Cronache di uno Studente Fuori Sede ESPERIMENTI LETTERARI

Cronache di uno Studente Fuori Sede. Capitolo 8: L’esame. Parte II: Noce Moscata

Scritto da Rorschach

“Cronache di uno studente fuorisede” è, fra le altre cose, un esperimento narrativo. La scrittura non è lineare, le frasi sottolineate indicano i pensieri che mi son balenati in testa, quelle in grassetto sono relative alla mia parte razionale e quelle in corsivo alla mia parte emotiva. Il risultato potrebbe sembrare strano e un po’ schizofrenico. Beh, lo è.
Se non hai mai letto queste Cronache inizia qua, se invece ti sei perso la Saga di Daniela inizia da qua.

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Continua la corsa di Anon e Michele nella preparazione disperata di un esame in un solo giorno. Tentare di studiare tutto in modo normale è ridicolo e inutile, tanto vale farsi dare una mano dalla chimica. Se non hai ancora letto la prima parte del racconto clicca QUA.

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Capitolo 8: L’esame

Parte II: Noce Moscata

 

M: “Si può sapere che cosa mi hai dato?”
Io: “Tranquillo amico, è solo qualcosa per permetterci di esplorare meglio il presente.”
M: “MA COSA CAZZO DICI?!? DOVEVAMO PREPARARE UN ESAME, NON STRAFARCI!”
Io: “Ti ripeto, stai sereno e continua a studiare.”

Resta fisso a guardami senza saper bene cosa dire. Meno di un’ora prima gli avevo dato un estratto particolare. Non posso assolutamente dire che fosse M-MDA, ci mancherebbe.
Io? In grado di estrarre un allucinogeno?
Suvvia, polizia postale, non siate ridicoli.

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Riprendiamo a studiare e davanti ai nostri occhi si apre un mondo nuovo.

M: “Aspetta, voglio vedere se ‘sta roba funziona. Devo riprrendere una cosa del primo capitolo che non ho capito.”
Io: “D’accordo.”

Scivolo con le dita sui fogli, spostandoli a ritroso come fossero foglie mosse dal vento, sono Eolo.
Accarezzo le pagine fra tremolanti dita screpolate, sono Njord.
Respiro lentamente, posso vedere fiato spazzare via lentamente trucioli di matita e residui di gomma, sono Shu.

Arrivo alla pagina da ripetere, posso vedere le cifre impresse sulla carta danzare debolmente. I bordi spessi e neri delle matrici iniziano ad ondulare trasformandosi in profili di pesci corallini mentre le radici quadrate accolgono come affettuosi polpi spumeggianti cifre dal prodotto positivo che si corteggiano inseguendosi su linee di frazioni razionali.

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Le parentesi graffe si chiudono e si dilatano asimmetricamente comprimendo componenti tensoriali scomposte tridimensionalmente mentre gli sforzi tangenziali si rincorrono su pareti laterali come piccoli scoiattoli. Il sistema di riferimento inerziale ruota senza sosta sprigionando blu, giallo e rosso dai tre assi, come elicoidali uragani di puro impressionismo fiammingo.

Io: “Hey Mick… MICK!! Lo vedi anche tu?”
M: “C-c-cosa?”
Io: “Il sistema inerziale. Sta ballando.”
M: “Il mio si contrae. Sta lanciando segmenti, è diventato un tetrraedro.”
Io: “Oh si. Prendi la superficie diagonale ora.”
M: “Non ci rrrriesco, si muove troppo.”
Io: “TRAFIGGILA! Infilzalo con una normale dall’origine!”

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Lo vedo concentrarsi, afferrare una penna nera e tracciare un segmento sul foglio di scatto: “Bam!! Preso!! Adesso non scappa più!!”
Restiamo lì a fissare questa piramide canterina: “Ora… Se prendessi il punto d’interrsezione con la norrmale… No, non funziona. Ruota attorno ad n, ma non è detto che coincida.”
Io: “ESATTO!! Ma il nostro corpo com’è?”
M: “Si muove!”
Io: “NO! Congelalo! È in equilibrio!!”
M: “G-g-g-giusto!!”
Io: “Quindi se ora studiassimo le componenti tensoriali su ogni superficie piana…”
M: “Si devono eguagliare!”

Il tensore sulla superficie diagonale diventa bianco latte, poi torna grigio, poi nero e si lega infine all’area sottostante. Dall’altra parte dello schieramento le tre tensioni sugli assi principali si preparano allo scontro, affilando vettori e sellando le rispettive superfici infinitesime. Si fissano l’un l’altro, ma non sono ancora pronte alla battaglia.

tδA = – (t1δA1 + t2δA2 + t3δA3)

Una matita cala inesorabile su di loro lasciando segni di oleoso carbonio ibridato sp2 sulla cellulosa.
Sta scrivendo qualcosa, non hanno il tempo di capire quello che succede. È troppo tardi, la semplificazione sta per avverarsi.

δAi = ninδA = –ii nδA = -niδA

Ogni schieramento scocca i propri versori che poi ricadono sullo schieramento avversario. Ogni termine perde le proprie aree, ma non è detta l’ultima parola.

t=n1t1 + n2t2 + n3t3 = njtj

Le tre tensioni sui lati principali non si scoraggiano e accendono fuochi di segnalazione di numeri razionali in ossidoriduzione, inviano corvi messaggeri e onde radio a bassa frequenza si sorpassano nell’etere.

Mandate rinforzi sulla barriera.
Non sono semplici orchi.
Devi sentire la forza.
L’inverno sta arrivando.
Sono Uruk-Hai.
Liuk, sono tuo padre.

Il sistema x1, x2, x3 risponde alla chiamata e invia a Gondor un’armata di Rohirrim che sbaraglia l’avversario permettendo una decomposizione sui tre assi.

t = n1(T11i1 + T21i2 + T31i3) + n2(T12i1 + T22i2 + T32i3) + n3(T13i1 + T23i2 + T33i3)

Michele si avvicina a me: ha gli occhi sgranati e l’iride è ridotta a un’aureola verde vorticosa che circonda una piccola nana nera pulsante.

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M: “Quindi se trasporrtassimo tutto in forrrma tensoriale…”
Io: “Ecco qua!”

Una rete blocca i termini e li ricompone ordinatamente in nuove unità di cavalleggieri algebrici, gli schieramenti si dispongono in ordine ognuno nella loro formazione di battaglia e i nostri sguardi si muovono sul foglio in preda allo spettacolo.

 ti = njTij  

Michele si alza e si viene a sedere accanto a me: “Non la vedo, non è chiaro… La i e la j… Si muovono in continuazione, non riesco a tenerli in ordine, ci servirebbe… UN CHIODO!”
Apro gli occhi come un’upupa sotto cocaina: “UN CHIODO!! MA SEI UN GENIO!!”

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Scrivo sulla carta la formula in notazione estesa e la infilzo con la penna trapassando il foglio.
Dopodiché mi alzo in piedi e vado alle spalle del mio coloratissimo amico, gli afferro la testa fra le mani infilandogli le dita fra i capelli e gli sbatto la testa sul foglio iniziando a gridare:

Io: “LO VEDI IL TENSORE?”
M: “ANON CHE CAZZO FAI?!?!?”
Io: “LO VEDI IL TENSORE?”
M: “FERMATI!!”
Io: “LO VEDI?!?!? CHE COSA SI DICE AL TENSORE?!?”
M: “CHE CAZZO NE SO DI COSA SI DICE AL TENSORE?!?!?”
Io: “BUONASEEEEERA SIGNOR TENSOOOOORE!”
M: “B-B-BUONASERA?”
Io: “ PORCA PUTTANA, NON SEI CONVINCENTE.”

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Gli spingo le dita nel cuoio capelluto stringendo con le unghie. Sollevo la mia testa al cielo estasiato, mentre la luce bianca del neon si scompone in varie deflagrazioni multicolori di diverse lunghezze d’onda e si somma tornando bianca in un raggio lattiginoso e sinusoidale che mi bacia sulla fronte.

Io: “PIÙ CONVINCENTE.”
M: “B-b-buonaseeeerra signor tensore…”
Io: “BRAVO! VEDILO ADESSO!!”

Comincio a sbattergli la testa avanti e indietro sul foglio.

Io: “LO VEDI IL TENSORE?!?”
M: “SIII!!”

Inizio ad urlare più forte.

Io: “LO VEDI IL TENSOREEE?!?”
M: “LO VEDO!!”
Io: “LO VEDI IL TENSORE?!?!?!?”
M: “CAZZO SIIIIII!!”
Io: “LO VEDI IL TENSORE?!?!?!?”
M: “SIIII!! È BELLISSIMO!!!”

Gli stacco le mani dalla testa e mi inginocchio a fianco portando il naso sopra il tavolo.
I simboli sul foglio da questa prospettiva appaiono piatti, composti e mi fissano con i loro occhietti cattivi.

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Io: “È vero. È bellissimo nella sua cattiveria.”
M: “H-h-hai ragione…”
Io: “Ma non è colpa sua essere cattivo. È nato così, che può farci? È questo il punto, non ha senso parlare di cattiveria o bontà nel momento in cui non hai il minimo controllo sui tuoi geni e sul contesto in cui vivi.”
M: “Di che diavolo stai parrlando adesso?”
Io: “Sto semplicemente dicendo che il nostro amico qua sotto è nato e cresciuto in un mondo dominato da rigide leggi di equilibrio alla traslazione e alla rotazione, un mondo dove Eulero spadroneggiava stuprando elementi finiti e rapinando giovani versori dalla loro identità. È ovvio che sia diventato così.”
M: “Oh. E quindi? Non potrebbe ribellarsi a tutto questo, ha comunque spirito e forza di volontà. D’altronde se vuoi, puoi.”

Ruoto la testa e gli afferro la fronte fra le mani premendo con i pollici leggermente sulle palpebre. Li sento lisci come petali di rosa sulla mia pelle secca e screpolata.

Io: “Amico mio, forza di volontà e spirito sono… ALTRE DUE COSE CHE NON PUOI SCEGLIERE DI AVERE! AHAHAH!”
M: “Anon che fai?!?”
Io: “LO CAPISCI?!?”

Il miei pollici spingono sempre un po’ più forte contro i suoi delicati gusci di pelle morbida.

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M: “ANON MI STAI FACENDO MALE! VEDO TUTTO BLU!”
Io: “LO CAPISCI QUESTO?!?”
M: “ANON MI STAI FACENDO MALE!”
Io: “Ma che begli occhietti che hai quando sono chiusi! AHAHAH!”

Un pugno mi arriva al mento spedendomi a terra.
Sono steso sul pavimento ed inizio ad ansimare: “Ah! Allora è vero che il grana rende più forti!”

M: “Quante volte te lo devo dire che è parrmigiano?”
Io: “Ahahah, si è vero.”
M: “E adesso cosa possiamo fare?”

Mi sollevo in piedi, nessuno dei due ha dato peso a quello che è appena successo.

Io: “Adesso prendiamo quel piccolo stereo che ho in cucina e mettiamo Jaco Pastorius.”
M: “Ma… Ma non dobbiamo finire?”
Io: “APPUNTO.”

Monto le casse sul tavolo e scelgo il pezzo che ci serve.

M: “Non sarebbe meglio mettere i Pink Floyd?”
Io: “Forse, ma non so. Magari dopo metto qualcosa dei Mogwai o di Jon Hopkins. Per adesso pensa a vibrare.”

Scelgo un pezzo veloce, frenetico, morbido e coinvolgente: Improvisation No.1 / Teen Town.

L’intro inizia delicato sulle note cavalcate da Bireli Lagrene, i suoni si accatastano fra loro in una calda corsa parabolica e senza tregua, il leggero riverbero riempie la stanza mentre sorrido al mio compagno di studio e gli indico il libro: “Riprendiamo.”

Il frenetico inseguimento di dita sulla sei corde termina dopo poco lasciandoci senza fiato per poi iniziare il riff di Smoke on the Water. Dura solo qualche secondo. Il buon Jaco sale sul palco, afferra il basso, sorride, poggia il pollice sul manico del suo fretless e congela l’atmosfera pizzicando tre corde per volta in accordi surreali e vellutati.

Si comincia.

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Abbiamo fretta di finire il programma e il pezzo ci carica di adrenalina.
Ci attacchiamo sul collo altri due cerotti alla nicotina e beviamo un altro bicchiere di estratto magico.

Le prime pagine dell’ultimo capitolo volano velocemente, sommiamo termini tremolanti e scomponiamo frazioni zuccherine in forme contratte.

Bene adesso integra sulla verticale.
Meduse fosforescenti blu cambiano pelle e si raccontano del tempo perduto.
Come on come, come over… As fast as you can.
E utilizza la regola di derivazione sotto il segno di integrale di Leibnitz.
Accarezzano murene elettriche, ci fanno l’amore.
You’re afraid that you won’t like it, but you don’t understand.
Considera le condizioni cinematiche sulla superficie libera e al fondo.
Squame e frattali si lanciano occhiatacce nascondendosi dietro una siepe di ginepro in fiore.
One thing, my brother, I can tell you true.
Introducendo la decomposizione sui termini così ridotti…
Entrano a ritroso nel sacco amniotico, ruotano gli occhi, imparano parole nuove.
The more time you spend feeling happy, The less time you’ll be blue.

Siamo dentro il mondo della diffusione, della dispersione e della turbolenza. L’aria si muove intorno a noi accarezzandoci mentre assume andamento parabolico in direzione longitudinale, il fumo di una sigaretta ci aiuta nel comprendere la decomposizione di Reynolds e i termini fluttuanti si sbilanciano tridimensionalmente davanti ai nostri occhi abbandonando il valor medio per poi tornare ad abbracciarlo per un secondo appena. È un corteggiamento senza via di fuga, senza pace, senza tregua.

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Dopo un’ora Michele solleva lo sguardo dal foglio: “Anon… Non credo di aver capito bene questa parrte.”
Mi sollevo e arrivo alle sue spalle: “Che cosa non va?”
M: “Mi spieghi per quale motivo di questa matrice qua abbiamo solo la componente diagonale?”
Io: “Dici quella della turbolenza?”
M: “Esatto.”
Io: “Fammi dare un’occhiata.”

Osservo le cifre, la dimostrazione e i vari passaggi. Poi capisco.

Mi avvicino lentamente con le labbra all’orecchio di Michele: “Oh Michele, Michele, Michele… Ma hai scelto un sistema di riferimento coincidente con gli assi principali del tensore?”
M: “Che?”

Gli afferro la testa fra le mani e inizio ad alzare la voce.

Io: “Michele lo vedi il tensore?”
M: “Oddio, di nuovo?”
Io: “LO VEDI IL TENSORE?!?”
M: “CRISTO SANTO SI, LO VEDO!”
Io: “LO VEDI IL TENSORE MICHELE?!?!”
M: “LO VEDO LO VEDO!!”
Io: “GUARDALO!! GUARDALO BENE, PORCA PUTTANA!”
M: “TI GIURO CHE LO VEDO! CAZZO BASTA!!”

Mi inginocchio accanto a lui spingendo entrambe le nostre facce sul foglio.

Io: “Ti rendi conto che è il tensore di diffusività turbolenta?”
M: “Beh, si.”
Io: “QUA DENTRO CI SONO LE LEGGI DELLA STATICA E DEL TRASPORTO, DEL CAOS E DELL’ORDINE, DELLA NATURA E DELLA TECNICA. GLI ANTICHI DAVANO UN NOME A QUESTE COSE, MICHELE!!”
M: “Cazzo, va bene! Va bene! Come vuoi!!”

Gli spingo la testa sul foglio portandomi a pochi centimetri da lui: “E SAI CHE NOME ERA?”

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Mi guarda interdetto, trafiggendomi con quegli occhi da cerbiatto in trappola.
Faccio un respiro profondo e inizio a sussurrare.

“Divinità.”
Espiro lentamente: “Le chiamavano così.”

Mi stacco da lui e mi sollevo in piedi.

“Tutto questo, amico mio, questo che stiamo studiando sono il vento e l’acqua, la terra e l’etere, il fuoco, la luna e gli astri. Possibile tu non lo veda? Abbiamo catturato le vecchie divinità in parentesi quadre, le abbiamo stuprate, schiavizzate e fatte nostre. Abbiamo distrutto templi di reverenziale timore, abbiamo sbaragliato masse di povere pecorelle tremanti, abbiamo demolito le speranze di ricchi e borghesi per intere generazioni.”

Sollevo la mano verso il cielo chiudendo il pugno in un gesto teatrale: “E per cosa, Michele?”

Rimane a guardarmi impietrito, la sua testa ondeggia dolcemente in piccoli moti stellari.

“Te lo dico io per cosa. Per studiare l’andamento di una goccia di petrolio in un cazzo di fiume, Michele! Per piegare la maestosità dei venti ad un’equazione su un foglio di carta, per l’autoerotismo scientifico della determinazione esatta. Ecco perché.”

Mi inginocchio avvicinandomi velocemente a lui strisciando e tremando sul pavimento.

“Non te ne rendi conto, Michele? Su quel foglio c’è il sangue dei tuoi antenati, Michele. Quanti sputi e quante grida nella battaglia di Salamina, Michele? Come si sarà sparso nelle profondità del mare tutto quel sudore e quella morte? Quale coefficiente di distribuzione dare a tutto questo?”

Resto a fissarlo mentre prova a trovare una risposta a quella domanda e la vena sulla tempia scivola sinuosa come una biscia sotto la pelle della tempia.

“Quanto sangue ha viaggiato nel Sand Creek, Michele? Quante budella e bile e lacrime hanno visto i nostri tensori? Come avranno risposto alle grida dei sorrisi scarlatti aperti su gole di neonati e bambini, Michele? Dici che ha prevalso la diffusione o la dispersione? Ma è ovvio, amico mio!! LA DISPERSIONE!”

Gli afferro le ginocchia fra le mani stringendole più forte che posso fra le dita.

“NON LO VEDI TUTTO QUESTO? NON VEDI TUTTO IL SANGUE CHE RACCHIUDE QUESTO TENSORE DEL CAZZO?!? NON LO VEDI?!? STIAMO STUDIANDO LE DIVINITÀ, AMICO MIO!
ORDE DI JARL PREGANO E RAGGIUNGONO IL VALHALLA GRAZIE ALLE NOSTRE LEGGI!
SAI QUANTI BUOI, CAPRE E VERGINI SONO STATE SACRIFICATE PER NOI?
SIAMO GLI INVISIBILI FILI CHE LA TEOLOGIA HA SEMPRE CERCATO, SIAMO IL TRACOLLO DELL’ARTE CLASSICA E LA MANIFESTAZIONE FALLIMENTARE DEL DIVINO! HAI LA MINIMA IDEA DELLA POTENZA DI QUELLO CHE STIAM-”

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Un altro pugno si impatta sul mio zigomo sinistro e cado all’indietro mentre la stanza inizia a ruotare attorno a me.

M: “Scusa fra, ma non avevo abbastanza parole per fermarrti.”

Ansimo appena, accarezzando con le dita la pelle sotto l’occhio: “Cazzo Michele… È già la seconda volta che mi prendi a pugni. Vaffanculo.”
M: “Mi spiace, ma credo di aver scoperto che la cosa mi piaccia non poco.”
Io: “Fallo una terza volta e giuro che m’incazzo.”
M: “Dovevo. Non so cosa m’abbia preso, ma dovevo assolutamente farlo.”
Io: “Beh, posso capire la sensazione si. Non riesco a mantenere il controllo neanche io.”
M: “Ho notato. È solo che… Stavi continuando a parlare e non sapevo che dire per fermarti.”
Io: “…”
M: “Che vuoi che ti dica… Il dialogo arriva fino ad un certo punto, poi ci vuole la violenza.”

Come dargli torto?
Siamo atomi privi di volontà.
Si ma ci ha preso a pugni!!
Risultato di un’accidentale combinazione genetica.
E capirai, l’avrei fatto pure io se avessi potuto.
Un codice tutto sommato matematicamente prevedibile.
Se ci riprova ancora reagisco.
Argilla idratata che si scopre viva.
Esagerato, dai. Guardalo: è un tenero tortellino!
Un tenero tortellino alto un metro e ottanta e pieno di muscoli.
Ecco perché siamo irrimediabilmente attratti dalla scultura.
Ma te vo’ sta’ zitto?

Mi risollevo e mi siedo al mio posto, dietro di noi i timidi raggi del sole trafiggono la nebbia e le nuvole sull’orizzonte. L’aria si tinge di pennellate rosa e arancioni.

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Tecnicamente avremmo finito il programma, ma dovremmo comunque ripeterlo.

Vado in cucina e preparo due caffè prendendo della spremuta d’arancia. Sono circa le otto, man mano che rivediamo gli appunti gli effetti impressionisti e surreali della pozione magica finiscono e su di noi collassa come un macigno la stanchezza.
Dobbiamo combatterla, costi quel che costi: preparo altro tè caldo e disciolgo altre 40 gocce di guaranà nella teiera, diluisco due cucchiai e mezzo di fruttosio e integratore alimentare in due litri d’acqua. Quattro pillole al ginseng e due cerotti alla nicotina completano il tutto.

Abbiamo tre ore di tempo prima dell’esame e ce la mettiamo tutta: gli schemi vengono divorati, i muscoli delle braccia riprendono a tremare, i denti iniziano a battere nervosamente, i libri accantonati e le penne essiccate fino alla punta.

Poco tempo dopo la fatidica ora arriva: sono le 10 meno 10 e l’esame è previsto per le 10 e mezza.

Mi scrollo dal mio studio e mi alzo nervosamente, non me ne ero accorto prima, ma la vescica mi sta per esplodere. “Hey Mick, vado un attimo in bagno, mi do anche una mezza lavata veloce.”

M: “Già, piacerebbe tanto anche a me. Hai altri trrucchi magici dell’ultimo minuto per provare a superare quest’esame?”

Ci penso un attimo su: “Beh si, in cucina c’è una bottiglia da mezzo litro, riempila d’acqua e scioglici due bustine di Oki. Nel caso dovessimo avere mal di testa ce la divideremo.”
Michele mi guarda con una faccia distrutta: “E come la riconosco?”
Io: “Quella su cui c’è scritto ‘OKI’, razza di ritardato. Dai è una polverina bianca normalissima.”
M: “Oki, si giusto. Mamma mia come sto rincoglionito. Ti rendi conto che non lo passeremo mai, vero?”

Vado in bagno e lascio Michele al suo compito, dopodiché mi lavo i denti, le ascelle e mi vesto in modo decente.

Nel giro di dieci minuti siam fuori casa, prendiamo le biciclette e iniziamo a pedalare nervosamente verso la facoltà. Lo stomaco è in subbuglio, l’ultimo pasto decente risale al pranzo del giorno prima a base di pollo e verdure, il tempo rimanente è stato occupato da manciate di frutta secca e integratori alimentari.
Gli alcaloidi non hanno aiutato da questo punto di vista, sento le pareti dello stomaco contrarsi su loro stesse producendo acido cloridrico che si mischia con quello ascorbico del succo d’arancia. Sembra che il mio corpo voglia digerire se stesso.

Arriviamo in facoltà, i tenui raggi del sole ci abbagliano come se fossimo vampiri e siamo costretti a camminare con le mani poste a scudo sulla nostra fronte. Sguardi divertiti di altri ragazzi ci raggiungono dal bar dell’università e risatine trattenute si prendono gioco delle nostre camminate insicure, scomposte e rigide.

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Entriamo in dipartimento e saliamo piano le scale, fino ad arrivare alla porta dell’aula. È chiusa.

Guardo Michele: “Ma sei sicuro fosse l’aula IP?”
“Al cento per cento.”
Accosto l’orecchio alla porta e sento qualcuno parlare, sembra il nostro professore. Abbasso leggermente la maniglia e sbircio dallo spiraglio: il professore è seduto dietro la cattedra e sta interrogando una ragazza seduta di fronte a lui.
Il cigolio della porta non aiuta, il professore ruota la testa e ci vede: “Ah, Anon Anonymous! Alla fine è venuto? Oh! Vedo che c’è anche Michelis con lei. Siete proprio gli ultimi due! Prego, prego, entrate pure. Vi avevo rimosso dalla lista, credevo vi foste ritirati.”
Michele apre la porta ed entra in aula: “Come ritirati?” Controlla l’orario sul cellulare. “Credevamo di essere in anticipo…”
Il professore abbassa il capo e ci guarda da sopra gli occhiali: “Ma non l’avete letta la mail?”

Lo sguardo mio e di Michele si incrocia in un filo invisibile di elettrico stupore.

“Beh, da domani sarò in Svezia per un convegno. Starò lì circa una settimana, quindi non avrò tempo per correggere i compiti. Vi avevo mandato una mail appositamente per avvertirvi.”
Io: “Avvertirci esattamente di… COSA?!?”
“Ho deciso di anticipare l’appello di oggi per le 8 e venti e di fare un esame orale. Alla fine eravate solo in una quindicina di persone… Tre ragazzi si sono pure ritirati, per cui…”

Le nostre gambe iniziano a tremare mentre ci avviciniamo, le falangi della dita si contraggono involontariamente e le nostre voci sono tenui e morenti come quelle di un soldato colpito alla gola.

Io: “E-e-e-esam-m-me…”
M: “O-o-o-rrr-a-l-e?”
Io: “C-c-come s-s-scusi?”

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Non ci posso credere.
Non è possibile.
Ci dev’essere un errore.
Forse sono svenuto stanotte sul divano e sto sognando. Può essere…

Sento il cuore sprofondarmi in gola e pompare sempre più velocemente, mentre ci avviciniamo a piccoli passi verso il patibolo.

Il professore ritorna a rivolgersi alla ragazza. “Bene, e per concludere… I moti baroclinici.”

Io e Michele non possiamo fare a meno di guardarci fissi nelle palle degli occhi: quello era uno degli argomenti che avevamo scartato. Non riusciamo a dire una parola: la pelle sul nostro volto si tinge di verdognolo e le nostre bocche si seccano, incapaci di proferire parola.

Nel giro di qualche minuto la ragazza finisce di rispondere, verbalizza il suo 28 e scompare dietro la porta senza degnarci di uno sguardo.

Il professore solleva la penna da un foglio e ci guarda fissandoci per qualche secondo: “Ragazzi, ma come diavolo siete conciati?”

Ci guardiamo a vicenda e ci osserviamo per davvero per la prima volta: abbiamo cerotti di nicotina attaccati su collo, braccia e sulla fronte. Il mio zigomo sinistro pulsa, il mento mi fa un male cane, il braccio sinistro non smette di tremare, occhiaie viola ci circondano gli occhi e le palpebre si contraggono asimmetricamente sugli occhi. Sembriamo dei cazzo di tossici.

“Oh Gesù, voi ragazzi non vi date mai una regolata eh? Vabè, chi viene per primo?”

Michele gira lo sguardo, mi afferra un braccio e mi spinge via: “Prego, prima le divinità.”

Mi incammino afferrando la borsa fra le mani e tirando fuori la bottiglietta d’acqua iniziando a deglutire nervosamente. Il liquido scende velocemente nell’esofago raggiungendo lo stomaco.
È proprio mentre mi siedo che sento qualcosa che non va. Lo stomaco che fino ad un attimo prima si accartocciava su se stesso, digerendosi, si sta allargando. Bevo un altro po’ d’acqua e la assaporo piano prima di deglutirla.

“Prego: dispersione non trascurabile e reazione del primo ordine per ossigeno disciolto in un corpo idrico.”

Ignoro totalmente la domanda concentrandomi sul sapore di ciò che sto bevendo.

Oh mio Dio…
Questo non è Oki…

Lo stomaco si gonfia sempre di più, sento qualcosa che inizia a risalire.

“Mi scusi Professore, ma devo solo…” Mi volto di scatto: “MICHELE! Si può sapere che diavolo hai messo nell’acqua?”

Il tortellino sgrana gli occhi mi guarda stupito: “Oki, come mi avevi detto. L’ho trovato in cucina.”
Io: “Di che colore era la confezione?”

Il professore rimane seduto lì, confuso e nervoso allo stesso tempo.

Michele porta gli occhi in alto a sinistra: “Verde, credo verde… Ma non ricordo benis-”
Io: “VERDE?!? QUELLO ERA BICARBONATO BRUTTO IMBEC-”

La frase viene interrotta da un conato di vomito che mi riempie la bocca. Mi sollevo di scatto e corro verso la spazzatura dall’altro lato dell’aula. Mi butto sul pavimento inginocchiandomi e iniziando a sputare spuma bianca, risultato della reazione acido-base avvenuta nel mio stomaco. Troppi caffè, succo d’arancia e niente cibo per quasi 24h avevano creato un ambiente perfetto per una reazione di questo tipo.

Resto lì inginocchiato abbracciando il cestino sputando liquido lattiginoso che inizia a colare debolmente dalle labbra come schiuma da barba. Intorno a me sento le risate di Michele che riempiono l’aria e una sedia che strofina sul pavimento.

alcool vs marijuana

“Anonymous!! Si sente bene? Che succede? Michelis? Il suo collega sta male, faccia qualcosa!!”

Le risate cristalline del tartufino di fragno si fanno più forti. Ruoto a malapena la testa e con la coda dell’occhio lo vedo lì, piegato sul banco con la testa appoggiata alle mani mentre si contorce da quello che, per lui, è un incredibile divertimento.

“Mi spiegate cosa diavolo succede?”

Sputacchio un altro po’ e mi rivolgo al professore: “Mi scusi, professore. È che abbiamo studiato tutta la notte, ho la febbre e credo di aver preso un’intossicazione alimentare… Mi dispiace tantissimo…”
“Ma che avete mangiato ieri sera?”
“F-f-forse quei fagioli erano scaduti, non ne ho idea.”
Si porta una mano sulla faccia massaggiandosi gli occhi: “Sta meglio? Vuole che la accompagni in ospedale?”
“No, no, assolutamente. Non si preoccupi. M-m-ma non credo sia in condizioni di sostenere l’esame.”
“Eh, lo vedo.”
“S-s-sono desolato. D-d-davvero.”

Le risate di Michele non si sono interrotte neanche per mezzo secondo.
Mi risollevo lentamente nel giro di qualche minuto e ritorno a posto reggendomi su alcuni banchi trafiggendolo con lo sguardo.
Mi siedo accanto a lui: “Che cosa cazzo ridi? Avresti potuto bere prima tu da quella diavolo di bottiglietta. Poteva succedere a te.”
M: “Beh si, ma –ahahahah– non è successo, no?”
Io: “Stronzo.”
M: “Ahahah… Oddio Anon, mi fai morire.” Si asciuga le lacrime sulle guance: “Sei proprio l’idiota peggiore che abbia mai visto.”

Il professore ha ascoltato tutta la conversazione e dall’espressione dei suoi occhi non sembra molto contento di questa mancanza d’empatia nei confronti di un povero ragazzo con un’intossicazione alimentare.
“Ah, Michelis, prego. Vedo che si diverte molto, si accomodi allora. Chissà, magari mi diverto anche io adesso.”

Andiamo coglione.
Fatti torturare.
Vediamo quello che sai fare.

Michele si alza e si dirige a piccoli passi verso la cattedra. Sposta lentamente la sedia, si siede e inizia a fissarlo. All’improvviso è tornato serio. Restano lì a guardarsi per qualche secondo finché la domanda non arriva: “Metodo di Chatwin.”

Il tortellino sfrega le mani, afferra una Bic nera e comincia: “È un metodo utilizzato per la stima del coefficiente di dispersione longitudinale K e si basa sulla riscrittura della soluzione di Taylor nella forma…”

Non ci posso credere…
S-s-sta rispondendo?!?
IO NON MI RICORDO UN CAZZO!!

Sfilo un fazzoletto dalla giacca e continuo a sputacchiare saliva densa mentre davanti a me assisto ad un miracolo: Michele ha risposto alla prima domanda.

“Mh, bene. Mi parli ora della diffusione molecolare… Il caso con concentrazione variabile nel tempo.”
“Beh, siamo nel caso di pura diffusione, quindi possiamo porre il vettore della velocità del liquido pari a zero. Ciò significa che il problema si può formulare…”

MA CHE CAZZO STA SUCCEDENDO?!?!?
Succede che potrà iniziare a chiamarti ‘deficiente’ ogni volta che vuole.
MA L’HAI VISTO? SEMBRA UN PICCOLO RUTHERFORD SOTTO COCAINA!
Come diavolo fa a ricordarsi tutto?

Mi metto le mani fra i capelli, dannandomi per la mia inconcludenza.

Passa qualche minuto, Michele oscilla un po’, ma riesce a rispondere. Il professore lo guarda da dietro le lenti e si accarezza la barba soddisfatto: “Bene, veniamo all’ultima domanda: mi parli del tensore di diffusività turbolenta.”

Michele fino all’istante prima si oscillava soddisfatto sulla sedia, adesso è congelato, immobile, gli occhi sbarrati sul foglio bianco.
Resta in questa posizione per qualche secondo.

“Allora? Ha capito la domanda?”
“S-s-s-si…”
“Le ho chiesto del tensore di diffusività turbolenta E.”
“H-h-h-ho c-c-capit-t-to.”

La penna nella sua mano inizia a tremare leggermente e il tallone inizia a far su e giù battendo ritmicamente il pavimento. Balbetta senza riuscire a completare neanche la seconda parola: “I-i-i-l t-t-t-te-te-ten-ten-ten-tens-tens-tens-”
Il professore inizia ad innervosirsi: “Oh ma insomma, una cosa così semplice?!?”
Afferra il foglio e la penna dalla mano di Michele e scrive sul foglio due parentesi quadre, per poi riempirle ordinatamente con i nove termini eij.

“Allora? È chiaro adesso? Lo vede il tensore?”

Michele ha uno scatto. La testa si solleva rigidamente in un lento movimento meccanico. I suoi occhi sono spalancati.

Arriva il secondo miracolo!
AH! BEN TI STA!
Ride bene chi ride ultimo, imbecille!

2SOlJ

Mi appoggio sul banco e incrocio le dita sotto il mento pregustandomi lo spettacolo.

Il professore insiste: “Allora? Lo vede il tensore?”

Posso vedere Michele iniziare ad avere piccoli tic piegando piano la testa contro la spalla sinistra. Quella combinazione di parole ha fatto scattare qualcosa in lui, un ricordo che doveva rimanere sepolto.
Mi sembra quasi di vederlo lì, pronto ad esplodere come una piccola bombola di gas, mentre quella magica combinazione riecheggia nella sua mente: “Lo vede il tensore? Lo vede il tensore? Lo vede il tensore?!? Lo vede IL TENSORE? LO VEDI IL TENSORE?!? LO VEDI IL TENSORE, MICHELE? LO VEDI?!? DIMMI CHE LO VEDI, MICHELE!! FORZA!! LO VEDI IL FOTTUTO TENSORE?!?!?

Il bordo dell’occhio destro inizia a contrarsi velocemente, le labbra si schiudono senza emettere alcun suono e le dita tamburellano sul tavolo. Ha lo sguardo perso nel vuoto.
Decido di dargli una mano: “Allora Michele, dai. È facile: LO VEDI IL TENSORE?”
Finisco la frase è accade: Michele scatta in piedi ed inizia a gridare: “LO VEDO! LO VEDO! È BELLISSIMO!!”

Il professore si allontana dalla cattedra spostando la sedia e inizia a guardarlo terrorizzato.

Michele ha le mani al cielo e non fa altro che gridare queste parole: “LO VEDO! LO VEDO! È BELLISSIMO!! LO VEDO! LO VEDO! È BELLISSIMO!!”
Mi alzo in piedi: “E che cosa c’è lì dentro, Michele?!?”
M: “CI SONO LE LEGGI DELLA STATICA E DEL TRASPORRTO, DEL CAOS E DELL’ORDINE, DELLA NATURA E DELLA TECNICA!!”
Il professore ci guarda sbigottito, davanti a lui una scena surreale sta prendendo vita.
Io: “E SE NON SBAGLIO GLI ANTICHI DAVANO UN NOME A QUESTE COSE, MICHELE. GIUSTO?!?”
M: “SI, SI!! AVEVANO UN NOME!!”
Io: “E COME LE CHIAMAVANO?!?”
Michele si accascia a terra tremando in posizione fetale e sussurra: “Divinità… Le chiamavano d-d-d-divinità…”

universe scream

Resto lì in piedi, soddisfatto e appagato come non mai. Infilo le mani i tasca e afferro un pacco di fazzoletti, ne sfilo uno e lo poggio sulla testa di Michele: “Datti una ripulita.”
Lo sento singhiozzare piano, con la faccia affossata nel braccio.
“Sshhh-Sshhh è tutto passato. Tranquillo vecchio mio, tranquillo.” Gli faccio deboli carezze sui capelli. “Sshhh… è tutto passato.”

Quando risollevo lo sguardo trovo il professore davanti a me, indossa la giacca e ha rimesso tutto il materiale nella valigetta. “Non so davvero che diavolo vi sia successo, non ne voglio sapere niente. Se tutto questo è uno scherzo sappiate che, per quanto mi riguarda, non vi laureerete mai. Mi aspetto delle spiegazioni non appena ritorno dal convegno.”

 

Epilogo:

Io e Michele scendiamo le scale e ci ritroviamo all’esterno. Il sole è ancora troppo luminoso e i nostri sguardi ancora sconvolti dalla nottata precedente.

M: “Mi spieghi che è successo?”
Io: “Sembra tu abbia avuto un collasso psicologico, tutto qua. Sei rimasto svenuto per un’oretta, svegliarti è stata un’impresa.”
M: “Si, ma… Non ricordo perché…”
Io: “Ah, è stato quando t’ha chiesto se vedevi il tensore…”

Smette di camminare.

M: “Cosa hai detto?”
Sbuffo un po’: “Andiamo, quando t’ha chiesto del tensore… Dai non dirmi che ti fa ancora impressione.”
Vedo che chiude i pugni in due poligoni spigolosi e duri.
Io: “Oh, vedo che te ne sei ricord-”
Per la terza volta mi colpisce. È un montante alla bocca dello stomaco. Perdo il respiro e mi porto le mani sotto lo sterno, posso sentire la milza pulsare.

Ehm, capo? I polmoni hanno smesso di funzionare.
Mayday-Mayday, stiamo per collassare.
NON. ANCORA. Questo stronzo mi deve tre pugni, l’avevo avvertito.

Mi appoggio sulle ginocchia, mi risollevo e carico un gancio che lo colpisce sulla spalla spostandogli la guardia.
“AHAHAH! E che diavolo sarebbe quello, Anon? Lo chiami forse un pug-”
Un dritto sinistro lo colpisce sul naso.
“Quello era per distrarti.” Sputo sull’asfalto. “Imbecille.”

Scatta con un calcio destro circolare. Lo vedo in tempo e sollevo la gamba sinistra per bloccarlo con il ginocchio. Fallisco. Le due tibie urtano come spranghe di acciaio e ci mordiamo le labbra per il dolore. Non emettiamo nessun suono, nessuna imprecazione, nessuna debolezza.
Alzo la guardia e scivolo sulla breve distanza caricando un gancio sinistro. Lo vede, scarta di lato e lo blocca sollevando l’avambraccio destro come scudo, il suo dritto sinistro mi colpisce poco dopo sul mento, di nuovo.
È così soddisfatto del colpo andato a segno che dimentica il braccio lì. Ne approfitto: gli afferro l’avambraccio destro con la mano sinistra e il polso sinistro con la mano destra. Dopodiché lo tiro contro di me colpendo il suo naso con tutta la spinta che la testata può offrire. Accusa il corpo e ci allontaniamo.

fighting kids

Ci osserviamo: il mio labbro è spaccato e lo zigomo sinistro è gonfio, sputo bile sull’asfalto, lui perde sangue dal naso a fiotti ed entrambi zoppichiamo e ondeggiamo incapaci di reggerci sulle gambe.

Che bel quadretto.”
N-N-NON È FINITA!

Solleviamo entrambi la guardia ansimando e tossendo. Ci fiondiamo addosso.

 

Epilogo dell’epilogo.

Siamo stesi entrambi sulla ghiaia. Siamo sudati, sporchi di polvere e terra, leggermente insanguinati e più morti che vivi.

M: “Hey A-A-Anon… C-c-c-come abbiamo fatto a finire così?”
Io: “*pant*pant* B-b-beh, se non aves-s-ssi riso come uno stronzo, magari…”
M: “Sta parlando *coff *coff* sta parlando l’angioletto.”
Io: “…Eh.”
M: “*Coff*coff*”
Io: “*Pant*pant*”
M: “…”
Io: “…”
M: “…”
Io: “…”
M: “…”
Io: “…Hey Michele…?”
M: “Si, Anon?”
Io: “Comunque ho sempre preferito il San Daniele.”
M: “…”
Io: “…”
M: “…”
Io: “…”
M: “Sei un imbecille Anon.”
Io: “Ahahaha-*coff*coff*coff*”

brad-pitt

Nel prossimo capitolo: boh, li sto scrivendo.

Clicca QUA per l’inizio del capitolo 9: Santi e THC.

Foto di copertina di Dianne Rowe.
Ricordo che tutti i fan padovani (e non) possono mandarci i loro scatti. Una giuria popolare e imparziale (io) li sceglierà per farli diventare future copertine delle Cronache.

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Rorschach

Studente di ingegneria, lettore di fumetti, bassista occasionale, amministratore e scrittore sconclusionato.
Non credo nelle descrizioni da blogger e quello che leggo su internet, non dovreste farlo neanche voi. Forse. Chissà. Meh. Fanculo.