Turner di Mike Leigh è un’opera sincera, potente ed estremamente curata, oltre che, per certi versi, rivoluzionaria. Premiato a Cannes per l’ottima interpretazione del protagonista Timothy Spall, Turner racconta la vita e l’arte dell’omonimo pittore inglese, ma ha la particolarità di partire dal suo carattere burbero e dal suo forte attaccamento alla dimensione materiale, solo in apparente contrasto con la delicata potenza dei suoi quadri.
La caratteristica più evidente del film è per l’appunto questa: rappresentare come, dalla nostra esistenza inevitabilmente infima, possa stillare in uno stesso grado di umanità il sublime, espressione diretta della coscienza dell’uomo tanto quanto la dimensione della sua corporalità.
Per ottenere ciò, il film attua una divisione tra due sfere: dal punto di vista narrativo è ottenuta tramite l’alternarsi costante di sezioni dedicate alla vita nella casa dell’artista, in cui si evidenziano gli elementi della vita pratica, e altre dedicate ai lussuosi saloni delle esposizioni tappezzati di dipinti; ma è dal punto di vista prettamente visivo/sonoro che la distinzione diventa chiara: infatti le sezioni musicate del film sono dedicate ai viaggi del poeta e ai momenti di contemplazione e perdizione nell’immensità della natura richiesti dal suo genio per esprimere sulla tela la potenza di cui è portatore.
Le parti più semplici e dialogiche, al contrario, abbandonano del tutto la musica per evidenziare la consistenza fisica del mondo che circonda il poeta, dai rumori della casa a quelli del corpo, con grugniti al limite dell’eccessivo per rendere con efficace espressionismo la dicotomia di cui si parlava. A tutto questo si aggiunge l’accostamento di paesaggi mozzafiato fotografati in modo tale da evidenziarne la maestosità ad una quasi crudele attenzione registica per la pietosa figura della domestica di casa Turner, sfiancata e abbruttita dal lavoro e dalla malattia, ma non risparmiata dal consumare fugaci e squallidi rapporti con l’artista.
In questa visione la conciliazione dei due estremi rappresentata non può che coincidere con una visione dell’arte che era rivoluzionaria allora e torna ad esserlo ancora oggi con questo film: l’uomo altro non è che creatore occasionale, fruitore temporaneo del sublime da cui dipende la sua coscienza, e la bellezza non può essere altro che un breve respiro in attesa dell’immersione del mare di passioni che ci domina.
Per questo l’arte non può che essere diretta espressione di ognuno. Così come Turner esprimeva con onestà il suo essere attraverso dipinti sempre più eterei e delicati, noi non possiamo che continuare ad essere sinceri con i nostri limiti fino alla fine.
La vignetta ad inizio articolo è stata realizzata da πρστ-Pirosigmatau , altri suoi lavori li trovate su questo blog nella sezione Fumetti.
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