Premessa: includendo questa mia dedica d’amore a Dylan Dog fra le “frequenze” non credo affatto di essere stato imparziale sebbene abbia provato a parlare dell’eroe con molte macchie e qualche paura cercando di non spoilerare.
Se ci fosse qualche altro fan dell’indagatore dell’incubo gli chiedo di lasciare qualche commento spiegando cosa gli stia piacendo o no della “rivoluzione” che Dylan sta vivendo.
Il mio nome è Dog, Dylan Dog
Oggi ho un appuntamento in stazione e, grazie alla mia ansia, arrivo con tre quarti d’ora d’anticipo.
Mi guardo attorno cercando qualcosa da fare, vedo l’edicola e realizzo che non ho ancora comprato la mia razione mensile di DD: Dylan Dog.
Lo compro e mi siedo vicino a un orologio gigante per paura di arrivare in ritardo. Un quarto d’ora dopo mi ritrovo già a rileggere le cose che più mi hanno colpito.
Va avanti così da quando ho circa dodici anni, ovvero da quando una serie di scritte gialle su sfondo nero a casa di mio cugino (c’è sempre un cugino presente in questi aneddoti) attirarono la mia attenzione.
Ho assistito alla caduta di Urania, alle morti dei maestri della Notte.
Ho seguito le vicende di mezzi demoni e mi sono perso nella nuova Era, eppure non posso fare a meno di tornare a Bakery Street.
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Scherzo, sete stati attenti? Lo so che si tratta di Craven Road.
Dylan, per me, è stato un compagno fedele in tutti questi anni anche durante la sua “crisi” che ha passato. “Crisi”, questa, non solo economica, ma anche autoriale. In pratica il lettore medio cresceva e Dylan non riusciva a tenergli il passo. Beh, questo fino a un anno fa, cioè quando Roberto Recchioni decise di rivoluzionare tutta la testata.
Di che crisi stiamo parlando?
Dylan Dog non riusciva più attrarre un così vasto e variegato numero di persone come negli anni passati e, per analizzare questo, dobbiamo rintracciare la risposta nel vero problema: gli autori.
Il personaggio di Dylan, arrivato ormai a quota 200 albi, si stava sempre di più ammorbidendo, diventando l’ombra di se stesso con storie standardizzate e omologate.
L’indagatore dell’incubo è sì cresciuto con i suoi lettori, ma fino a un certo punto. E questo non significa che non si siano tentati approcci narrativi più coraggiosi (come quelli che citerò in seguito), ma che essi non siano stati sufficienti. Il calo di richieste del nostro eroe è continuato inesorabile.
Ma, prima di indagare nei particolari questa crisi, c’è bisogno di una piccola premessa. Dylan, durante le sue avventure, oltre a legarsi all’ispettore Bloch (la parte razionale) e a Groucho (suo assistente e parte irriverente), si è confrontato anche con altri personaggi che, pur apparendo di rado, hanno influenzato moltissimo il nostro eroe. Voglio prendere oggi in esame due di questi: Johnny Freak e Cagliostro con i relativi numeri legati alle loro apparizioni per meglio evidenziare il completo excursus della collana.
Il primo numero in esame è, per l’appunto, “Cagliostro” (#18 datato 1988) in cui Dylan e Groucho vivono una trasferta a New York. Quelle pagine sono uno dei migliori esempi di splatter su carta che io conosca, farcite di citazioni e del miglior “black humor” di Tiziano Sclavi. I personaggi presentati in questa uscita sono il gatto Cagliostro e la sua padrona, Kim, i quali hanno poteri magici e li usano per aiutare il nostro protagonista (o almeno così pare).
Li rincontreremo nel numero #63, “Maelstrom” (anno 1991). In questo episodio Sclavi attinge dal mondo Kafkiano e fa capire come sia Cagliostro, e non Kim, in grado di cambiare la realtà che circonda Dylan. I tratti sono più morbidi, i disegni sembrano più pensati e logicamente c’è maggiore maturità che, però, non fa altro che dare nuova linfa all’albo. Ma non finisce qua, infatti ne “L’occhio del gatto” (#119 anno 1996) ecco di nuovo Cagliostro, con una copertina che replica la vignetta di presentazione dello stesso avvenuta nel lontano 1988. In questo numero abbiamo una vera e propria linearità narrativa: succedono cose, Dylan indaga, Dylan risolve. Questa metodologia si rispecchia non solo sul disegno, ma anche sulla psicologia dei personaggi. Cagliostro, infatti, viene svelato (anche se non del tutto) come qualcosa di più di un semplice gatto, ma sembra che il suo intervento finisca qui. Inutile dire come questo abbia lasciato l’amaro in bocca al lettore nella migliore tradizione “Sclavesca”. Sembrerebbe quasi che non ci sia nulla di nuovo sotto il sole, ma è un numero che nella sua semplicità è un punto fondamentale per l’evoluzione dell’albo.
Ma perché tutto questo preambolo? Semplice, perché Cagliostro lo incontriamo nel 2006 nel numero che segna i venti anni dell’albo: “In nome del padre” (#242). È un volume collegato a quello precedente, “Xabaras”, entrambi interamente a colori. Nei due albi vengono spiegate sia la figura di Cagliostro che di Xarabras e di come abbiano influenzato sin dall’inizio la vita di Dylan.
Nonostante tutti gli sforzi succitati tali volumi non rappresentano altro che un tentativo di riprendere i vecchi lettori affezionati a queste due figure, tentativo, questo, che non fa altro che aggravare ancora di più la profonda crisi che l’albo stava vivendo in quel periodo.
Un altro tentativo fatto dagli autori di riprendere vecchi lettori è stato fatto con Johnny Freak.
La prima apparizione di questo personaggio l’abbiamo con l’omonimo numero 81 (anno 1993), uno degli albi più crudi e forti che abbia mai letto.
La trama racconta di un Dylan alle prese con un ragazzo sordomuto orribilmente mutilato incontrato per caso: privo di entrambe le gambe con alcuni organi interni che risultano asportati in maniera perfetta. Dopo diverse indagini Dylan scopre che il ragazzo, chiamato nel frattempo Johnny e dotato di un grandissimo talento per la pittura e per la musica, è stato ridotto in quello stato dal suo patrigno, un chirurgo che lo ha utilizzato dalla nascita come “riserva” di organi per il figlio maggiore Dougal, un ragazzo sadico affetto da una rarissima malattia che ne erode gli organi.
Questo numero segna il periodo migliore della collana e continua fino al #127 “Il cuore di Johnny” (1997).
In questo albo i genitori di Johnny Freak vengono uccisi mentre il fratellastro Dougal scompare misteriosamente. Questo numero rappresenta la perfezione e tutto quello che si sa sul personaggio viene messo in discussione. I tratti sono squadrati: Marcheselli, Sclavi e Casertano conoscono alla perfezione loro “figlio”, sono consci della sua evoluzione e creano dei momenti di pura tensione.
Come dicevo, appunto, il periodo migliore. Come disse Dylan a Bloch proprio alla fine del racconto:
“E con questo la storia è chiusa.”
Bloch: “Forse.”
Facciamo ora un salto avanti, eccoci nel 2007 con il nume 245 “Il cimitero dei Freaks”. Abbiamo qua un altro tentativo di recuperare lettori, cercando di attrarli almeno per il titolo, ma nulla è più lontano dalla cruda bellezza del passato. Non si parla altro che di un cimitero in cui vengono sepolte tutte le persone affette da gravi malformazioni fisiche e nel quale alcune tombe vengono profanate da alcuni curiosi. Quando uno di loro verrà ucciso a morsi, Dylan Dog indagherà per scoprire il mistero. Una storia lineare, con pochi colpi di scena e niente splatter.
D’ora in poi ci sarà un lento decadimento (mese per mese) fra albi, almanacchi, colorfest e vari speciali. Il numero della svolta è “Una nuova vita” (#325 anno 2013) e, per parlarne, mi rifarò alle parole di Roberto Recchioni: “Alcuni mesi fa Tiziano Sclavi […] ha iniziato a riflettere su Dylan Dog. Si era evoluto nel corso degli anni, allontanandosi in qualche misura dal suo spirito originale. Ha quindi avviato il rinnovamento della serie, affidando a me il compito di metterlo in moto. […] Nei prossimi mesi vi offriremo il meglio di quello che già era in cantiere […] e tra un anno esatto le storie che possiamo definire come una nuova fase della vita di Dylan Dog.”
Dylan si scongela finalmente dal rigore in cui stagnava e lo fa non solo nelle trame, ma anche nei disegni: per ogni albo c’è uno stile e una mano diversa. Questo rinnovamento si può quasi suddividere in due “fasi”.
Nella prima, affrontata con difficoltà sia da critica che da lettori, sono stati scardinati tutti i punti più nostalgici della serie, una vera propria demolizione del personaggio conclusasi con un incredibile numero col quale Recchioni mette a tacere in 100 pagine le migliaia di critiche dei mesi precedenti. È un numero a colori e si chiama “Spazio profondo” (#337). Tiziano Sclavi a tal proposito ha dichiarato: “Un nuovo ciclo, una rinascita del personaggio che tanto ha dato al fumetto italiano e tanto darà, speriamo, in futuro. Buon viaggio nell’ignoto.”
Nella seconda fase si da quindi vita al “nuovo” Dylan. Al momento sono 18 gli albi pubblicati dopo il fatidico 337; 18 avventure che hanno portato Dylan a confronto con tanti temi diversi: la tecnologia, l’amore, l’Inferno e una nuova nemesi. Gli autori hanno, in pratica, preso il Dylan Dog originale catapultandolo nel 2010 e togliendogli tutte le (poche) certezze che nel corso degli anni aveva acquisito: tutto è tornato di nuovo così… surreale.
Una frase può meglio sintetizzare quello che sto dicendo:
“Perchè è la vita e non la morte che non conosce pietà, Dylan Dog.“
Ora siamo nel pieno della fase due e, all’alba dei miei 27 anni, mi sento pieno di curiosità, come quando a dodici mi apprestavo a girare le pagine polverose della collezione di mio cugino, facendo attenzione a non rovinarle.
P.S.
Già i ragazzi di Mondo Nerd hanno parlato dell’evoluzione di Dylan, io ho voluto dare uno sguardo generale. Loro, invece, si sono concentrati numero per numero. Vorrei segnalare in particolar modo la recensione del numero #342 “il cuore degli uomini” che potere trovare QUA
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