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Aupair in Olanda: quando l’Italia ti va stretta

Scritto da Meeva

Possiamo riassumere il tutto dicendo che il punto centrale è avere il coraggio di mettersi in gioco? Dall’altro lato dello schermo, Beppe mi guarda, annuisce e sorride. È il 29 gennaio e stiamo chiacchierando da circa un’ora su Skype. Doveva essere un’intervista, ma si è trasformata in qualcosa di molto più informale, una chiamata fra amici. Perché l’intervista? Perché Beppe è uno di quei giovani italiani che hanno deciso di buttarsi nella mischia della vita provando a trascorrere un periodo all’estero. Inchiostro alla Spina non poteva lasciarsi sfuggire l’opportunità di dar voce alla sua esperienza.

25 anni, una laurea in Lettere, esperienze nel campo radiofonico e giornalistico, Beppe è partito per l’Olanda il 1° gennaio, mentre era ancora in hangover per i festeggiamenti di Capodanno, come tiene scherzosamente a precisare. Sì, perché la decisione di andare all’estero come aupair (cioè ragazzo alla pari) è stata presa “di pancia”.

Da dove nasce l’idea di andare all’estero come aupair?

In realtà non avevo un’idea precisa. Dopo 8 mesi di blocco lavorativo post laurea e una discussione in famiglia ho detto ma sì, proviamoci! Sapevo solo che volevo andare all’estero. Ho cercato su internet un’opportunità e ho trovato questo sito che gestisce il collocamento alla pari. Mi sono messo in contatto con la famiglia e nel giro di un po’ di tempo era tutto deciso.

Come è stato primo impatto con una nazione straniera?

Non ero mai stato in Olanda e, fra l’altro, sono arrivato in città (a Den Haag, ndr.) alle 17.30, in pieno hangover. Ovviamente mi sono perso (ride) e ho avuto notevoli difficoltà a trovare la casa! L’Olanda è diversa dall’Italia: i trasporti pubblici sono sempre in anticipo (cosa che mi ha creato un po’ di problemi), le persone ti salutano per strada anche se non ti conoscono e parlano tutti inglese, quindi non ci sono grosse difficoltà di comunicazione. Fra l’altro qui si muovono tutti in bicicletta: circola una foto divertente in cui si vedono 250 bici bloccate sulla pista ciclabile. Ecco, quella è l’ora di punta a Den Haag!

Sul tuo blog, LeaveFast, racconti la tua esperienza come ragazzo alla pari: parlaci di come è nato.

Mah, anche quello è nato un po’ per caso. Ho pensato ma sì, un blog di viaggi, ce ne sono tanti, perché no… e premendo invio per sbaglio mentre stavo armeggiando su WordPress è nato il blog. Ecco, a quel punto me lo sono tenuto (sorride divertito).

Il blog esiste in due versioni: italiano e inglese. Come mai?

Beh, è un buon modo per migliorare l’inglese. E poi scrivere in entrambe le lingue permette di essere più internazionali. Non è un grande impegno: scrivo i pezzi in italiano e la traduzione mi porta via al massimo una decina di minuti. Anzi, da quando sono qui, anche se si tratta solo di un mese per ora, il mio inglese è migliorato parecchio: faccio molta meno fatica a trovare le parole adatte, ci penso meno.

 Ammetto che i post riguardo la vita quotidiana con la famiglia e i bambini che segui sono davvero gustosi. Quali sono gli aspetti negativi dell’essere un aupair?

In realtà non ci sono aspetti negativi! Oddio, forse solo quello di dover cambiare i pannolini, anche se per ora mi è successo solo una volta in un mese. Per il resto va tutto bene: ho legato molto con la famiglia che mi ospita. La madre è di origini italiane e il padre è americano. Sono due persone in gamba e mi stanno dando un sacco di dritte riguardo il mondo del lavoro. Ad esempio, abbiamo affrontato l’argomento dell’importanza dell’inglese, così come il fatto che è meglio, secondo loro, rimandare eventuali master e specializzazioni dopo un primo periodo di lavoro. Ah, oltretutto sto accumulando un sacco di appunti di ricette: me ne stanno insegnando tante! È vero, però, che non tutti hanno la fortuna di trovarsi bene nella famiglia ospitante: non è così semplice trovare un buon equilibrio e lo spirito adatto.

E con i bambini come ti trovi?

Calcola che io non sono mai andato molto d’accordo con i bambini, quindi mi sono dovuto letteralmente buttare in questa avventura. Invece con loro due (cioè i bambini della famiglia per cui lavora, ndr.) mi trovo benissimo! Andiamo molto d’accordo; spesso quando mi vedono mi saltano in braccio, a meno che ovviamente non ci siano i genitori nei paraggi: in quel caso preferiscono loro.

In uno dei tuoi scritti, tratti di un episodio particolare: alla fermata del bus due ragazze lesbiche si baciano con somma tranquillità e nessuno sembra scandalizzarsi. In Italia succede spesso che non sia così. Cosa ne pensi?

Intanto preciso che nel raggio di 500 metri c’eravamo solo io, le due ragazze e l’autista del bus. Nessuno ha fatto una piega, ma è anche vero che, magari, se ci fosse stata altra gente le cose sarebbero andate diversamente. Di certo fa impressione notare come in Italia, proprio poco tempo fa, due ragazzi gay siano stati avvicinati da un poliziotto mentre si baciavano: sono stati chiesti loro i documenti e il poliziotto li ha pregati di evitare di baciarsi in pubblico. L’Italia è il paese in cui è normale trasmettere in televisione risse in Parlamento e tette in fascia pomeridiana, ma si censura l’amore.

Perché un giovane italiano dovrebbe affrontare un’esperienza all’estero, anche se non necessariamente come la tua?

Perché in Italia non si trova un cazzo. Esperienze del genere danno molto dal punto di vista umano e da quello delle skills (che sono sempre più richieste nel mondo del lavoro). Il ricavato non è tanto in termini economici per ora, quanto proprio esperienziale e di skills. Se i tuoi studi non ti pemettono di combinare nulla in Italia e vuoi vedere il mondo, accetti di prenderti un rischio. In Italia manca la voglia di investire sui giovani. Io dopo un sacco di collaborazioni non pagate ho deciso di investire su me stesso: se non devo essere pagato, perlomeno voglio farlo per me stesso e non per gli altri.

Hai qualche consiglio per chi volesse intraprendere una strada simile alla tua?

Mah, sono fuori dall’Italia da troppo poco tempo per avere consigli sistematici da dare. Direi che soprattutto bisogna farlo solo se si è davvero convinti: la motivazione è importantissima. Non è detto che tutti abbiano il coraggio di farlo e non è detto che tutti affrontino le difficoltà di un paese straniero allo stesso modo. Ad esempio, sere fa mi è successo di perdere il bus per tornare a casa ed era già notte inoltrata. Ho fatto la strada a piedi (mezzora di camminata) con due perfetti sconosciuti. Magari altri non avrebbero reagito così. Bisogna avere il coraggio di mettersi in gioco, bisogna provarci e bisogna farlo bene.

La fine della chiacchierata si avvicina. Ci sarebbero ancora migliaia di domande da porre e migliaia di storie da raccontarsi. Ma quella che mi preme, in realtà, è una domanda semplice e complessa allo stesso tempo. Una domanda che probabilmente molti coetanei si pongono ogni giorno.

Come si vede Beppe nel futuro?

Non mi interessa. Voglio dire, il discorso lavorativo mi interessa fino ad un certo punto. Se avessi voluto fare i soldi a palate non avrei fatto Lettere (ride amaramente). La cosa più importante, per me, è essere in pace con me stesso. Non voglio arrivare a 45 o 50 anni senza aver mai rischiato, senza averci mai provato. E voglio poter raccontare ai miei figli il come io sia arrivato in un certo posto o ad un certo traguardo. Voglio avere il coraggio di costruire qualcosa di mio.

 

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Meeva

Laureanda in Neuroscienze, tanguera a tempo perso, blogger con un po' di esperienza. Scrivo fin dalla più tenera età e cerco di farlo decentemente. Mille progetti e sempre poco tempo.
Cerco di conciliare scienza e scrittura, con risultati che... beh, giudicherete voi.

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