Dopo “Il lunedì dell’Haiku” e “L’infedele” torna Noise che si lancia in sperimentazioni letterarie, con la rubrica “frequenze”.
Ogni due settimane un racconto breve, una poesia o un monologo.
Ringrazio Meeva per il contributo per il primo “disturbo” di frequenza.
1. Rabbia – Te ne vai così?
Te ne vai così? Ti ecciti a darmi gli schiaffi solo quando dopo sai che mi devi baciare. Dimostrati per il vero uomo che non sei e vattene da qua dentro! Ma se te ne vai mentre le labbra mi sanguinano ancora, io ti distruggo: ti farò vivere nel tuo peggiore incubo: tutti quelli che conosci sapranno quello che ti piace fare con me. “Cosa?” – diranno tutti – “quel macellaio che uccide le bestie a mani nude, che alle donne non le guarda nemmeno in faccia, ha la stessa malattia di tutti i travestiti?”
Ti volteranno le spalle, sputeranno a terra dove metti i piedi, capirai che si prova a essere me. Le bigotte si faranno il segno della croce quando ti incontreranno per strada. Il tuo nome i bambini lo useranno come insulto. Già me li vedo: “un, due, tre io non so’ ricchione come a te”.
Dici che non lo faccio? Che ti faccio schifare da tutta la società? Che ti infetto? Che ti maledico? Che ti rendo come me, un appestato, uno da evitare? Non ci credi che lo faccio? E che ho da perdere io?
Forza vattene che domani ti devi sposare. Vattene e lasciami qua a sanguinare e a maledirti. Le hai le palle di andartene? Sei stato con me duemila volte. Mi hai comprato questa stanzetta e mi hai comprato pure il letto. C’è posto solo per questo. Poi montasti un lavandino, ti preoccupasti dell’acqua solo per uscirtene tale e quale a come sei entrato. Mica per me. Io sono un animale, una bestia, una che si può lavare nel suo piscio.
Dici che esagero? Dici che non mi crederanno? E io svelerò loro tutti i più piccoli segreti della nostra intimità. Gli racconterò del neo che tieni dietro la schiena, gli racconterò delle tue unghie dei piedi che mi fanno schifo e che mi graffiano ogni volta che ci addormentiamo uno nelle braccia dell’altro.
Gli racconterò di tutte le volte che mi hai mentito, che mi hai illuso, che mi hai fatto lasciare il bordello perché sei geloso.
Eppure tu là dentro mi hai trovato, me la ricordo la prima volta che sei entrato al bordello. Eri tutto spaventato, non c’era la spavalderia di oggi e nemmeno quello che oggi chiami coraggio.
Lo vedi questo sangue e, in effetti, pure gli animali sanguinano.
Vai, vattene se hai le palle. Vatti a sposare, ma sappi che sei lo fai, sarai finito.
2. La nostalgia – Che ci fai qua?
Che ci fai qua? Sei tornato? E perché sei tornato? Il viaggio di nozze è già finito? Che ci fai pure tu in questo freddo? Mi hai lasciato tu qui dentro e io mi sono dovuto arrendere a tutto questo gelo. Il matrimonio non ti ha fatto bene, ti sei dimenticato le buone maniere o sei ancora più stonato di prima?
Forza, chiudi quella porta che qua dentro si gela.
È chiusa? Allora si è spezzato l’asse che unisce la terra al sole… e noi precipitiamo come pezzi di ghiaccio chissà dove.
Domani nevicherà, sarà un’ altra bella giornata.
Hai ancora paura di me? Un bel ragazzo come te… Quante volte sogno quegli occhi, quelle spalle, quelle mani che mi abbracciavano come tenaglie. Io impazzisco a sognarti, a pensarti!
La mattina, dopo che ti vedo, soffro. Il giorno esiste solo per farmi soffrire. Perché la notte io non dovrei pensarti. La notte dovrei essere una rosa. Non solo per te o, meglio, per il tuo ricordo. Ti aspetto sempre e sento sempre più freddo. Io esisto anche per chi mi vuole veramente e per chi mi vuole solo ingannare. La notte io non posso pensarti. Se ti penso mi distraggo e non riesco a lavorare. Per me la notte è un affare, sono soldi.
Siediti, accenditi una sigaretta. Ah, non fumi più. Non ho nemmeno del vino da offrirti. Ah, non bevi nemmeno più. Allora ero proprio io a rovinarti, a renderti un uomo vizioso. Non ci credo! Impossibile, al massimo ti ho fatto provare un po’ di vita. Sai, io ti ho aspettato e ti aspetto ancora. Era una battuta, l’hai capita? Ridi! Ma che fai, non ridi? E ridi un poco: tieni sempre questa cera.
Ho ricominciato a lavorare al bordello il giorno dopo che ti sei sposato. In un modo o nell’altro dovevo pagare i debiti e trovare un modo per riempire tutti i giorni un piatto e metterlo a tavola. Ma mica lo faccio solo per me, quella la spazzatura, le briciole servono pure ai topi, perché loro, i topi, sono capaci di mangiare me. Perché non ridi con me? Hai smesso anche di ridere?
Non c’è niente di divertente? Dici così? Che dovrei fare? Che devo fare? Dimmelo! Io rido, piango e urlo. Ma in questa stanza non ci sta nessun altro.
È proprio vero, a parlare con gli spiriti si finisce pazzi, eppure ci sono rimasti solo loro a farmi compagnia. Loro e i topi.
3. L’illusione – Io me la ricordo ancora quell’alba…
Io me la ricordo ancora quell’alba di un luglio di tanti anni fa.
All’epoca abitavo in una stanza a piano terra di un vecchio palazzo a via Duomo, mentre tornavo a casa una macchina per poco non mi investiva. Intontita dalla veglia e dalla stanchezza non la riconobbi. Pensavo solo al cuscino ancora fresco.
Non quella sensazione appiccicosa di sudore, bava e trucco dimenticato, tipica del risveglio a pomeriggio inoltrato.
Ma mi sbagliavo, mai come in quel giorno il cuscino era così lontano dalla mia faccia. Davanti al portone del palazzo c’era una macchina parcheggiata e lui, che ci stava appoggiato mentre si fumava una sigaretta. Mi avvicinai.
“Che ci fai qua?”
“Dove sei stata fino a ora?”
“Al bordello, dove altro sennò? Non ti fai né vedere né sentire per quasi un anno. Che vuoi ora? Tua moglie ha già capito che con le femmine non ti si alza?”
“Mia moglie sta per partorire, sta a casa, ci devi aiutare tu.”
“Io? E perché?”
“Te la ricordi quella volta che aggiustasti il braccio a quello scugnizzo?”
“E mica è la stessa cosa.”
Al bordello ci stavano pure delle puttane, femmine originali e ogni tanto qualcuna si sbagliava a fare i conti e rimaneva incinta. Torina le aiutava a partorire, ci serviva il suo aiuto. Abitava vicino al molo Beverello, mentre aspettavo sotto casa di Torina gli uomini mi fischiavano in continuazione.
Ci trovavamo io, Torina e il cornuto nella stanza della gravida.
Non c’era nemmeno un parente di lei, lo sapevo che lui era solo, ma nemmeno una donna di servizio?
Il cornuto le stringeva la mano forte, fino a farsi le dita bianche mentre Torina le toglieva da dentro un bitorzulino tutto sangue e pianto.
Mentre la mano di lei, ormai senza vita, cadeva a terra dolcemente.
Lui guardava a me e poi guardava il bambino. Ci guardava, ci guardava fisso.
Lo conoscevo fin troppo bene per non capire che mi stava per fare una proposta folle delle sue: “Lo teniamo io e te questo bambino?”
4. La disperazione – Doveva chiedermi il permesso di morire.
Doveva chiedermi il permesso di morire. Dio non dirmi che hai esaudito le preghiere, eppure tu le streghe come me non le dovresti nemmeno considerare. Adesso mi devi far capire perché, fra le tante richieste che ti ho fatto, solo a questa hai detto di sì.
Come hai fatto a convincerlo a partire? Sai cosa mi costringi a fare adesso? Ad attaccare dei fiori attorno a un palo, giù al porto. Sei contento che rispetto anche io morti, che alla fine ho imparato a fare il segno della croce. Io ti rispetto, ma tu non hai mai rispettato me. E per cosa poi? Te lo potevi risparmiare questo misero pezzo di carne che tengo in mezzo alle gambe.
Non avrei sofferto io, non avrebbe sofferto lui e soprattutto non metterei in mezzo a te.
Ma lo sai chi soffrirà di più? Il bambino.
Me lo dici come fa a crescere con me? Con me? Con me che non sono né maschio, né femmina, né uomo, né donna. Me lo porto al bordello e mentre sto coi clienti, il bambino mi fa la contabilità? In effetti, è pure giusto, si impara un mestiere che al giorno d’oggi tutto può servire.
Ma tu che l’hai inventata a fare questa America? Quanta gente ci deve entrare? Quando l’hai inventata non la potevi fare più vicina che magari ci bastava un treno e stavamo tutti meglio?
E non rispondi più adesso?
Non hai più niente da dire?
Ti sei preso tutto da me, non mi hai lasciato nemmeno la soddisfazione di vederlo crepare davanti a me in ricompensa di tutti i bruciori di stomaco che mi ha fatto venire. Ma a te che cosa cambiava? Uno in più o uno in meno? Quell’uno in più rendeva la mia vita meritevole di essere vissuta.
Ma lo sai io che ho pensato di fare? Prendo il bambino e lo lascio alle suore. No? Quelle abitano di fronte a me, assisterei comunque alla sua crescita. Magari mi trasferisco al terzo, quarto piano così posso spiarlo mentre gioca nel cortile del convento. Un bambino ti cambia la vita, soprattutto quando non è tuo e che ci devo fare io?
Sì, ho proprio deciso, lo lascio alle suore, pure loro non partoriscono e sanno di sicuro crescere un figlio meglio di me.
A me sembra una buona idea. A te no?
E ora che fai? Guardi e non parli?
Hai fatto sempre così con me.
————————
Questo articolo ti è piaciuto? Condividi, lascia un like o un commento!
A te non costa niente, per noi è un feedback importante!
Seguici anche sulla nostra pagina facebook QUA!