Sono le otto di mattina e stiamo caricando i bagagli in macchina. Sono stanca e un po’ frastornata, mi devo ancora rendere conto di cosa sta succedendo.
«Ci sei? È tutto in macchina?»
«Hai tutto? Spazzolino da denti? Caricabatterie? Chiavi di casa?»
«Dai forza, che dobbiamo passare il Brennero prima di mezzogiorno».
Sto partendo per l’Erasmus e ho terminato la sessione d’esami quattro giorni fa. Ho aspettato questo momento per tutto il primo semestre, ma negli ultimi giorni i preparativi frettolosi mi hanno completamente travolto. Sei mesi in Germania, lontana dalla mia vecchia vita. Salto sulla valigia per chiuderla e tiro il gancio con tutte le mie forze.
Forse ho esagerato con le scarpe. Me ne serviranno davvero quindici paia?
«Forza Ishiki, sei ancora lì?»
Le voci che rimbombano nella mia testa sono quelle dei miei genitori. Sì, a portarmi in Erasmus sarà un’automobile che contiene i maggiori esponenti del mio parentame. Per loro è un’occasione come un’altra di passare un weekend fuori porta: il peso della mia valigia e la visione di me stessa piangente in mezzo alla stazione di Monaco di Baviera attorniata da una marea di bagagli sono stati sufficienti a farmi accettare il passaggio.
La porta di casa si chiude e la Seat di mio padre parte: la destinazione è Stoccarda, capitale del Baden Wurttenberg. Google dice che ci metteremo sei ore e trentaquattro minuti.
Il viaggio fila piuttosto liscio fino al Brennero: niente traffico, pochi camion, nessuna sosta imprevista. Per colazione mangiamo una brioche prima di entrare in autostrada. Davanti a me sfrecciano i cartelli che indicano le uscite da cui sono passata tante volte: Verona, Trento, Bolzano, Bressanone. Appena oltrepassato il confine, la Seat accosta bruscamente.
«Papà, ma siamo appena dopo un casello! Non ci conviene proseguire?»
«Ssssh! Aspetta che sto impostando il navigatore».
Sto impostando il navigatore. Quattro parole, croce e delizia della mia famiglia. Dal momento che nessuno di noi gode di un eccelso senso dell’orientamento, ci affidiamo spesso e volentieri alle suadenti parole della signorina del Tom Tom. Per arrivare a destinazione, ci arriviamo; ma il navigatore di casa nostra sembra avere una spiccata propensione a spedirci per le strade più impensabili. Per dirla con le parole di un amico marchigiano, “a mandarci a frasche”.
«Destinazione trovata. Evitare le strade a pedaggio?»
Papà seleziona “no”.
La signorina Tom Tom ci propone due alternative: seguire l’autostrada fino a Monaco, oppure proseguire dritti dopo Innsbruck.
Madre opta decisamente per la prima opzione: «Dai, arriviamo a Monaco, dopodichè giriamo a sinistra e siamo arrivati, no?». Padre, colto da un improvviso spirito di avventura, decide invece per la seconda scelta: «Dopotutto è più breve».
Proseguiamo quindi allegramente il nostro viaggio fino a Innsbruck. La radio ha improvvisamente cominciato a trasmettere solo canzoni tedesche a base di fisarmonica e potenti voci maschili. Nella mia mente danzano una serie di ragazze tirolesi dalle trecce bionde con in mano boccali di birra.
Abbiamo ormai superato Innsbruck, e seguiamo le indicazioni dei cartelli per la direzione “Deutschland”. La strada comincia a salire, ma non ci preoccupiamo, tanto dobbiamo superare le Alpi, giusto?
Quand’ecco che, all’improvviso, le case finiscono. La temperatura scende pericolosamente: da dieci siamo arrivati a un misero grado Celsius.
«Siamo sicuri di essere sulla strada giusta?»
«Sì, lo dice il Tom Tom».
Lo dice il Tom Tom.
La strada prosegue inesorabilmente. Intorno a noi ormai ci sono solo foreste e prati, i tornanti si susseguono e le valigie oscillano pericolosamente ogni volta che il volante cambia direzione. Una mucca ci attraversa pigramente la strada, un torrente di montagna scorre beato a fianco della strada asfaltata, una pigna centra il vetro anteriore della macchina. La pendenza ha ormai raggiunto il dieci per cento: la Seat sbuffa e rumoreggia, supplicando di fermarci.
D’altronde, siamo in tre con quattro valigie in una macchina a metano e stiamo passando le Alpi svizzere.
Madre comincia a dare segni di inquietudine: ancora poco e ci darà già per spacciati. Padre prosegue imperterrito lungo la via delle Alpi. Io sorrido nervosamente, sentendomi un po’ Heidi e chiedendomi come facciamo a ficcarci sempre in situazioni di questo tipo.
«Dopo questo tornante, la strada comincerà certamente a scendere. Mi sembra impossibile andare ancora più in alto; sicuramente tra poco le cose andranno meglio».
Non ho ancora finito di dire queste parole, che un bianco e freddo cristallo si posa sul finestrino. Alzo lo sguardo: sta cominciando a nevicare.
«Dai, non è possibile, a casa c’era il sole!»
«Quindici gradi, in Italia sembrava primavera!»
I fiocchi di neve sono sempre più grossi e spessi. La mia famiglia prosegue decisa verso la destinazione. Premo il naso fuori dal finestrino, e il mio respiro si condensa in una nuvoletta di vapore.
Tutto avrei detto, oggi, fuorchè di perdermi in montagna.
La Seat è ormai agli sgoccioli, stiamo salendo sulle Alpi con una velocità minima. La neve diminuisce l’aderenza delle ruote e ci costringe ad andare pianissimo; come se non bastasse, continuiamo a salire verso le nuvole in una strada che non accenna a scendere. Una lepre ci supera correndo; a questa lentezza, forse saremo a Stoccarda per Pasqua.
Il nervosismo è palpabile mentre madre e padre discutono sul da farsi.
«Ecco, vedi? Se fossimo passati da Monaco tutto questo non sarebbe successo!»
«Ma l’Austria la dobbiamo superare lo stesso, no? Io ho solo seguito i cartelli con la scritta “Deutschland”…».
Io non posso fare a meno di pensare filosoficamente che la transizione da una vita all’altra è sempre traumatica, mentre le speranze di andare in Erasmus mi abbandonano lentamente. Tra sei mesi sarò ancora in questa foresta, a salire e salire.
Quand’ecco. Nel momento più buio, mentre siamo quasi pronti a scendere e telefonare in Italia perché qualcuno ci venga a raccattare, si accende una piccola candelina di speranza.
«Papà! Non stiamo più salendo!».
È vero. La strada si è fatta improvvisamente piana; la neve scende ancora copiosa, ma la forza di gravità non ci tiene tutti schiacciati contro i sedili. La foresta è terminata, e intorno a noi si stende un prato già bianco di neve. Intorno a noi non c’è anima viva, i fiocchi di neve sono sempre più grandi e pare quasi di essere in una scena di Frozen.
Dopo dieci minuti di sottobosco congelato, finalmente riusciamo a intravedere un piccolo edificio. Le due sono ormai passate da un pezzo, e il nostro stomaco reclama qualcosa da mangiare. La piccola insegna «Gasthof» è quasi completamente coperta dalla neve.
La Seat interrompe il suo lungo viaggio con un grato sbuffo bianco. La neve scricchiola sotto i nostri piedi mentre ci avviamo faticosamente verso la porta di ingresso della casetta.
Ci sembra di essere entrati in un episodio di Heidi. All’ingresso un cane San Bernardo dorme pigramente sul tappeto, scaldandosi accanto a una stufa a legna. Un vecchietto pulisce con uno straccio il bancone, mentre in sottofondo si sentono delle canzoni tirolesi.
I miei genitori mi guardano, convinti che il poco tedesco che so possa risolvere la situazione.
«Sorry… wir mogen… we want to eat something».
Quante ore di corso buttate.
Il vecchietto ci guarda interrogativo, poi accenna con la testa alla vetrina, dove si trova una serie di panini. Quantomeno sembrano appetitosi e non hanno salse strane. Scegliamo il nostro pranzo e ci sediamo a uno dei tavoli.
Mentre mangiamo, il vecchio ci fa segno con la testa a un cartello appeso sopra il bancone che dice: «Free Wifi». In quale strano universo parallelo siamo capitati?
Paghiamo, e il malefico vecchietto ci risponde ridendo, dopo tutti i nostri tentativi di tedesco, con un: «Grazie, arrivederci!».
In barba al navigatore, sono ormai le nove di sera quando vediamo le prime luci di Stoccarda illuminare il cielo.
Ci abbiamo impiegato, in totale, dodici ore e quindici minuti. Dalla capanna del nonno di Heidi è mancato poco per trovare una strada più veloce, e le amabili Alpi svizzere ci hanno lasciato in ricordo un serbatoio vuoto e uno scoiattolo che ci è planato improvvisamente sul tetto dell’auto. Se il buongiorno si vede dal mattino, questo Erasmus sarà ricco di sorprese.
La città è grande, molto più grande di come me la aspettavo. Nonostante tutta la voglia di partire, le farfalle allo stomaco mi assalgono mentre muovo i primi passi verso la mia nuova vita.