Cronache di uno Studente Fuori Sede ESPERIMENTI LETTERARI

Cronache di uno Studente Fuori Sede. Capitolo 9: Santi e THC. Parte III: La Metamorfosi di Andrea

Scritto da Rorschach

“Cronache di uno studente fuori sede” è, fra le altre cose, un esperimento narrativo. La scrittura non è lineare, le frasi sottolineate indicano i pensieri che mi son balenati in testa, quelle in grassetto sono relative alla mia parte razionale e quelle in corsivo alla mia parte emotiva. Il risultato potrebbe sembrare strano e un po’ schizofrenico. Beh, lo è.
Se non hai mai letto queste Cronache inizia qua, se invece ti sei perso la Saga di Daniela inizia da qua.

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Sono ormai a Padova già da un po’ e, dopo aver sconfitto la precedente coinquilina in una fredda battaglia psicologica, decido di togliermi delle piccole soddisfazioni, tra cui qualche rissa in notti di studentesco ordinario delirio.
Dopo aver rischiato lo sfratto per via di una vita solitaria non proprio al massimo dell’ordine e della pulizia, un nuovo coinquilino è entrato, inconsapevolmente, nelle vicende di queste cronache. È Andrea, che è recentemente scappato da un collegio cattolico dove veniva tormentato. Spinto dal mio animo buono e supereroistico decido di aiutarlo a placare la sua presunta sete di vendetta. Il piano prevede la caccia e la cattura di tre nutrie da rilasciare poi nel collegio dei ragazzi. Dopo averne con fatica catturata una andiamo in Arcella per assoldare una prostituta da usare come diversivo. Qualcosa. però, va terribilmente storto e veniamo inseguiti da decine di tossici e spacciatori pronti a farci la pelle.

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Capitolo 9: Santi e THC

Parte III: La Metamorfosi di Andrea

Pedaliamo sulle biciclette come pazzi, il sudore ci cola dalla fronte scivolando sul naso, ci riga gli zigomi per poi arrivare giù, fino al mento. Andrea è al mio fianco, pedala come se si fosse fatto due strisce di cocaina. Per tutta la giornata l’angioletto era sempre stato tre metri indietro, adesso pompa sui pedali come se avesse alle spalle il ghostrider.

ghostrider

Ed effettivamente è all’incirca così.

Qualche minuto prima la cream di Arcella, equivalente al Bronx patavino, era stata attirata dalle urla terrorizzate di una prostituta. Urla che, in poco tempo, hanno attirato l’attenzione di spacciatori, ubriaconi, tossici e chissà chi altri.

“Andrè continua a pedalare, tanto sono a piedi!”
Mi risponde limitando ad ansimare in preda all’affanno.

Mi volto per un secondo e mi sale il panico: ci hanno quasi presi. Fibre africane e un’alimentazione a base di kebab e droga hanno reso alcuni di loro decisamente veloci.

zombie run

Ma proprio la zoccola piena di amici dovevamo incontrare?
Se continuiamo a curvare fra i palazzi faremo una brutta fine.
E da quando una prostituta non dovrebbe averne?
Stiamo andando troppo lenti. ‘Sta cazzo di nutria pesa troppo.
Beh, ma hai visto quanti sono?!?
Non possiamo sperare di seminarli qua fra queste strade.
Sarà a malapena la clientela del weekend.
Ma non potevano farsi i cazzi loro?
Se non cambiamo strategia la vedo male.”
Ti stai davvero stupendo del fatto che venti ragazzi siano andati in aiuto di una ragazza che gli succhia il cazzo a giorni alterni?
PORCA TROIA!!
Letteralmente.
RAGAZZI!!!
Ah si, dicci.
Ci serve un rettilineo.

Svolto a destra un’ultima volta gridando ad Andrea: “SEGUIMI!”
È via Jacopo Avanzo ed è la strada che fa per noi, prosegue lunga per centinaia di metri e le nostre biciclette, seppur sgangherate, funzionano ancora bene.
La nutria nel sacco si muove in preda al panico agitandosi in continuazione e facendomi perdere di tanto in tanto l’equilibrio. Mi sollevo sui pedali spingendo più che posso, i quadricipiti sono arroventati e i polpacci tesi, Andrea ha lo sguardo spiritato e pelle funerea.
Dopo cento metri di sprint sentiamo grida incomprensibili raggiungerci da lontano: mi volto un attimo e vedo che hanno smesso di inseguirci quasi subito dopo aver imboccato via Avanzo, la fuga è durata pochissimi secondi, ma è stata intensa.
Qualcuno di loro ci maledice in lingue sconosciute e alza le mani al cielo, qualche altro prova a continuare l’inseguimento, ma la differenza di velocità ha la meglio.

“Andrè.”
“*Uff*Uff*Pant*Pant*”
“Andrè!!”
“*Uff*Uff*Pant*Pant*”
“ANDRÈ!! CAZZO FERMATI!!”

Andrea non mi sente, il suo sguardo è perso nel vuoto, non può fare a meno di pedalare come un pazzo in preda a scariche di adrenalina. Le mani stringono rigide il manubrio, le braccia sono tese e i capelli biondi sono aculei luminosi spinti indietro dal vento. Mi risollevo sui pedali, ho la federa che pende ancora dal manubrio con la povera bestia all’interno che sbatte contro la canna della bicicletta e la mia gamba destra, do due colpi più forti con le gambe e lo raggiungo. Inizio lentamente a tagliargli la strada mettendomi davanti a lui e costringendolo a rallentare.

“Tutto bene Andrea.”
“Forza su. Rallenta.”
“Bravo così.”
“Ancora un po’.”
“Perfetto.”

Siamo ritornati ad un’andatura normale e il suo volto sembra più tranquillo, anche se ben lontano dall’essere sereno. Proseguiamo in silenzio lungo la strada, Andrea è sconvolto.

A: “C-c-che è successo?”
Io: “Niente, tranquillo.”
A: “Se ne s-s-s-sono andati?”
Io: “Si, siamo salvi.”
A: “…”
Io: “…”
A: “E adesso?”
Io. “Adesso assaporiamo il vento che ci accarezza i capelli e ci ricorda che siamo vivi.”
A: “…”
Io: “Stai bene?”
A: “Beh, si. È che non mi ero mai agitato tanto in vita mia.”
Io: “E come ti senti ora?”
A: “…Non saprei dire, è una sensazione strana. Mi sento come se… non so. Davvero. N-n-non so descrivere. Non è che mi hai dato qualche sostanza?”
Io: “IO?!? Andiamo, non essere ridicolo Andrew bello. Non lo farei mai.”

Ma la vuoi finire di fare sempre lo sbruffone e il fintamente duro?
Nah.
Potrai pure mentire a lui, ma non a me.

Arriviamo a Ponte Unità d’Italia e iniziamo a risalire lentamente il cavalcavia. La nutria nella federa continua a lamentarsi con i suoi Gnheeehhiee dati da un puro mix fra dolore fisico e stress per tutto quello che sta passando.

Mentre pedaliamo pensieri discordanti viaggiano veloci su sinapsi neuronali.

E adesso?
Io ho sonno.
Nah, dai. Facciamola ‘sta cazzata.
Non ti basta quello che è successo e che abbiamo evitato?
… E la nutria? Pensa alla nutria. Ci abbiamo messo due ore a prenderla.
Beh… La nutria…
E considera anche tutta la sbatta di oggi pomeriggio…
Potremmo portarla a casa.
Ah si certo, poi gliela pulisci tu la merda?
Sono stanchissimo.
Mmmhh… Però domattina dobbiamo studiare.
E come distraiamo il tizio?
Mi farò venire in mente qualcosa.”

Io: “Adesso mi dirai dov’è il collegio.”
A: “COSA? CI VUOI ANCORA ANDARE?”
Io: “So che può sembrare un tantino fuori luogo, ma considera che ormai abbiamo ‘sta nutria. Sarebbe un peccato sprecarla.”
A: “MA SEI FUORI?!?”
Io: “Andrea non devi farlo per me. Fallo per la nutria.”
A: “TI STAI RENDENDO CONT-”
Io: “Non possiamo sprecare la nutria.”
A: “TUTTO QUESTO NON HA S-”
Io: “La nutria, Andrè. Pensa alla nutria.”
A: “…IO NON POSSO DAVVERO CRED-”
Io: “La nutria.”
A: “…”
Io: “È la sola cosa che conta ormai.”
Dei lamenti ci raggiungono dalla federa: “Gnheeehhiee, gnheeeeeehhiiiee.”
Inarco leggermente le sopracciglia teneramente: “Visto? Vuole partecipare!”
A: “Sta facendo così solo perché l’hai ubriacata!”
Io: “Forse, ma proprio è da ubriachi che si dicono le cose con più sincerità. Ecco perché provo ad ubriacarmi il più possibile.”
A: “Piuttosto, si può sapere perché l’hai ubriacata? Capisco il lassativo, ma la vodka? Perché la vodka?”

La domanda mi colpisce inaspettata.

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Già, perché?
Beh…
Non ci avevo pensato.
Ti giuro che non ne ho idea.
Immagino fosse scontato voler far ubriacare la nutria e basta.
Si ma perché?!?
Perché no?


For the lulz?
Immagino sia davvero l’unica spiegazione da dare.

A: “Allora, perché la vodka?”
Io: “Per una serie di ragioni biologiche che non ti ho detto.”
A: “Ah, si? Ovvero?”

Emisfero destro?
Al rapporto.”
Inviare al centro di comando manovre di persuasione numero 3 e 21: sguardo convinto e voce ferma.
Agli ordini. Sopracciglia leggermente corrugate e voce baritonale sono calibrate perfettamente.

Io: “…Insomma lo stomaco dei roditori non è in grado di metabolizzare bene sostanze altamente digerenti a meno che non vengano accompagnate da molecole zuccherine complesse. Tipo l’alcool.”

Ma è vero?
Probabilmente no.
Tanto lui non lo sa.
Com’è la sua espressione?
Sembra scettica, pare stia per rispondere.
Aggiungere manovra di persuasione 45: suppo-sopracciglio.
Agli ordini.

Il sopracciglio si alza leggermente mentre la mia faccia si dipinge addosso un’espressione supponente e sicura di sé.

Aggiungere ‘supercazzola scientifica’.
Consideralo fatto.

“È una caratteristica comune a tutti i mammiferi Myocastoridae del genere Myocastor.”

Andrea ritrae il mento e aggrotta la fronte: “Come scusa?”

Non sembra ancora convinto.
Aggiungere altra supercazzola e passare di demi volée incrociata a manovra evasiva 001: domanda sul sesso.”
Supercazzola in posizione.
Domanda incoccata.

Io: “Beh, alla fine dipende tutto dal grado genomico di differenzazione del suddetto Myocastor. Può essere palustre o castorino.”
A: “Non mi sembra che il discors-”
Io: “E tu con chi scopi, Andrè?”
Lo vedo cambiare espressione repentinamente, la sua voce torna tremolante: “B-b-beh cosa centra questo adesso, scusa?”
Io: “È importante avere una ragazza, Andrew bello. Dai, con chi ci stai provando?”
Andrea inizia a balbettare e a rispondere a scatti, abbozza risposte senza un inizio e senza una fine.
A: “B-b-b-beh diciamo che comunque f-f-fin-finora sono stato in collegio. E-ed ecco q-q-q-quindi non è che potevo portare r-r-ragazze in camera eh.”

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Ben fatto ragazzi.
Proiettile schivato.
Si, però non so…
Cosa?
Guardalo, mi fa tanta tenerezza.
Mah.
Secondo me abbiamo esagerato.
Dici?
E te lo chiedi? Lo abbiamo catapultato un po’ troppo presto nella parte peggiore di noi.

Avrei preferito prima fargli conoscere la nostra gentilezza domestica.
Mi prendi in giro?
No, alla fine siamo dei buoni coinquilini. Sappiamo farci voler bene. Ci piace lavare i piatti degli altri, cucinare quando possiamo e prestare roba.
Beh si.
L’importante è che non se ne approfittino.
Vabè, poi si pensa. Adesso vediamo dov’è ‘sto collegio.

Pedaliamo lentamente superando la stazione e ritornando nella parte civilizzata di Padova, la domanda evasiva ha aiutato Andrea a tornare in uno stato mentale accondiscendente e malleabile. Mi guida fra strade al buio e illuminate, su asfalto e su acciottolato, la notte ci osserva sorridendo dall’alto mentre le ruote delle biciclette ruotano cigolando debolmente.

A: “Siamo quasi arrivati.”
Io: “Bene.”
A: “C-c-cosa pensi di fare?”
Gli sorrido: “Vedrai.”

Parcheggiamo le biciclette poco lontano dalla residenza e arriviamo davanti all’ingresso.

Io: “Bene, prendi il tuo telefono e dammi i numeri dei ragazzi.”

Andrea sfila il telefono dalla tasca e comincia a cercare: “Il primo è questo, si chiama Christian.”

Inserisco le cifre per la chiamata anonima, digito il numero e chiamo.
Attendo in linea per un minuto, nessuna risposta.

Merda.
E se non ci dovesse rispondere nessuno?
Non dirlo neanche per scherzo.”
Una serata così buttata nel cesso.”

Io: “Qual è il prossimo?”
A: “Ecco qua.”
Io: “Bene.”
A: “A-A-Anon, ma s-s-sei sicuro?”
Io: “Lascia fa, Andrew bello.”

Anche questa volta il telefono suona a vuoto per quasi un minuto.
Proviamo i primi cinque e nessuno di loro mi risponde.

Io: “Non dirmi che sono andati proprio loro in discoteca.”
A: “N-non lo so. Ne resta solo uno. Q-q-quindi dobbiamo sperare che sia quello rimasto a f-f-fare la guardia…”

Mi mostra lo schermo del suo smartphone, leggo la cifra, maschero il mio numero con il codice e inizio a digitarlo lentamente. Rileggo i numeri più volte, non posso sbagliare.

Porto il telefono all’orecchio sperando che, questa volta, qualcuno risponda. Il tuu-tuu sordo comincia anche questa volta e mi lascia attendere per dieci secondi.

Dopo venti secondi inizio ad abbandonare le speranze.
Dopo trenta secondi chiudo gli occhi e guardo Andrea sconsolato scuotendo la testa.
Il tempo passa e il mio sconforto sale in modo direttamente proporzionale alla tranquillità del mio coinquilino.

I suoi occhi son carichi di speranza e gratitudine e inizia a sorridermi sussurrando: “Dai, Anon. Lascia perdere. Hai visto? Non c’è nessuno, daaaai perfav-”
Accade.

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“Pronto?”

Interrompo Andrea sollevando il palmo verso di lui e abbassando piano la mascella in un sorriso convinto.
Porto la mano sul microfono tappandolo leggermente e gli sussurro: “Sta a guardare.”

A quel punto chiudo gli occhi, faccio un leggero colpetto di tosse e torno tranquillo per un attimo portando il microfono ben vicino alle mie labbra.

“PRONTO?!?”
Inizio a gridare: “NUNZIO!! SEI TU?!?”
“…Si, ma chi è?”
“È SUCCESSA UNA COSA ORRIBILE, TI PREGO SCENDI SUBITO! CHRISTIAN STA MALISSIMO, DOBBIAMO PORTARLO IN OSPEDALE!!”
“M-m-ma cosa sta succedendo? C-c-chi sei? Ti conos-”
Incattivisco la voce rendendola rauca: “APRI LA PORTA, COGLIONE!! QUESTO CI STA RIMANENDO SECCO!!”
“O-o-okay, arrivo!!”
“MUOVITI!!”

Chiudo la chiamata e mi rivolgo ad Andrea. È lì in piedi e mi guarda pietrificato.

A: “E adesso che vuoi fare?”
Io: “Adesso, vecchio mio, è venuto il momento della tua rivalsa. Il momento in cui ti evolverai e passerai da ragazzino a uomo.”
A: “…I-i-i-o non riesco a capir-”
Io: “Io adesso me ne andrò, resterò lì dietro a guardare la scena e non interverrò.”
A: “COSA?!? E IO COSA DOVREI FARE?!?”
Io: “Dire la verità. Dire a Nunzio quanto diavolo lo detesti, quanto non lo sopporti. Metterti davanti a lui e dirgli tutto quello che avresti sempre voluto dirgli.”
A: “ODDIO NONONONONONONONONO, TU NON CAPISCI, QUELLO MI AMMAZZA!”
Io: “Sei un uomo o un bambino?”
A: “NO TU NON HAI BEN CH-”
Io: “SEI UN UOMO O UN BAMBINO?”
A: “I-i-i-io…”
Io: “Accetterai le responsabilità delle tue parole, affronterai una volta per tutte la situazione e chiuderai questa faccenda alle spalle. Gli dirai tutto e se non lo farai giuro che, e sai che lo farò, sarò io a prenderti a pugni.”
A: “…”
Io: “Vedila in questo modo, con lui c’è una possibilità che non lo faccia, con me ne hai la certezza. Se non vuoi farlo perché non hai le palle, allora fallo per una semplice questione di probabilità e senso di sopravvivenza.”

Sento dei passi avvicinarsi veloci. Andrea è pietrificato e scosso allo stesso tempo.

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Io: “Adesso vado. Resterò qua dietro, mi raccomando.”
A: “M-m-m-m-m-m-m-m…”
Il suo labbro inferiore trema debolmente.
Lo guardo seriamente provando a rassicurarlo. “Buona fortuna Andrew, sono con te. Non ti lascerò un attimo.”
A: “…”
Io: “Forza, ce la puoi fare.”

Mi allontano velocemente nascondendomi dietro un muretto lì vicino, mi siedo sui talloni e mi sporgo dall’altro lato dell’angolo in mattoni. Andrea è rimasto lì, pietrificato e con le mani in tasca.
Mi rivolgo alla federa aprendola leggermente: “Visto cara? Alla fine stasera non sarai neanche utilizzata.”
Si contorce debolmente a pancia in su nella pappetta avanzata: “Gnheeehhiee…”
“Lo so, lo so. Capisco che volevi partecipare, ma Andrea sta per diventare un uomo con le sue sole forze.”

Non sarà un po’ troppo per lui?
No, è un ragazzo buono, ma è un represso. Deve affrontare le sue paure.
E noi chi siamo per giudicarlo così?
Nessuno, ma state tranquilli. Non permetterei mai che gli succeda niente.
E cosa pensi di fare se la situazione dovesse diventare bollente?
Qualunque cosa sia necessaria per aiutarlo.
Oh, ma sentitelo il nostro romanticone! Proprio un bel piano eh, complimenti. Sento già Giulio Cesare e Napoleone prendere appunti.
Sta zitto.
Sei quasi peggio di me.
Almeno io sto provando a dargli una vera scossa. Tu ti saresti limitato a scherzetti da idiota.
Oh-oh-oh! Ti vorrei ricordare che i miei ‘scherzetti da idiota’ hanno messo in fuga la più grande minaccia che l’umanità abbia visto dopo la malaria e la pes-
È ARRIVATO.

Smetto di litigare con me stesso e inizio a coccolare la nutria da sopra la federa come farebbe Ernst Stavro Blofeld in un film di James Bond, sono seduto su un gradino e faccio silenziosamente il tifo per il mio angioletto. La palla di pelo reagisce alle mie coccole lamentandosi e continuando ad emettere piccoli gemiti di pena.

Ernst Stavro Blofeld

Osservo la scena.

Il ragazzo arriva trafelato, ansimando e rallentando la corsa solo all’ultimo. È più basso sia di me che di Andrea, ha corporatura tozza e capelli corti, un piccolo torello. Vede Andrea e si blocca di colpo. Inizia a camminare piano verso di lui lasciando che la porta si chiuda alle spalle.

N: “TU?!?”
Andrea rimane immobile: “…”
N: “Si può sapere che diavolo è successo?”
Ha ancora le mani in tasca: “…”
N: “Mi hai chiamato tu?!?”
La testa infossata nelle spalle non accenna a sollevarsi: “…”
N: “GUARDA CHE NON STO SCHERZANDO!! ADESSO MI DIRAI CHE DIAVOLO VUOI! È STATO TUO LO SCHERZO AL TELEFONO?!? HAI LA MINIMA IDEA DI QUANTO MI SIA PREOCCUPATO?”
A: “…”

Dai Andrè, dai cazzo!

N: “Ascoltami bene piccolo bastardo.”
Il torello Nunzio si avvicina a passi corti e decisi verso il mio marmoreo coinquilino.
N: “Ora mi dirai quello che sta succedendo, o giuro che ti ammazzo.”

Forza!
Ma che diavolo sta aspettando?

Massaggio la nutria con più vigore facendomi coinvolgere dall’evento. L’animale si contorce sempre di più e i suoi Gnheeehhiee si fanno sempre più rumorosi e frequenti.

Sta’ zitta, per carità. Zittà!

N: “Allora? Ti sei fatto magnà la lingua eh?”
Stende le braccia muscolose e afferra con entrambe le mani il bavero della giacca di Andrea spingendolo verso il muro. Sento l’urto contro i mattoni e un piccolo squittio del mio amico.
N: “Pensavi davvero di poter venir qua, fare quello scherzetto e pensare di passarla liscia?”
La sua voce diventa più forte: “DIMMI UN PO’, ERA DAVVERO QUELLO IL PIANO?!?”

Stringo la nutria con entrambi le mani lasciandomi coinvolgere un po’ troppo dalla rabbia. L’animale si dimena e mugola dolorante finché, come se il suo stomaco gonfio non fosse altro che un palloncino di gomma, non lo sento sgonfiarsi lentamente fra le mie mani in un sonoro PRROOOT.

balloon

Ma che diavolo?

Sento distintamente la palla di pelo diventare un ovale di pelo mentre un violento spruzzo di feci comincia a riempire il fondo della federa.

OCCRISTO!!

L’animaletto non ce la fa più, inizia a vomitare con strozzi sordi e spalanca totalmente gli sfinteri lasciando fuoriuscire più putrescente pappatta di quel che credessi possibile. La puzza è acre, umida, pungente e si spande lentamente nell’aria come denso miele appiccicoso.
Continuo ad osservare la scena grottesca che prende vita all’interno della federa indeciso se scattare una foto o provare ad aiutare in qualche modo il roditore.

E come pensi di aiutarlo?
Ma le nutrie possono davvero vomitare?
La risposta è davanti a te.
Ma senti che puzza, mamma mia…
Secondo te c’è anche piscio?
Ha davvero importanza?
Beh non saprei è solo che-
HEY RAGAZZI!!
Che cosa?
Forse abbiamo perso di vista la situazione principale.

Mi volto di scatto e osservo la scena: Nunzio sta prendendo a schiaffi Andrea contro il muro.

“ALLORA PICCOLO COGLIONE!! È COSÌ CHE VUOI ESSERE CHIAMATO, NO?”

Merda!!

La vista inizia ad annebbiarsi mentre sento il sangue andarmi al cervello facendomi pulsare le tempie.

Scandisce le parole prendendolo a schiaffi: “PIC-CO-LO CO-GLIO-NE! PIC-CO-LO CO-GLIO-NE! AHAHAHAHA!!”

ALLORA QUESTO VUOLE FARMI INCAZZARE.

Mi risollevo in piedi e afferro la federa con una mano stringendo i bordi di cotone nel pugno, chiudendo l’apertura. Vedo Andrea che prova a ripararsi la faccia con quelle sue mani grasse e paffute mentre inizia ad accasciarsi lentamente al suolo.

Il torello continua con la sua cattiveria: “ALLORA?!? VA MEGLIO COSÌ?!? TI PIACE FARE GLI SCHERZI E POI STARE ZITTO, EH?!?”

Lo vedo sollevare la tibia e con un calcio colpirlo alla gamba.
Andrea inizia a piangere, non riesce a dire una parola, ma lo sento singhiozzare.

È l’ultima goccia.

shitstorm

Ci separano pochi metri e inizio a percorrerli velocemente a rapide falcate iniziando a far turbinare la federa sopra la testa.
Sono cieco di rabbia, la nutria comincia a gemere sempre più forte e la federa zuppa di liquido dalle dubbie proprietà organolettiche lascia passare in preda all’accelerazione centrifuga gocce di fluido amaranto che partono a spirale verso ogni dove. La shitstorm si avvicina implacabile.
Grugnisco come il Cinghiale di Erimanto, scagliandomi a testa bassa contro il piccolo Ercole che mi si para davanti, ma questa volta il mito andrà diversamente.

La scena è frenetica e tutto accade fin troppo in fretta. Posso vedere Nunzio voltarsi velocemente e guardare me, un’ombra scura con giacca di pelle e passamontagna che si avvicina terribile verso di lui. L’istante dopo lo vedo stringere i denti e provare a sollevare la mani come scudo davanti al volto senza avere neanche il tempo per parlare.

Ma con chi credi di avere a che fare?!?

Mi lancio a gamba tesa approfittando della guardia interamente sollevata. Lo colpisco allo stomaco, l’istante dopo lo vedo piegarsi in avanti mentre un umido sacco di cotone lo colpisce con forza in faccia. La nutria è pesante, mi ha distrutto il braccio per tutta la serata, e l’urto con l’animale lo sbilancia facendolo cadere. La palla di pelo geme sempre più forte. Gnheeehhiee!!
Lo vedo accasciarsi a terra e sbattere la testa contro lo spigolo del marciapiede.
Continuo il mio attacco caricando la federa sopra la testa e facendola piombare veloce contro la vittima. Non reagisce e dopo un po’ me ne rendo conto: ha perso i sensi, probabilmente per via dell’urto contro contro il marciapiede.
Schizzi di merda, vodka, piscio e vomito partono ovali dal cotone fradicio mentre una tempesta organica si abbatte su un Ercolino ormai privo di sensi.

Dopo qualche secondo decido di smetterla. Mi ergo davanti a lui ansimante e ricoperto di goccioline vischioso marrone mentre l’adrenalina fa pompare il mio cuore a mille contro lo sterno.
Lo guardo con disprezzo: “E tu saresti quello che dovrebbe ripulire le stalle Augia?”

Hey, Andrea è ancora lì.”
Andiamo a dargli una mano, forza.

Mi avvicino al cherubino, è seduto contro il muretto ed ha assistito a tutta la scena. Un’espressione di pace e serenità si è stesa sul suo volto, ha smesso di piagnucolare.

Io: “Allora, come stai?”
A: “…”
Io: “Tutto bene?”
A: “…C-c-credo di si.”
Io. “Dai vieni qua, alzati.”

Gli tendo una mano e vedo che la osserva scettico, sono più sporco io di Nunzio.
“Non ti preoccupare, faccio da solo.”

Ci avviciniamo al corpo del tizio ansimando entrambi.
A: “E adesso? Che facciamo?”
Lo guardo stringendo le labbra: “Adesso gli facciamo la pipì addosso.”
A: “COSA?”
Io: “Si beh almen-”

Mi afferra da entrambe le spalle e mi spinge verso il muro: “ADESSO BASTA. BASTA! NON NE POSSO PIÙ DI QUESTE TUE CAZZO DI IDEE! HAI ROTTO!! MI HAI FATTO PASSARE LA GIORNATA PEGGIORE DELLA VITA!”
Io: “Beh dai Andrew bel-”
A: “E SMETTILA DI CHIAMARMI ANDREW! IO MI CHIAMO ANDREA! ANDREA, PORCA PUTTANA! LEGGI SULLE LABBRA: A-N-D-R-E-A!”
Le sue mani paffute son diventate tenaglie che mi premono le scapole contro il muro. Una forza non sua lo pervade.

Che diavolo gli sta succedendo?
Guardalo negli occhi, guardalo bene.
È cambiato.

I suoi occhi son chiusi fra le palpebre in due fessure sottili e le spalle si ergono ampie davanti a me. Tutto il suo corpo si è disteso e sembra che abbia guadagnato almeno altri cinque centimetri di altezza.

Io: “Dai Ciccio stai tranqui-”
A: “Ti ho detto che mi chiamo Andrea!”
Io: “Si vabè, è uguale!”
A: “NON È UGUALE!! GIÀ NON TI SOPPORTO PIÙ, ANON. BASTA!!”
Io: “Ma dai, tutto questo l’ho fatto solo per aiutarti!”
A: “Aiutarmi, AIUTARMI?!? MA STAI SCHERZANDO?!?”
Io: “Tutte queste energie non potevi tirarle fuori con Nunzio, scusa?”
A: “…VAFFANCULO.”
Io: “…”
A: “VAFFANCULO ANON, DAVVERO. BASTA.”
Mi afferra dalle spalle con dita muscolose e sembra stia quasi per sollevarmi da terra.

Ha uno sguardo deciso e, per quanto non possa ritenerlo possibile, guardandolo adesso con i capelli biondi che si muovono selvaggi, gli occhi azzurri diventati cunei di ghiaccio e le labbra contratte in una smorfia di rabbia, ho paura.

going differently

Andrea mi sta facendo paura.

Ti rendi conto che questo ragazzo è con noi da poco più di ventiquattro ore…
Non diceva una parolaccia neanche per sbaglio…
Non ha mai sollevato un dito contro nessuno in vita sua…
E ora invece…

Guardalo bene.

La sua bocca è un ghigno severo che scopre denti dal rigido bianco splendente.


Ma cosa ci facciamo alla gente?
Questa volta abbiamo decisamente esagerato, non sembriamo neanche più noi.
È troppo. Tanta roba tutta troppo presto.
Sentite lo so che abbiamo esagerato, lo so, ma…
Ma…
Beh, insomma… Queste cronache non si scrivono mica da sole.
Grande modo di pensare.
Davvero.
Adesso magari andiamo a rapinare un kebabbaro solo per poterlo scrivere, eh?
Beh, ti ricordo che abbiamo ancora due risse da riscuotere.
Ah, già.

Andrea mi stacca le sue mani di dosso e resta a fissarmi per qualche altro secondo.

A: “Allora, la finisci?”
Io: “D-d-d’accordo.”
A: “Niente più stronzate?”
Io: “Niente più stronzate.”
A: “Niente più piani folli?”
Io: “Niente più piani folli.”
A: “Niente più vedermi come il tuo giocattolino?”

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Io: “Ti ricordo che, a rigor di logica, chi ti vedeva come un giocattolino era il gruppo di Nunzio…”
A: “…”
Io: “Beh, almeno adesso hai tirato fuori le palle. L’hai fatto con me, ma l’hai fatto.”

Quelle parole lo colpiscono più del previsto e comincia ad indietreggiare piano.

A: “Quindi… Quindi tutto questo era… DAVVERO PER ME?”
Io: “Svegliati Andrea, certo che era per te.”
A: “C-c-come sarebbe a dire?”

Nunzio è ancora steso sul marciapiede e inizia a lamentarsi piano.

Io: “Per adesso andiamo via, te lo spiego mentre ritorniamo a casa.”

 

———— Epilogo ————

Ancora una volta ci sediamo sulle biciclette e, ancora una volta, iniziamo a pedalare. Prima meta: il Piovego. Dobbiamo riportare la nutria a casa.

Io: “C’è una cosa che non ti ho detto Andrea, una cosa che spero possa giustificare anche solo lontanamente il mio comportamento di questa sera.”
A: “Sto ascoltando.”
Io: “Prima ero come te.”
A: “COSA?!? TU!! COME ME?!? No, mi spiace Anon, questa non la bevo.”
Io: “E invece si. Mi sono trasferito a Padova da qualche tempo e, prima di te, ho avuto in casa una persona che mi ha distrutto.”
A: “In che senso?”
Io: “Ero come te, non sto scherzando. Più spontaneamente generoso, accondiscendente, diplomatico e disponibile. In cambio ho avuto menefreghismo, strafottenza, egoismo ed egocentrismo. Mi ha fatto stare male e non sto esagerando. Ho avuto più di un incubo a causa sua, alcune sere non riuscivo a dormire. Sentirla entrare in casa mi scatenava un brivido lungo la schiena.”
A: “…E poi?”
Io: “Poi, caro Andrea…” sospiro debolmente “Poi anche io ho avuto la mia metamorfosi.”
A: “Ti sei ribellato?”
Io: “Non così bene come hai fatto tu stasera, ma si. L’ho fatto.”
A: “Non credo di seguirti.”
Io: “Il problema sono le persone. Provo a farti un esempio: è un po’ come quando hai una ragazza che ami e le vuoi dare il meglio di te. Vuoi essere romantico, gentile e disponibile, e questo a lei piace. All’inizio.”
A: “Okay.”
Io: “Beh, c’è una linea sottile Andrea, una linea che separa il principe azzurro dallo zerbino. Scavalcarla è un attimo e tornare indietro quasi impossibile, a meno che non si cambi totalmente registro comportamentale. Questo ovviamente ha il controsenso che, per farlo, ci si deve comportare in modo non spontaneo facendo quindi violenza sia verso la tua lei che su te stesso. Beh, con le persone è la stessa cosa. La gentilezza, in un mondo di stronzi egocentrici figli di puttana, non viene apprezzata e passa per remissività nel giro di qualche picosecondo. Da lì al disprezzo e allo sfruttamento è un attimo.”

Arriviamo sull’argine del fiume e apro la federa facendo rotolare la nutria sull’erba insieme ad un getto di densa pappetta putrescente.

Io: “Torna a casa, Lassie.”
A: “Poverina.”
Io: “Avrà qualcosa da raccontare ai suoi nipotini.”

Vediamo il roditore sollevarsi lentamente sulle zampette mentre fugge da noi traballando e ondeggiando.

Io: “Quindi ho voluto svegliarti. Darti una scossa che, se avessi voluto farti avere con calma, mi avrebbe fatto passare per stronzo e ti avrebbe fatto star male per mesi.”
A: “Da qui il delirio di questa sera.”
Io: “Esattamente.”
A: “Capisco.”
Io: “Non devi farlo, porca troia! Vedi che non hai imparato un cazzo? Dovresti avercela con me adesso, detestarmi e volermi prendere a pugni.”
Guardo negli occhi l’angioletto stringendo il manubrio fra le mani.
Io: “Fallo.”
A: “No.”
Io: “Perché no?”
A: “Perché lo vedo nei tuoi occhi, Anon. Sei sincero.”
Io: “…”
A: “E, per quanto quello che sia successo stasera sia a dir poco assurdo, lo capisco.”
Io: “…”
A: “Ti voglio bene.”

Ragazzi state davvero sentendo quello che sento io?
Oh my God.”
Mi fa male l’anima.”
Mi sento in colpissima.
Ma dai, chissenefre-
ZITTO.

such feel

A: “Grazie Anon.”

Pedaliamo verso casa, rimettiamo le biciclette in garage e saliamo su.

 

———— Epilogo dell’epilogo ————

Apro la porta e un campanello posto in alto suona allegro annunciando il mio ingresso.
Mi avvicino al bancone sbattendo sul ripiano in legno e vetro una busta di plastica. Dopo qualche secondo si avvicina a me una ragazza spostando una tenda che nascondeva il retro del locale.

“Salve, vorrei sapere se trattate anche capi delicati, come giacche di pelle.”
“Certo, di cosa si è macchiata?”

La ragazza avrà circa 35 anni, occhi nocciola con un filo di matita che abbraccia i bulbi oculari in una sottile linea corvina, capelli castano scuri raccolti a coda di cavallo e occhiaie profonde che rovinano un viso potenzialmente carino.

“Penna?”
Scuoto la testa.
“Bianchetto?”
“Nah.”
“Vernice?”
“Acqua, acqua.”

Mi guarda interdetta: “Acqua?”
“No, è solo un modo di dire… Vabè, faccio prima a farglielo vedere…”
Apro la busta e un odore di escremento acido alcoolico si diffonde nel locale.

La ragazza si allontana leggermente dal bancone guardandomi schifata sollevando il bordo superiore del labbro: “Ma che diavolo è ques-”
“Non credo lei voglia saperlo.”

Rimaniamo a fissarci per qualche secondo.

“Allora, quando posso venire a ritirarla?”

benedict-cumberbatch-in-sherlock

 

Nel prossimo numero: Boh, andrò a Friburgo la prossima settimana e probabilmente il racconto salterà.

Clicca QUA per leggere il prossimo capitolo: Cattivi Presentimenti

Foto di copertina da Artribune.com
Ricordo che tutti i fan padovani (e non) possono mandarci i loro scatti. Una giuria popolare e imparziale (io) li sceglierà per farli diventare future copertine delle Cronache di uno Studente Fuori Sede.

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Rorschach

Studente di ingegneria, lettore di fumetti, bassista occasionale, amministratore e scrittore sconclusionato.
Non credo nelle descrizioni da blogger e quello che leggo su internet, non dovreste farlo neanche voi. Forse. Chissà. Meh. Fanculo.

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