GEOPOLITICA

La Guerra del Petrolio

Scritto da Ivàn Karamazov

In questi mesi si è molto parlato del crollo del prezzo del petrolio, universalmente indicizzato in dollari per barile. A molti la notizia non può che far piacere, visto che un minor prezzo del petrolio significa anche minor prezzo della benzina alla pompa, ma da un punto di vista geopolitico la “guerra del petrolio” è un argomento che in certi campi incute timore.

Da anni il prezzo del barile oscillava intorno ai 100 $/bbl mentre, dalla fine della scorsa estate, il prezzo è letteralmente collassato fino ad assestarsi intorno ai 45-50 $/bbl. Un calo del 60%! Il fenomeno è direttamente visualizzabile nel seguente grafico, dove è apprezzabile il fatto che si sia ormai raggiunto il prezzo del petrolio di fine 2008, ovvero quando scoppiò la famosa bolla finanziaria che fece precipitare l’economia globale in una lunghissima fase di recessione:

Crude Oil(Monthly)20150322095607

Le cause di un crollo così repentino sono in parte naturali, ma grande importanza hanno avuto anche alcune scelte strategiche operate dai grandi paesi produttori, in particolare Stati Uniti e Arabia Saudita. Tra le cause naturali possiamo indicare il rafforzamento del dollaro: se la moneta di riferimento per gli scambi di petrolio si rivaluta, di conseguenza il prezzo deve calare – a produzione costante. In Europa il fenomeno è stato parzialmente mitigato dal contemporaneo deprezzamento dell’euro, per cui i prezzi in euro delle merci importate (come ovviamente lo è il petrolio) aumentano man mano che la moneta perde di valore. Un piccolo excursus: in Italia dobbiamo pregare che il costo del barile rimanga così basso, se dovesse risalire fino ai famigerati 100 $/bbl, con questo euro svalutato il prezzo alla pompa sfonderebbe i 2 €/l. Tra le altre cause naturali bisogna invece escludere gli effetti della crescita della produzione di energia da fonti rinnovabili: il petrolio viene principalmente usato per la produzione di carburanti, l’aumento di produzione di energia pulita non può incidere così pesantemente sul prezzo del petrolio.

È del tutto evidente che le scelte fatte dai paesi produttori abbiano inciso in maniera determinante al crollo. La linea rossa è stata varcata lo scorso 22 dicembre, quando l’Arabia Saudita – principale membro del cartello OPEC – dichiarò che non avrebbe mai tagliato la produzione se non l’avessero fatto anche i membri non-OPEC. Tra i membri non-OPEC ci sono gli Stati Uniti, che, con la rivoluzione dello shale, hanno travolto il mercato diventando uno dei tre maggiori produttori di petrolio e gas naturale. Qualche grafico confrontante i maggiori produttori può rendere meglio l’idea (la produzione è espressa in migliaia di barili per giorno):

usaoilprod

saudi ar oil prod

russia oilprod

Da tempo la produzione dei paesi produttori tradizionali è più o meno costante, mentre la produzione statunitense è quasi raddoppiata in due anni. Di conseguenza, la principale causa del crollo del prezzo del barile non è stata la decisione dei membri OPEC e Russia di non tagliare la produzione, ma l’aumento di produzione domestica statunitense. Gli altri membri hanno solamente deciso di serrare le fila e non tagliare la produzione per non perdere quote di mercato, nell’attesa che i prezzi ricomincino a salire.

 Oltre a questa lotta per il mercato del petrolio ci sono interessi geopolitici importanti, perché ci sono molti paesi nel centro della politica internazionale la cui ricchezza di fatto dipende dalla produzione e vendita di fonti fossili:

  • La Russia: le sue entrate fiscali federali dipendono per circa il 50% dalle esportazioni di petrolio, è chiaro che non può permettersi un production cut. Il recente allontanamento del paese dal blocco occidentale ha fatto infervorire gli Stati Uniti, che potrebbero, quindi, guadagnare da un rallentamento dell’economia russa;
  • L’Iran: altro paese membro OPEC al centro della politica estera statunitense e israeliana in seguito alla decisione di costruire impianti per l’arricchimento di uranio;
  • Il Venezuela: membro OPEC nel caos totale, l’indebolimento della nazione è un’occasione ghiotta per chi vuole mettere le mani sulle riserve venezuelane.

Tuttavia i recenti sviluppi sul piano internazionale (in particolare la distensione dei rapporti tra Iran e USA) fanno immaginare che in primo luogo la guerra del petrolio sia commerciale e che, essendo combattuta tra attori così tanto diversi, è difficile pensare che dietro ci sia la diretta volontà di destabilizzare i paesi sopra indicati.

Avrete ormai capito che se un mercato inondato di petrolio non è capace di consumarlo, questo petrolio deve essere stoccato. In questi mesi moltissimo petrolio è andato stoccato nelle riserve strategiche nazionali. La Cina ha già riempito le sue riserve, arrivando al record di 90 giorni di petrolio importato, la Russia cerca di vendere petrolio a destra e manca per riempire le riserve europee e cinesi, mentre le riserve statunitensi sono esplose raggiungendo il 60-70% della capacità totale:

us oil storage

Se il trend dovesse rimanere questo, una volta che le riserve avranno raggiunto la massima capacità c’è addirittura spazio per un ulteriore price cut: a questo punto si farebbe di tutto per vendere il petrolio e il prezzo potrebbe abbassarsi fino ai 20-30 $/bbl. È uno scenario in cui non bisogna sperare, perché potrebbe creare le premesse per una grande onda destabilizzante, soprattutto in Russia e nel dolorante Medio Oriente. Gli Stati Uniti potrebbero invece precipitare ancora in una crisi finanziaria: le trivellazioni sono finanziate a debito, che ha ormai raggiunti 200 miliardi di dollari. È noto che il prezzo dello shale non è competitivo rispetto al tradizionale, per cui un crollo del prezzo potrebbe rendere insolventi molte società estrattrici, con il rischio che quella che è stata definita “bolla dello shale” scoppi.

Staremo a vedere, nel frattempo, godiamoci una nuotata nell’oro nero.

 

Fonti:

http://www.reuters.com/article/2014/12/21/us-oil-prices-saudi-idUSKBN0JZ05W20141221

http://www.tradingeconomics.com/

http://www.bloomberg.com/news/articles/2015-03-18/u-s-oil-storage-glut-expands-faster-than-expected

http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2014-11-12/crollo-petrolio-e-debito-spazzatura-bolla-shale-oil-rischia-esplodere-210140.shtml?uuid=ABameCDC

 

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