da lì. Da quel che so io ci sarà un bel carico di gente, alcool e casino.”
A: “Ma non ci puoi andare con qualcun altro?”
Io: “Certo che posso, ma tu sei il mio coinquilino.” Porto una mano al petto: “È mio preciso dovere e compito morale farti conoscere una ragazza, permettere che il tuo flirt proceda secondo le regole standard approvate da stabili e ormai consolidate convenzioni sociali e assicurarmi personalmente che l’atto si consumi in sicurezza, serenità, con la gioia di entrambi e una giusta dose di preliminari.”
Il secondo sopracciglio si alza raggiungendo il gemello e corrugando la fronte del cherubino: “Questo discorso sta diventando grottesco.”
Gli punto un dito sul petto: “Ricorda, i preliminari sono fondamentali, ma anche chiudere in bellezza è importante.”
A: “I-i-i-in belezza…?”
Io: “Si.” Strofino l’indice sotto il naso: “Conosci il Dirty Sanchez?”
A: “Il che?!?”
Sbatto le mani sui quadricipiti rassegnato sollevando gli occhi al cielo: “Non ci posso credere…”
Sbuffo rumorosamente: “Dai, adesso vestiti, te lo spiegherò man mano che andiamo in bici.”

———— Più tardi ————

Pedaliamo con le biciclette dirigendoci verso il centro Giotto. La serata è tranquilla, non spira neanche un filo di vento e le nostre voci bisbigliano sotto il viale alberato.

Un urlo interrompe la pace primaverile e squarcia il silenzio.

A: “LUI FA COSA?!?”
Io: “Hai capito bene.”
A: “MA È DISGUSTOSO!!”
Io: “Ma si dai, è solo per ridere un po’ alla fine…”
A: “I baffetti… Farglieli usando la… Oh Gesù…”

Inizio a ridere sottovoce continuando a pedalare mentre osservo divertito la sua faccia schifata.

Dai, poverello. Torniamo sul romanticismo.
E quando mai lo siamo stati con lui?

Io: “…Andrea, ma tu ce l’hai una ragazza?”
Mi guarda scocciato e sta per rispondermi qualcosa. Lo precedo: “Sto parlando seriamente, non ti voglio prendere in giro. Neanche a me sta andando bene se vuoi sapere la verità.”
Un sospiro precede la risposta: “Beh Anon… A me non è MAI andata bene…”
Io: “Cioè tu… Non hai mai…”
A: “Esatto.”
Pedaliamo più lentamente mentre parliamo: “Ma come mai? Cioè sei comunque un bel ragazzo, sensibile, intelligente e, soprattutto, hai una dote straordinariamente rara di questi tempi.”
L’angioletto volta lo sguardo verso di me: “Non prendermi in giro… Ho un cazzo normalissimo.”
Ricambio lo sguardo sorridendogli: “Ahah, ma non parlo di quello. E non ti sto prendendo in giro: hai un pregio rarissimo.”
A: “…Ovvero?”
Gli alberi ci scorrono velocemente al lato, per poi interrompersi prima della rotonda.
Io: “Sai ascoltare.”
A: “…Dici?”
Io: “Si. È una caratteristica che hanno solo i forti. E tu lo sei. I chiacchieroni tendono a voler prevaricare gli altri, questo continuo bisogno d’attenzione è tipico dei deboli.”
A: “Beh, Anon, mi sembra che tu parli abbastanza spesso.”

Ci ha beccati.
Abbiamo voluto farci beccare…
Ci stiamo aprendo tanto con questo ragazzo…
E per me è una stronzata.

Gli faccio un occhiolino mascherando un’espressione amareggiata: “Lo so, Andrea… Lo so bene.”
Andrea continua a pedalare sollevando leggermente lo sguardo al cielo: “Grazie Anon. Sei cambiato tantissimo in questa settimana.”
Io: “Mi spiace ancora per quella sera… Davvero. Quasi non so cosa mi sia preso.”
A: “Beh, però, a ripensarci –eheh– è stato maledettamente divertente!”
Lo guardo con provocazione: “Andrea, ma secondo la tua politica religiosa, potresti dire ‘maledettamente’?”
Una risata cristallina lo precede: “Vaffanculo Anon.”

Beh, l’abbiamo sbloccato per bene almeno.

Arriviamo al residence Cristoforo dopo altri dieci minuti e parcheggiamo le biciclette alla rastrelliera sulla sinistra. Andrea inizia ad incamminarsi verso l’entrata.

Lo chiamo: “Hey Ciccio!”
Si volta, sono ancora alla rastrelliera: “Beh, cosa aspetti?”
Gli mostro la busta che ho portato con me: dentro ci sono due bottiglie di vino e un cavatappi.
Gli faccio un sorriso malizioso mostrando i denti: “Non vorrai davvero entrar dentro sobrio, vero?”

Stappiamo le bottiglie e iniziamo a berle. Una a testa, vino bianco da 13 gradi pieno di solfiti. È dolce e sembra quasi di non bere nulla di alcoolico, ma ha un pregio: la botta sale tutta d’un colpo dopo un po’.

Iniziamo a bivaccare fuori dal residence mentre biciclette di ragazze e ragazzi entrano riempiendo pian piano le rastrelliere.

A: “Non posso credere che l’hai fatto davvero…”
Io: “Io non ricordo granché, ma stando a quel che mi ha detto lei… Sì.”
A: “SIMBA?!?”
Io: “Eh già…”
A: “Ma com’era? Carina?”
Finisco la bottiglia con un ultimo sorso, Andrea mi imita.
Io: “Beh si, era proprio un bel leoncino.”

Scoppiamo a ridere tirandoci su e ci incamminiamo verso l’ingresso. Siamo brilli al punto giusto, entriamo dentro, lasciamo i documenti al portinaio e ci dirigiamo a sinistra verso una saletta stracolma di gente dalla quale proviene una musica assordante. Oltrepassiamo l’ingresso e una puzza di alcool e sudore ci investe tutta d’un colpo.

Ragazzi e ragazze affollano la camera: c’è chi è vestito da cowboy, chi da geisha, chi ha i pantaloncini corti e la canotta, chi indossa un papillon e chi si trucca da prostituta rumena alle prime armi.

Ehm, ehm…
Guarda che quelle ragazze son vestite in modo normale.
Ah.

my bad

Un ragazzo alto con i capelli corti ci porge due bicchieri, ringraziamo, beviamo e ondeggiamo sempre di più.
Adocchiamo un gruppo di ragazze e ci avviciniamo.
Sono cinque ragazze cinesi, Bye, Bejun, Ren, Fan e Liu, indossano abiti di seta a motivo floreale dai rossi, blu e verdi sgargianti e sono accompagnate da una ragazza finlandese, Anni, e da una Polacca, Matylda.
Le cinesi hanno capelli e occhi di uno scuro intenso, pelle chiara che sembra di delicatissima porcellana e son più basse di me di almeno dieci centimetri. Tutte tranne una: Bejun. È leggermente più alta di loro, zigomi d’ovatta sollevano teneramente gli occhi in un’espressione da cerbiatta indifesa, un sorriso di pesca fa spazio a bianchissimi denti regolari, dita lunghe e affusolate afferrano con delicatezza il bicchiere in plastica e un collo eburneo si solleva armonioso completando un fisico asciutto e sinuoso. Ogni suo movimento trasuda femminilità ed eleganza.
Anni, manco a dirlo, è bionda dagli occhi azzurri, lentiggini gentili sul naso, indossa jeans scuri e una maglietta aderente gialla che mostra tanto bene la sua prima quanto il doppio rotolo di grasso sull’addome, con il risultato di fa sembrare il suo profilo una serie di tre seni. O un cammello con un tumore, come preferite.
Matylda invece ha le tette più grandi che abbia mai visto dal vivo.

E ha anche un bel sorriso, ma vabè.

AtheistBoobs

Facciamo amicizia in poco tempo mentre ragazzi italiani bomberizzano in giro gridando come ritardati. Uno di loro inveisce contro l’amico perché non è riuscito a finire la bottiglia di prosecco, un altro vestito da tigre si fa un selfie con una ragazza e uno vestito come la versione spastica di Michael Jackson prova il moonwalk sembrando a tutti gli effetti un bambino epilettico in preda ad un attacco di panico.

Emisfero sinistro?
Dica.
Contattare il centro memoria e tirar fuori il fascicolo ‘Argomenti da conversazione standard con Erasmus’. Modulo 1: cibo, monumenti e città.
Agli ordini.
Che tristezza.

La conversazione procede banale, ma efficace, per circa mezzora. L’alcool ha aiutato parecchio e persino Andrea è stranamente socievole: riesce a spiccicar qualche parola e a non farsela addosso.

*Tradotto dall’inglese*
Io: “E quindi siete qua da due mesi! Come vi trovate?”
Ren: “Tutto molto bello! La città è accogliente, le persone gentili, il cibo è tanto buono!”
A: “E non vi manca la Cina?”
Fan: “Beeeh, la Cina è tanto grande! Diciamo che a me mancano solo gli amici e la famiglia! Hi-hi-hi!”
Io: “Ma non mi dire!”
A: “E vi conoscevate già prima di part-”
Un urlo ci interrompe: “ALLORA RAGAZZI SIETE PRONTI?!?!? È ARRIVATO IL PULLMAN! WHOOOHOOOOOO!!!”
Ci uniamo ai barriti euforici degli altri ragazzi sollevando i bicchieri e inneggiando rumorosamente a Bacco e Aegir. Seguiamo la mandria indossando i giubbotti ed entrando nell’autobus. Si va.

Durante un tragitto continuiamo a parlare del più e del meno fino all’arrivo allo Showroom di Padova.
Mentre scendiamo dal pullman un ragazzo con gli occhiali da sole a forma di cuore mi si avvicina e mi mette una mano sulla spalla: “Beh fra, allora chi ti trombi oggi?”
“…Beh non saprei, sembrano brave ragazze. Credo deb-”
“AHAH! Ma smettila! Con me non ci sono mai state! Vedrai che oggi te le trombi! AHAH! Ma come hai fatto?”
Smetto di camminare e lo guardo: “Ma hai mai provato a parlarci? Parlarci davvero dico.”

Si ferma a fissare il vuoto, io raggiungo gli altri.

Io: “Andrea?”
A: “Eh? Dimmi.”
Io: “Ti stai guardando intorno?”

Ci circondano ragazze di tutte i tipi, c’è chi è vestita da infermiera, chi ha la parrucca, chi ha tirato fuori il vecchio costume per cosplay e chi è semplicemente uno schianto. Ma non siamo i soli a caccia stasera: una mandria di ragazzi spinge e si accalca all’ingresso utilizzando ventate di ormoni come ariete contro transenne e buttafuori. Tutti vogliono entrare.

Dopo qualche minuto siamo dentro anche noi, lasciamo le giacche nel guardaroba. Superiamo i gradini uscendo dall’ingresso entrando nella sala e ci guardiamo intorno. Sorrido mentre vedo gli occhi di Andrea sgranarsi, sta scoprendo un nuovo mondo: mani si sollevano al cielo a tempo di musica, ragazze ballano ancheggiando i fianchi in slowmotion e stringendo il seno fra i palmi su spesse onde di bassi talmente forti da far vibrare lo stomaco, fari colorati ci investono facendoci perdere l’orientamento, palloni e pupazzi gonfiabili vengono lanciati dalla console sul pubblico e un’acre puzza di vomito, alcool e sudore impregna l’atmosfera in una cappa densa e muschiata.

Party Hard

A: “Ma che posto è questo?”
Io: “Si chiama Random Party.”
A: “E che roba è?”
Gli poggio una mano sulla spalla mentre nessuno di noi riesce a staccare gli occhi su ciò che si presenta davanti a noi. “È la merda, amico mio.”
Nello stesso istante due ragazzi ci spintonano per iniziare una rissa fra loro, immobilizzati dopo tre secondi da due buttafuori.
Io: “È la merda più totale.”
A: “…”
Io: “Tutto il meglio del peggio dei ventenni è qua, davanti a te. Senza domande e senza scopi, con obbiettivi che non superano le quattro ore.”
A: “Ma perché son vestiti tutti così? Credevo che solo quelli del residence fossero strani.”
Io: “No, stasera la gente si può vestire come vuole. Random, per l’appunto.”
A: “E perché noi non ci siamo vestiti in modo diverso?”
Sollevo un sopracciglio distogliendo lo sguardo dalla folla e fissandolo negli occhi azzurri: “Saresti davvero uscito di casa se ti avessi messo una parrucca e una gonna?”
A: “No.”
Io: “Ecco, nemmeno io. Dobbiamo confonderci con i subumani, non esserlo. Solo così potremo riuscire a trovar una giovane e ignara vittima.”
A: “U-u-una vittima?”
Mi sollevo sulle punte dei piedi provando a trovare qualcosa nel pubblico, le ragazze incontrate al residence sono scomparse: “Ci serve una ragazza. Deve essere carina, single e ubriaca.”
A: “Ma si può sapere che hai in mente?!? Perché?”
Lo fisso abbassando le palpebre e sorridendo a labbra strette: “Perché stasera, vecchio mio… Tu stasera tromberai.”
A: “…COSA?!?”
Io: “Forza! Seguimi!”

Ci dirigiamo al bar e ordiniamo due cocktail, costringo Andrea a berlo tutto in meno di un minuto e ci catapultiamo nella folla gridando.

Subhumanity intensifies.
Dai su, non prendetevela, dobbiamo solo confonderci con la folla.
Oddio…
Sapete… Distrarci dai normali problemi…
Mi vergogno di me stesso…
Okay, ho capito, vi farò tacere con altro alcool.

Ci addentriamo con difficoltà fra la folla, ma non siamo fortunati: per fare dieci metri ci mettiamo interi minuti e appena notiamo due ragazze sole veniamo battuti sul tempo da altri ragazzi. Passa oltre un’ora in questo modo.

Merda.
Qua ci vuole una strategia. A malincuore devo ammettere che ci servi tu.
Direi di lasciar fare alla legge di distribuzione.
Ovvero?
Immagina un flusso di ragazze come ad un flusso di particelle. Il coefficiente di dispersione longitudinale è sempre maggiore di quello trasversale.
Quindi?
Quindi dovremo addentrarci di più, andando verso la console.
Dici che funziona?
Forse si.
No. Non abbiamo considerato altri due fattori: l’effetto bar e l’effetto pogo centrale.
…Non ti seguo.
Le ragazze vogliono bere, o comunque vogliono che qualcuno offra loro qualcosa. Quindi non si addentreranno più di tanto nella folla per poi fare un quarto d’ora di coda nella calca per raggiungere di nuovo il bancone. D’altra parte dobbiamo considerare il pogo centrale della sala, quello immediatamente di fronte ai DJ, come un ostacolo. Ad occhio e croce direi un cerchio di raggio di tre metri. Le ragazze non vogliono trovarsi in mezzo al pogo dei subumani.
Mmmh a questo non avevo pensato.
Insomma dove vogliamo piazzarci?
Direi ad ore 2 rispetto i DJ…
Saremmo addentrati nel locale…
A dieci metri dal casino…
Ma non troppo lontani dal bar.
Ragazzi vi voglio bene.

too much science

Mi avvicino ad Andrea e gli grido nell’orecchio di seguirmi.
Ci addentriamo nel denso budino umano che ci circonda, ragazzi si spingono e fanno lite, ragazze gridano estasiate, occhiali da sole da forme improponibili mi circondano, canottiere, petti depilati, vampate di profumo femminile intervallate da quelle acri di sudore. È la nuova generazione di laureati.
Dopo dieci minuti troviamo la nostra zona e iniziamo a ballare.

Andrea mi si avvicina: “Ma qua non ci sono ragazze!!”
“Aspetta e vedrai, per la legge dei grandi numeri prima o poi arriveranno.”

Il cherubino solleva gli occhi al cielo e inizia a ballare. O almeno questo è quel che crede lui: batte le mani fuori tempo, ha le spalle basse, non sorride neanche per sbaglio, non muove le gambe e si limita ad ondeggiare creando un’armonica onda di grasso che fa su e giù sul suo stomaco. Si guarda intorno spaesato con gli occhi che trasmettono chiaramente un pensiero che ha in testa da circa due ore: “Ma io che ci faccio qua?”.
Lo guardo ballare e mi preoccupo, il mio piano è una merda: Andrea è semplicemente intrombabile.

Mi sa che la nostra missione sarà più dura del previsto.
Dobbiamo dargli una mano.
Dobbiamo farlo bere.
Ah già, come se non avessimo già bevuto abbastanza.
Siamo a malapena al limite della coscienza di noi stessi.

Io: “Aspettami qua Andrè, vado al bar.”

Vado al bancone e faccio la coda, dopodiché ordino due Cointreau.
Torno dal mio serafino trovandolo impacciato e timido esattamente dove l’avevo lasciato.
Io: “Ecco, bevi questo.”
A: “Cos’è?”
Io: “Ti piace l’arancia?”
A: “Si.”
Io: “Ecco, è tipo una spremuta. Ma va bevuta tutta d’un colpo, sennò si perdono le vitamine.”

Ci portiamo il bicchiere alle labbra e beviamo tutto d’un colpo. L’alcool entra subito in circolo, Andrea sgrana gli occhi in preda al fuoco che gli attraversa l’esofago. La mia mente d’altra parte inizia a raggiungere il limite. Adesso sono brillo, ad un passo dall’ubriacatura totale.

Ragasci ci sciete?
Eh, ‘ica t’nto
Quell’ ragascia è uno schi’nto!

Riprendiamo a ballare, molto più sciolti di prima, il tempo vola velocemente mentre ci proviamo con ragazze che ci stanno e poi si allontanano. Troviamo almeno quattro coppie di ragazze che si avvicinano a noi flirtando per una ventina di minuti, scaduti i quali se ne vanno.

Andrea ondeggia: “Ma non capishco. Perché she ne vanno?”
“Sciono profumiere, te la fanno odorare e poi shpariscono –hic– faranno la loroh shcelta, sce la faranno, sholo a fine sherata.”
Passa un’altra ora e gli zuccheri del Cointreau fanno ancora il loro effetto.
Andrea sbiascica: “Anon qua n-non cambiah n-n-nulla. Che fasciamo?”
“Beh, shono le tre e mezza e scè già chi shta iniziando ad andar via. Male male prehnderemo le ragasce che adessho shono ubriache sfrante shui divanetti e che nesshuno vuole.”
“…”
Gli poggio una mano sulla spalla: “Saremo gli spazzini della fica, i Prophilax sharebbero orgoglioshi di noi.”

Mentre dico queste parole si avvicinano cinque ragazze allontanandosi dal centro della sala spaventate per via del pogo. Dal modo in cui camminano si capisce subito che son sobrie, ma sono anche troppo belle per non provarci. Stringo la spalla ad Andrea e ci avviciniamo a loro.
Iniziamo a ballare con discrezione, senza movimenti trash ed eccessivi, il mio corpo ondeggia da solo e devo solo impegnarmi per non farlo cadere. Dopo qualche minuto due di loro si avvicinano a noi, le altre si coprono la bocca con le mani sorridendo e guardando la scena ridacchiando fra loro.
Andrea mi guarda terrorizzato, non sa che fare. Mi avvicino a lui afferrandogli il fianco e avvicinandolo a me: “NON. FARE. L’IDIOTA. Ecco quel che devi fareh.”

Continuiamo a ballare, questa volta mi concentro sulla mia lei, ha tacchi bassi, maglia verde e capelli biondi, due braccialetti fosforescenti al polso. Le afferro i fianchi e lei si gira dandomi le spalle spingendo i suoi jeans aderenti contro i miei. Affondo il naso nei suoi capelli, immediatamente sopra il collo, inspirando estasiato fragranza di fiori, miele e sesso.
Dopo qualche minuto i movimenti si fanno più espliciti, sento la sua schiena inarcarsi mentre spinge il collo verso di me, facendo scivolare la sua testa sulla mia spalla. Inizio a baciarla mentre solleva le mani e mi stringe i capelli fra le dita, i miei jeans si fanno molto più stretti e il flusso sanguigno accelera mentre le mie mani tracciano i profili del suo corpo, premendo sui suoi fianchi, per poi salire.

blompy ass

Balliamo così per non so ben dire quanto tempo, quando stacco le labbra dalle sue subito sento una sua mano afferrarmi il mento e spingermi di nuovo verso lei, mentre la sua lingua, insaziabile, ricerca la mia muovendosi come un’anguilla.

Dopo un po’ apro gli occhi e mi guardo intorno: Andrea non se la cava bene. Sta ancora lì impalato facendo su e giù con le ginocchia mentre la sua lei con il corpo gli chiede disperatamente un approccio fisico maggiore. Vorrei dargli una mano, ma sono troppo impegnato a farmi trasportare dalla mia bionda in fondo alla sala, nel buio, dove la musica è più bassa.

ass slap

Sih va.
Non capischo nullah.
Shta shitto!

Lei è li, davanti a me, mentre con la mani mi accarezza il petto e i fianchi. Mi sorride maliziosamente e si allontana leggermente: “Allora, ti piaccio eh?”
La guardo e quella domanda mi entra in testa più del dovuto.

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Una domanda semplicissima.
Una domanda semplicissima che scatena in me una valanga di pensieri che si sovraffollano in un centro nervoso brillo, rimbambito dalla musica e non troppo irrorato dal sangue.

Dille che è bellisshima.
È throbbo banaleh.
Dille che è uno schianto.”
Oppure una shemplice affermazione.
Del tipo?
Sherto bambola.
B-b-bene. Modulare la voce su ‘Sexy Wolverine Baritonale’.
Shei uno schianto.
Sherto bambola.
Shei uno schianto.
Sherto bambola.
Shei uno schianto.
Sherto bambola.

Mi avvicino a lei afferrandole il mento e dipingo quella che dovrebbe essere un’espressione da maschio alpha sul mio volto. Probabilmente sarò sembrato un carcerato con paresi facciale.
Schiudo le labbra mentre i miei pensieri si fondono e dalla mia bocca escono le seguenti parole proprio mentre il DJ fa un cambio di pezzo facendo scendere il silenzio nella sala per quel fatidico secondo e mezzo.
“Sherto. Sei uno bambo, schiantola.”

Mentre dico quelle parole le persone rallentano intorno a me e mi rendo conto, solo dopo qualche secondo, di quel che ho detto, qualcuno si volta verso di me sgranando gli occhi divertito. La musica riparte, lei interrompe il sorriso sensuale e ha un leggero scatto.
Rimaniamo pietrificati per qualche secondo e nello stesso istante in cui mi mordo disperato la lingua lei scoppia a ridere istericamente appoggiandosi sulle ginocchia.

Io resto lì in piedi maledicendo me stesso, ancora una volta. La storia della mia vita.

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Provo a rimediare: “D-d-dahi dolcezza, volevo dire… Cioè inshomma… Sì, shei uno schianto.”
È troppo tardi, l’ho persa.
Continua a ridere fino alle lacrime mentre ritorna camminando dalle amiche. Vedo il gruppo che si accinge ad ascoltare la storia, poi quattro volti si girano in un unico movimento fissando me: un ragazzo che le guarda a labbra strette, con occhi spalancati mentre si gratta il petto imbarazzato.
Quattro volti scoppiano a ridere all’unisono indicandomi: la gogna pubblica non è mai stata fuori moda.

Lo vedi perché non dobbiamo bereh?!?
Non ci possho c-c-credere.
Gesù.
Shto shprofondando.
Complimenti però, pur volendo imitahre i shubumani che disprezzi riesci comunque esshere molto più patetico di loro.

Mi allontano dal gruppo e resto in un angolo al buio nascondendomi gli occhi con una mano rimuginando su quanto appena successo.
Dopo qualche minuto delle grida mi distolgono, sollevo lo sguardo e vedo Andrea che vien spinto via da un ragazzo vestito da lottatore di boxe. È insieme ad altri quattro amici, uno di loro è in accappatoio, un altro in canottiera e occhiali da sole senza lenti giganti, un altro con la divisa dell’Inter e l’ultimo ha cravatta con trucco nero intorno agli occhi. Hanno puntato il gruppo delle cinque ragazze e non intendono certo lasciar campo aperto ad un pischello biondo e cicciottello.

Andrea subisce la spinta e per poco non cade a terra, poi fa qualcosa di imprevedibile: vuole litigare con il lottatore di boxe. L’alcool gli ha dato alla testa. Si avvicina a lui urlandogli qualcosa, l’altro gli risponde sollevando un pugno destro sopra la spalla, le ragazze si allontanano un po’ preoccupate un po’ divertite da quella voglia di conquista.

Andiamo a salvare quel coglione prima che si faccia ammazzare.

Faccio uno scatto in avanti, l’adrenalina sale e arrivo alle spalle di Andrea afferrandolo e spostandolo appena in tempo. Il gancio fende l’aria, ma non è finita qua. Mi frappongo fra il ragazzo e l’angioletto stendendo le mani davanti a me a palmi bassi, aumento la distanza. L’armadio se ne frega e inizia ad avanzare verso Andrea. Mi avvicino a lui e indico Andrea con il pollice dietro di me, poi faccio il gesto del bere una bottiglia e muovo le labbra lentamente così che possa leggere il labiale: “È UBRIACO. LASCIALO STARE, DAI.”
Si interrompe e lo fissa, gli altri amici iniziano a ridere e lo convincono a lasciarci perdere dandogli pacche sulle spalle. Lui fa il medio ad Andrea e si allontana.

Raggiungo il quasi-morto e lo allontano spingendolo contro il muro.
Io: “Che cazzo avevi intenzione di fare? Farti ammazzare?”
A: “Hey, quella lì stava ballando con me!”
Io: “Beh, ora sta ballando con lui.”
A: “MA NON È GIUSTO!!”
Io: “Anche l’intolleranza al lattosio, ma non puoi farci nulla.”
A: “Fanculo, io torno da loro.”

Lo blocco per le spalle: “MA LA FINISCI? CHE CAZZO TI PRENDE?!?”
A: “QUELLA LÌ STAVA BALLANDO CON ME. CON ME. TI È CHIARO QUESTO?”
Io: “Si, ma nessuna fighetta trash incontrata a caso in discoteca merita due giorni in ospedale.”

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Stacca le mie mani da se puntandomi un dito sul petto: “E QUINDI FINISCE COSÌ, TU CHE TI PIEGHI IN QUESTO MODO A QUESTI CINQUE STRONZI?!?”
L’affermazione mi colpisce più forte del previsto: “Ci sono dei limiti a cui neanche io posso porre rimedio… Mi dispiace, non sono mica un cazzo di supereroe.”

Andrea mi guarda storcendo la bocca in uno sguardo schifato.

A: “Sei una delusione.”
Io: “Ma ti rendi conto che eravamo cinque contro d-”
A: “Sei una delusione del cazzo. VAFFANCULO ANON.”

Non riesco a capire cosa gli prenda, comincia a camminare incazzato verso l’uscita scuotendo la testa.
Provo a stargli dietro e lo raggiungo al guardaroba, sta ritirando la giacca. La musica nell’ingresso è più bassa e possiamo parlare normalmente.

Io: “Che cazzo vuoi fare? Il pullman ripartirà fra un’ora e mezza.”
A: “Stai zitto, non me ne frega un cazzo. Me ne torno a casa.”
Io: “Ma si può sapere che diavolo ti prende?”
A: “C’è che sei mio amico, no?”
Io: “Si.”
Ha uno scatto verso di me iniziando ad urlare: “E ALLORA PER QUALE CAZZO DI MOTIVO NON MI HAI DATO UNA MANO INVECE DI SCAPPAR VIA?”
Io: “MA SEI COGLIONE?!? TI RENDI CONTO CHE SE NON TI AVESSI SPINTO VIA ADESSO STARESTI STESO SUL PAVIMENTO VOMITANDO SANGUE? NON RIESCI NEANCHE A REGGERTI IN PIEDI!!”
Gli do una spinta sulla spalla e per poco non cade.
Io: “Lo vedi?!?”
A: “…Beh non c’entra niente. Potevi aiutarmi.” Inizia a gridare sempre più forte: “LEI ERA MIA! MIA!!! E ADESSO NON LO È PIÙ! LEI. ERA. MIAAAA!!”

Ragazzi e ragazze si voltano a guardarci, Andrea sta dando di matto.

Sta avendo un crollo o cosa?!?
Non ne ho idea.

Io: “Sei ubriaco. Se sei davvero così stupido da voler tornare a casa a piedi da qua solo perché non ho permesso che venissimo pestati da cinque ragazzi e dai buttafuori allora okay. Vai pure.”
A: “Stronzo.”
Io: “Mi stai stancando.”
A: “Sei solo uno stronzo, Anon. Anzi, com’è che dici tu…?”
Sghignazza con cattiveria: “Ah già: sei una fighetta.”
Nel dirlo fa un’altra cosa che ritenevo impossibile: mi tira un pugno contro il mento. Pur vedendolo arrivare non riesco a credere a quel che sta facendo e lo incasso. È un colpo lento, debole e mi sfiora a malapena con le nocche, ma è il gesto che conta.

Basta.
M’ha fatto incazzare.
Aspettate, dai, non è necessario. È ubriaco, basta solo un po’ di pazien-

Mostro i denti e chiudo le palpebre mentre affilo il veleno.
“Fottiti Andrè, se davvero perdere la verginità ti manda tanto in crisi domani ti pago una puttana.”

Il gelo scende nell’ingresso del locale tutto intorno a noi. Ragazze e ragazze ci guardano, qualcuno di loro bisbiglia qualcosa, si crea un piccolo cerchio che ci circonda e due buttafuori già si presentano nell’ingresso pronti a bloccarci. Tutti indicano Andrea mentre la parola “vergine” viene ripetuta intorno a noi, rimbombando nella stanzetta.

Ad Andrea trema la mascella dalla rabbia: “Q-q-questo… Questo non dovevi dirlo.”
Io: “Te la sei cercata. Vai pure a piagnucolare a casa.”

can't handle truth

Cammino verso di lui e lo sorpasso ritornando in sala. Posso sentire il suo imbarazzo mentre viene fissato da ragazze e ragazzi per interi secondi.

Abbiamo esagerato.
Già, però se l’è cercata.
Ma che t’è saltato in mente?!? Hai visto quanta gente c’era? Hai visto quante ragazze lo fissavano?
…Merda si.
E adesso cosa farà?
Non ne ho idea…
Porca miseria siamo pure tornati sobri.

Torno al bar e ordino un Long Island, dopodiché mi incammino dove ero prima, restando a fissare la scena sorseggiando il mio cocktail. Adesso intorno alle cinque ragazze non ci sono solo i ragazzi di prima, ma anche altri dieci. Sono tutti ben piazzati e si spintonano senza dar nell’occhio pur di ballare ognuno vicino ad una di loro. Mentre li guardo una rabbia inizia a montarmi dentro, una serata andata a puttane, un’amicizia sul filo del rasoio e una rissa sfiorata solo per colpa loro…

Fottutissimi bastardi…
Quanto ve la farei pagare…
Si certo, noi contro quindici. Neanche Sun Tzu troverebbe una strategia adeguata.
Come fare…?
Come fare a distruggere la serata anche a loro?

Resto li a rimuginare provando a pensare ad una strategia, ma con me non ho nulla di utile.

Finisco di bere mentre stringo il bicchiere in mano, il ghiaccio lucido riflette le luci della discoteca mentre gocce scivolano piano sul bordo in plastica. È in quel momento che arriva l’illuminazione.

Ma certo…
No, è proprio un’idea del cazzo.
Non funzionerà mai.
Che abbiamo da perdere?

Vado velocemente verso il bar e faccio la coda. Dopo qualche minuto la ragazza poggia il bicchiere sul bancone: “Bene, tu cosa vuoi?”
“Del ghiaccio.”
Mi fissa senza parole: “…Come?”
“Esatto, vorrei del ghiaccio.”
“Ma non ci vuoi alt-”
“NO.” Sorrido sollevando le spalle: “Solo ghiaccio.”

Resta incerta per qualche secondo, dopodiché senza smettere di guardarmi affonda il bicchiere nella busta e lo ritira su, pieno di ghiaccio fino all’orlo.
“Potrei averne dell’altro?”
“Ma…”
“Daaaai su, è solo che… mi piace il ghiaccio.” Un sorriso da bravo ragazzo si palesa sul mio angelico visetto.
Lei mantiene marmoreo il suo sguardo su di me e mi porge un altro bicchiere pieno di ghiaccio.
“Grazie dolcezza!”

Mi allontano tenendo in mano i due bicchieri pieni di ghiaccio e mi dirigo dov’ero prima, nell’ombra. È una delle idee peggiori che abbia mai avuto, ma potrebbe funzionare.

Mi siedo sui talloni e aspetto che le luci illuminino un’altra zona della sala. Appena entro in ombra agisco: spingo il braccio in avanti tenendo i bicchieri orizzontali, il ghiaccio parte con una lenta parabola mentre una pioggia di cubetti atterra invisibile e comincia a scivolare sul pavimento in direzione del gruppo come rohirrim al galoppo.

Vaffanculo stronzi.
Se non trombo io non tromba nessuno.

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Dopo un attimo accade: il ragazzo vestito con l’accappatoio mette un piede su un cubetto, la gamba scivola e inizia a sgomitare per rimanere in equilibrio, una ragazza cade, si aggrappa all’amica ed entrambe finiscono per terra. Due ragazzi si mettono a ridere e fanno un passo in avanti per aiutarle, non avrebbero dovuto. Scivolano entrambi e uno di loro da una gomitata al tizio vestito da boxer.

Da lì in poi è l’apoteosi.

Il lottatore si porta due dita al labbro e scopre di star sanguinando, non aspetta altro: scatta in avanti dando un montante ad un ragazzo vestito da mummia e un altro colpo all’amico con un cappello a visiera larga e piatta.
Vedo il berretto partire verso l’alto turbinando su se stesso mentre la scritta “OBEY” viaggia fra il fumo e i raggi dei faretti. Gli altri non si lasciano attendere: si fiondano gli uni sugli altri tra schiaffi, calci e pugni mentre vedo all’entrata della discoteca tre buttafuori che provano a raggiungere la rissa.

I-i-incredibile… Sta davvero funzionando?
Un ragazzo scivola e da un colpo in faccia ad una ragazza con un gommoncino.
Ehehehe…
Cosa diavolo possiamo fare per peggiorare la situazione?

Mi volto: dietro di me c’è una mensola. Decine e decine di bicchieri vuoti pieni di ghiaccio attendono silenziosi. Sorrido storcendo un lato della bocca.

Dio, allora mi vuoi bene davvero.

Vedo la sagoma di Sun Tzu apparire fra i faretti e farmi un occhiolino.

Grazie, oh mio maestro.”

Vado verso di loro e ne afferro una decina travasando il ghiaccio da un bicchiere all’altro finché non ho di nuovo altri quattro bicchieri pieni. Mi volto pronto ad agire, mi accovaccio dietro un gruppo di ragazzi rivolti verso la rissa e spingo due bicchiere in avanti. Altri cubetti invisibili si aggiungono all’equazione. Dopo qualche altro secondo mi sposto e ne lancio ancora. Poi mi sposto e ne lancio ancora.

Falling snow

Dopo dieci secondi mi alzo e osservo lo spettacolo: il Ragnarök si è scatenato nello Showroom, finalmente degno di chiamarsi in questo modo. È la rissa più imprevedibile e sconclusionata che si sia mai vista. Ogni persona che prova a starne fuori viene inevitabilmente coinvolta scivolando su pezzi di ghiaccio, il lottatore di boxe è stato immobilizzato da un buttafuori con una presa che gli tiene bloccata la testa e le spalle, una Full Nelson. Cammina indietreggiando portandolo verso l’uscita, scivola e finiscono a terra.
Il ragazzo si libera e si risolleva sferrando calci al buttafuori.
Ne arrivano altri tre provando a bloccarlo, due cadono a terra mentre altri ragazzi inciampano su di loro ruzzolandogli addosso. Ragazze urlano provando a spostarsi dal marasma generale. Uno dei ragazzi, ormai in preda alla furia omicida, le afferra e le spinge via, gettandole sulla folla che osserva lo spettacolo mentre si fionda su un tizio che si è appena risollevato in piedi: è vestito da mucca. Il ragazzo con la cravatta sta sferrando pugni in testa a quello che prima aveva gli occhiali da sole, è un suo amico, ma non l’ha riconosciuto. Quando lo fa è l’amico ad incazzarsi spingendolo contro altri ragazzi vestiti da marinai e indiani facendone finire altri cinque a terra. Strike.
Sembra di vedere un raduno gay dei Village People che scivolano fra scatti e grida come se fossero ad una serata di Skrillex.
Gomitate, spinte, montanti, ganci e calci li sbilanciano molto più di quanto riescano ad andare a segno e nel giro di qualche minuto sono tutti a terra, buttafuori compresi, trasformando la rissa in una grande lotta grecoromana sul pavimento in cui tutti sono vestiti in modo assurdo.

Ci manca solo del fango.
La prossima volta, dai.

Sono appoggiato al muro e mi godo il risultato, ad un certo punto, proprio sul più bello, la musica si interrompe di botto e tutti i fari vengono accesi.
Il dj si sporge dalla console, è vestito come Capitan Findus, evidente riferimento all’odore delle sue parti intime.
“Allora ragazzi! Dai, state rovinando la festa a tutti! Smettetela!”

Come se fosse stata la parola di Gesù in persona ecco che i ragazzi decidono di calmarsi. Si risollevano lentamente in piedi e si aiutano a vicenda. I buttafuori accompagnano all’uscita i più rissosi e la musica riprende sulle note di 50 special.

Una canzone che possa calmare tutti insomma.
Subhumanity overload.

Vedo i ragazzi che provano a parlare con le ragazze presenti, non solo quelle cinque, ma anche tutte quelle che avevano assistito allo spettacolo. Provano a chieder loro scusa, ricevono in cambio schiaffi e mandate a fanculo. Ottimo.

Il mio piacere è stato più breve del previsto, ma ne è valsa la pena. Faccio una foto ad un ragazzo che si vomita addosso su un divanetto e rido dirigendomi verso l’uscita.

kekd

———— Epilogo ————

Ritorno al residence con l’autobus e prendo la bicicletta per tornare a casa, quella di Andrea non c’è più. Sono le cinque e sento gli uccellini iniziare il loro canto mattutino. Man mano che pedalo sensi di colpa mi affliggono.

Non avremmo dovuto trattarlo così.
Hai visto che faccia ha fatto?
E come lo guardavano le ragazze poi…
Non posso credere che ci abbia colpito.
Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme… Dopo tutto quello che gli abbiamo raccontato della nostra vita…
Credevo avessimo legato.
Credevi male. La tenera convivenza pacifica è durata giusto una settimana. Direi che puoi già dirgli addio.
Si, okay, l’ho umiliato in pubblico… Ma mi ha colpito!!
Era ubriaco, potevi evitare.
N-n-non me lo ripetere…
Se la smettessi di dar ascolto a quello stronzo magari…
Hey, non è mica colpa mia!

Torno sulla via di casa e me ne rendo subito conto man mano che mi avvicino all’appartamento: le luci del salotto sono accese.
Sono le cinque e mezza passate del mattino e le luci sono accese.

Ma che diavolo…

Parcheggio velocemente la bici in garage e salgo su, la porta di casa è aperta e risate di ragazzi e ragazze vengono dall’interno.
Spingo leggermente la porta con il palmo della mano ed entro silenziosamente, faccio due passi e mi avvicino al salone: una decina di ragazzi sono stravaccati sul divano, sette ragazzi e tre ragazze.
Fra loro ci sono anche Lukas, Julian e Andrea.

Stanno fumando erba, i posacenere sono pieni e le finestre chiuse. Il tavolo è addobbato con grinder, carta velina, accendini, fiammiferi, pipe e bottiglie di plastica.

Io: “Ma si può sapere che diavolo state facendo?”
Lukas non mi degna di uno sguardo e continua a parlare con una ragazza passandole una bustina e prendendo da lei 50 euro.
Andrea è seduto all’angolo del divano, le braccia incrociate e il mento infossato nelle spalle. Si guarda i piedi senza neanche sollevare la testa.
Julian si alza e mi guarda: “Ah, vedo che sei tornato.”
Si avvicina lentamente: “Andrea ci ha raccontato della serata…”
Ondeggia piano verso di me: “Non sei stato molto carino a fare quel che hai fatto…”
Si afferra un pugno schioccando le nocche e piegando la testa da un lato: “Proprio. Per. Niente.”

cattiveria

Oh. Bene.
Quindi è questo il tanto famoso ‘Karma’, eh?
Immagino di sì.

Clicca QUA per leggere il prossimo capitolo: Rottura.

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Rorschach

Studente di ingegneria, lettore di fumetti, bassista occasionale, amministratore e scrittore sconclusionato.
Non credo nelle descrizioni da blogger e quello che leggo su internet, non dovreste farlo neanche voi. Forse. Chissà. Meh. Fanculo.

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