ESPERIMENTI LETTERARI Storie

Racconto di Pasqua

Scritto da Rorschach

Avete presente quei racconti che iniziano con frasi d’effetto tipo: “Ti svegli al fianco di due ragazze che non conosci e ti chiedi il perché della sera precedente”?
Ecco. Questo no.
Al massimo mi sveglio con la bocca che sa di brutta decisione, come di nocino e grumi di sangue, avendo in testa un solo pensiero: come ho fatto ad uscire da una situazione del genere?
Nel giro di poche ore una serata piacevole al bar si sarebbe trasformata in una disperata caccia all’uomo, che poi sarei io.
Lasciate che vi spieghi.

Programmiamo la serata tutti insieme su WhatsApp, appuntamento alle 9 in piazza.
Obbiettivo: fare finta di vedersi perché ci si vuol bene pur di scappare dall’inferno domestico, il tutto accompagnato da un po’ d’alcool.
Mi presento all’appuntamento con cinque minuti di ritardo. Prendo il telefono che ho in tasca: diamine, è in modalità silenziosa e non ho sentito i messaggi.
Un amico ha deciso di vedersi con la morosa all’ultimo momento, un altro è stato colto da un attacco di panico pre-esame (anche se è fra due settimane) e l’ultimo non esce perchè, cito testualmente: “Uscire solo in due è da froci”.
Bene, quindi sono da solo.
Spengo la sigaretta e la butto via. Entro nel bar e mi avvicino al bancone.
Son arrivato fin qua, tanto vale prendersi comunque qualcosa da bere.
Mi ritrovo a fianco di un tizio, è grassottello, capelli ricci neri e mani paffute che giocherellano con il bicchiere sul bancone. Qua lo chiameremo “Ciccio”.
Mentre sorseggio il mio Cointreau Ciccio inizia a parlarmi. E’ molto simpatico, mi dice che a lui stasera è successa praticamente la stessa cosa, solo che a lui succede ogni sera: chiede ai suoi colleghi di lavoro se vogliono bere qualcosa insieme e loro rispondono “Non so, tu vai Ciccio, semmai ci vediamo lì”.
E così Ciccio passa ogni sera da solo al bar a sorseggiare il suo nocino per una mezz’oretta aspettando che qualcuno prima o poi voglia scambiare quattro chiacchiere con lui.
“Non capisco perchè non vengono! Credo di essere pure simpatico! Se vuoi ti dico una barzelletta, è forte!”
“Spara, Ciccio.”
“Ok, vado. Allora c’è un uomo che beve in un bar per tutta la notte e si ubriaca come una spugna. Ad un certo punto si lamenta con il barista e gli fa: ‘Se adesso torno a casa così mia moglie sentirà puzza di alcool e attaccherà una pippa pazzesca per tutta la notte… Cosa posso fare per schiodarmela?’
Il barista si sporge appoggiando un gomito sul bancone e gli risponde: ‘Fai così, versati un pò di birra sulla camicia e mettiti dieci euro nel taschino. Quando tornerai a casa dì a tua moglie che un ragazzo ti ha urtato e ha versato la sua birra su di te, quindi ti ha dato 10€ per ripagarti della lavanderia e del disturbo. Così non sospetterà nulla, fidati.’
All’uomo, questa, pare un’idea geniale e fa come ha detto il barista.
A fine serata torna a casa e sua moglie si avventa su di lui: ‘Puzzi come un barbone! Quanto hai bevuto stasera?’
‘No, no, cara. Stasera mi ha urtato un ragazzo e mi ha versato tutta la sua birra sulla camicia. Guarda, mi ha messo qua dieci euro per ripagarmi della lavanderia e del disturbo’
La moglie controlla e fa: ‘Hai ragione, ma qua… Ci sono venti euro, non dieci.”
‘Ah già, mi ha anche cagato nei pantaloni’.”
Ridiamo come due ragazzini e i drink scivolano giù uno dopo l’altro.

Parliamo della nostra vita, di suo padre, della mia ragazza, del suo lavoro e del mio studio.
Mi fa assaggiare il nocino, liquore che a lui piace tanto e ad un certo punto si alza e mi fa “Vado un attimo in bagno, torno subito”.
Mentre lo aspetto giocherello con il cellulare e un grido che viene da fuori attira la mia attenzione.
C’è una ragazza per strada che grida disperatamente.
Mi alzo ed esco. E’ seduta su una panchina, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia mentre si tiene la testa fra le mani. Continua a gridare.
Il ragazzo l’ha appena lasciata per sms. “BASTARDO! COME PUOI AVERLO FATTO?!?”
Mi avvicino insieme agli altri curiosi, alcuni ragazzini stanno ridendo, delle ragazze sembrano preoccupate e un signore cammina via stizzito.
Che ci crediate o no non è la prima volta che vedo una scena del genere, questa volta, però, decido di fare qualcosa.
Mi avvicino a lei. “Che ti ha fatto?” le dico. Pare non avermi sentito mentre continua il suo lamento solitario.
Mi avvicino ancora ed alzo la voce: “Guardami! Cosa ti ha fatto?”
Questa volta mi sente, alza la testa e mi guarda “Mi ha distrutto” grida con il volto rigato di lacrime.
“Dopo tutto ciò che gli hai dato? Dopo tutto ciò che hai fatto per lui!?!”
“Siiii!!”
“E tu come reagirai?”
I passanti si fanno sempre più curiosi.
“N-n-non lo so”
“Oh si che lo sai, avanti… Colpiscimi.”
“…”
“Alzati, forza. Io sono lui, sono tutto quello che hai dato e che io ho buttato via, sono tutto il peggio di lui, sono tutto il suo fallimento. Avanti, fallo. Colpiscimi.”
“T-tu che ne sai? Che ne puoi sapere?” singhiozza.
“Oh si che lo so, COLPISCIMI!!”
Resta lì ferma e mi avvicino, le afferro le mani con le mie e le faccio sbattere contro di me.
Dopo qualche secondo non c’è più bisogno che l’aiuti.
Colpisce con i palmi, con i pugni mentre grida e piange lacrime di sfogo.
La folla è rapita da uno spettacolo mai visto prima. “Sta succedendo davvero?” sembrano interrogarsi.
“Forza! Forza!! Più forte!”
Mi da uno schiaffo. Un altro. Ora prova con un pugno sul mento.
Continua a colpirmi sul petto con i pugni chiusi sbattendoli con forza, mentre i singhiozzi si fanno più silenziosi e i pugni più deboli ad ogni secondo che passa.
Mi avvicino e la abbraccio. Posso sentirla tremare.
“Che farai ora?”
“N-non lo so.”
“Te lo dico io: combatterai. Perchè non puoi fare altro. E perchè sei forte abbastanza. Domattina ti alzerai e ti renderai conto che ce la puoi fare. Un passo alla volta e avrai vinto pure questa guerra.”
Sospiro e la guardo negli occhi: “Ce la farai.”
Ora. Dopo una roba del genere mi aspettavo un lungo abbraccio, un oscar dai presenti mentre gridano “MUR-RI-CA! MUR-RI-CA!”, una visione di Leonardo DiCaprio che mi fa l’occhiolino compiaciuto e magari qualche pacca sulla spalla da qualcuno.
Magari con la ragazza rossa fra la folla che si avvicina e mi fa: “Sei stato meraviglioso” dandomi un lungo bacio appassionato con la prospettiva di un appuntamento.

murrica love
Sta di fatto che quando la tizia si stacca da me alza leggermente una mano e indica qualcosa alle mie spalle: “E’ lui”.
Dietro di me ci sono 120 kili di massa che si avvicinano pericolosamente.
Lei lo guarda e inizia a gridargli addosso: “Stronzo! Bastardo ti odio!”
“Lui chi è? Perchè lo stai abbracciando?”. Ha un timbro di voce decisamente minaccioso.
“Guarda amico non è come credi stavo sol-”
“Tu…” mi interrompe “Piccolo stronzo non sai in che casini ti sei cacciato.”
Ora guarda lei “E poi tu… Dio! Sapevo che mi stavi tradendo, ma… Andiamo, Con lui?!?”
Per un secondo questa affermazione mi colpisce più del suo prossimo gesto.
“Hey che cazzo vuol dir..”
Non ce la faccio a finire che un pugno mi arriva allo zigomo.

Slo-mo boxing punch
Diamine, questo si che è un pugno.
La folla inizia ad allargarsi. Nessuno fa nulla.
Devo trovare una via di fuga.
Che direbbe il sensei dei classici film giapponesi? “E’ un bisonte, Anon-San, non puoi batterlo con la forza e allora battilo con l’intelligenza.”
Ah si. Gli lancio un sudoku, magari funziona.
Un montante interrompe il mio flusso di coscienza. Arriva alla bocca dello stomaco e mi toglie il respiro.
Mi accartoccio come un sacco di mele marce. E’ una sensazione strana: per un attimo è come se lo stomaco fosse rimasto lì, a mezz’aria dov’era prima, mentre io sono qua giù a terra.
Mi raggiunge dopo poco, accompagnato da una ventata di dolore che mi fa ribollire tutto il nocino.
Come battere un tizio così?
Devo farmi aiutare. Devo giocare sporco.
Mi metto in ginocchio e provo la carta della morale.
M-m-ma io… Sono gay…” sibilo con il fiato che mi rimane.
La folla, impassibile davanti al massacro, all’improvviso si anima con sguardi di disapprovazione e disdegno.
Persino il bisonte pare confuso.
“C-cosa?”
“Si, cazzo. Stai picchiando un omosessuale… -Coff!-Coff!- Come ci si sente? Forti, eh? Magari la prossima volta potresti spingere un disabile dalle scale.”
Okay, ora è decisamente disorientato.
In un moto di forza di volontà mi rialzo in piedi e grido: “Mi stai picchiando perchè sono frocio?!? Brutto Fascista xenofobo sessista!”
Vai così, qualunquismo a caso.
Se sono fortunato troverò un paladino della giustizia abbastanza idiota da abboccare.
La folla si apre e fa spazio ad un ragazzo che si avvicina accompagnato da altri amici.
Eccolo.
“Hey tu” dice al bisonte “Che diamine succede? Lo picchi perchè è omosessuale?”
Intervengo subito: “Si, stavo abbracciando un’amica e mi ha messo le mani addosso dicendomi che sono un malato schifoso!”
Persino la gente che stava assistendo allo spettacolo dall’inizio rimane confusa. Sa che qualcosa non quadra, ma stanno a guardare, nessuno è in grado di intervenire.
Il paladino continua: “Mio fratello è omosessuale ed è stato picchiato da dei coglioni bigotti del cazzo come te due anni fa. Hai idea di cosa ha dovuto passare?”
Devo fare presto, non devo dare il tempo al bisonte di rispondere, potrebbe mettersi peggio.
Sfrutto la mia carnagione mediterranea: “Mi ha pure chiamato negro di merda!”
“…Bastardo!!”
Si avventa sul bisonte con altri quattro amici.
Mi rialzo a fatica continuando a tenermi la pancia fra le mani e guardo la scena.
Sta andando a meraviglia.

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Oh, guarda quel calcio! Non era forse la milza quella che ti sta esplodendo, brutto bastardo?

Sento una voce che mi chiama alle spalle: “Hey Anon che succede? Ti ho cercato ovunque, hai lasciato il telefono sul bancone, l’ho trovato quando sono tornato dal bagno. Te l’ho preso io.”
“Ah, sei tu. Grazie mille Ciccio.”
“Di niente. Ah! Ha chiamato la tua ragazza poco fa, ma ho preferito non rispondere sai…”
Maledetto idiota del cazzo stai zitto.
Che diavolo hai fatto? Ti prego buon Dio, fa che nessuno lo abbia sentito.
Non sono fortunato e potrei quasi giurare di sapere che Dio mi sta facendo il medio. “Così impari ad avere le erezioni sugli autobus”.
Uno degli amici del paladino, piegato su un ginocchio mentre pestava il bisonte ormai ridotto ad un muffin scarlatto ferma il prossimo gancio e mi guarda.

No.

Come passare da una situazione di merda ad un letamaio.
Prendo il telefono dall’idiota Ciccio e inizio a correre verso la fine della strada.
Muovi quelle gambe Forrest Gump, forza.
Corri, Forrest, corri.
Faccio una cinquantina di metri e mi volto. Il tizio ha interrotto gli amici e sta spiegando la scena agli altri.
Vedo altre quattro teste che simultaneamente si girano guardandomi.

E’ solo un momento, un istante infinito in cui ci guardiamo come due samurai prima dell’affondo.
Il pollice scivola leggero sul fodero accarezzando il bordo della lama.
I ragazzi si alzano, il loro sguardo fisso su di me.
Il pollice fa scattare la sicura e la mano si stringe sul fodero in cuoio.
La tensione attraversa l’aria mentre il vento sferza leggero.
SZOK!
Partiamo quasi simultaneamente.

SHIT SHIT SHIT SHIT
Corri, Forrest, corri.
Li sento che corrono veloci alle mie spalle, lanciandomi imprecazioni e promesse di dolore fisico che probabilmente, anzi, sicuramente subirò.
Ci credo fin troppo e provo ad accelerare.
Svolto un angolo e mi infilo sotto dei portici. In lontananza vedo un gruppo di ragazzi in giubbotto di pelle che bevono birra.
Provo ad avvicinarmi e a chiedere aiuto.
Sento quasi lo stomaco che mi guarda e mi fa: “Mi spiace, ma non oggi. E’ stato un piacere, ciao.”
Proprio mentre li ho quasi raggiunti crollo a terra e inizio a vomitare con conati isterici.
I ragazzi si girano ridendo: “Hey tutto bene?”
Guardali, studiali.
Giacca in pelle, capelli quasi rasati, croce celtica cucita sulla giacca.
Forse…
Rialzo la testa e disperato gli faccio: “C’è stata… C’è stata una rissa in un bar. Dei tizi si sono incazzati perchè sono contro i campi Rom e perchè ho detto che De Andrè è un cantautore sopravvalutato. Ci sono saltati addosso ed è partito il macello. Diamine, eravamo pure ubriachi. Infami.”
Mi alzo, mi avvicino a quello che ad occhio e croce dovrebbe essere il maschio alfa: alto, spalle larghe, mascella quadrata e occhi di ghiaccio. Puzza di cuoio e sudore stantio.
Gli afferro l’avambraccio con il saluto romano. Lo fisso con sguardo fermo dritto negli occhi, contraggo la mascella e storco il lato della bocca in una smorfia alla Silvester Stallone: “Fratello, aiutami.”

Due secondi dopo e i cinque paladini mi sono addosso. Incuranti degli altri dieci mi afferrano e mi sbattono al muro incominciando a tempestarmi di colpi. Dopo i primi quattro perdo il conto.
Proprio mentre inizio a perdere le speranze sulla mia strategia sento una voce: “Picchiate un ragazzo ubriaco? Che razza di bastardi siete?”
Gli sono addosso.
Magnifico.
Pittoresco.
Le facce sorprese dei cinque paladini vengono colpite mezzo secondo dopo da ganci d’acciaio.
Per un momento resto ancora contro il muro mentre la scena davanti a me prende una piega grottesca e tinge di macchie di sangue i ciottoli del porticato.
Mi allontano in fretta, meglio non cazzeggiare troppo.
Arrivo zoppicando all’angolo. Mi fermo un secondo e guardo indietro.
Tra un pestaggio e l’altro vedo un ragazzo a terra che dice qualcosa al maschio alfa. Il pestaggio si ferma. I cinque ragazzi a terra iniziano a parlare con i dieci in piedi.
Si scambiano qualche battuta… Diamine non riesco a sentire.
No.
Quindici teste si girano simultaneamente verso di me.

fuck no

No no no no no no no no.
E’ un altro istante di tensione fredda e lunghissima, come quella che precede lo schiocco della frusta.
La corda di pelle ondeggia sinuosa creando un’onda perfetta che si snoda silenziosa nell’aria.
Sento il vento freddo che mi accarezza la guancia e stacca con delicatezza una goccia di sudore.
La punta della frusta si contrae su se stessa in uno spasmo silenzioso.
Sento il peso del mio corpo spostarsi sugli avampiedi, il ginocchio si piega leggermente e i quadricipiti si contraggono pronti allo scatto.
CHAFF!!
Inizia.
Mi volto e parto. Spingo le gambe più veloce di prima mentre dietro di me si scatenano le urla dell’apocalisse.
running away zombie
Questa volta non mi salvo.
Almeno sento che lo stomaco ha preso un po’ di fiato. Corro più veloce, la milza pulsa lancinante e ho il sapore aspro della bile in gola.
Svolto l’angolo, sento le urla e il rumore dei segugi infernali sempre più vicini.
Vedo alla fine della strada una luce al neon viola e un buttafuori di spalle all’ingresso che parla con due persone di fronte a lui. Devo nascondermi da qualche parte, se continuo a correre mi beccano e sono fregato.
Mi avvicino e quando sono a pochi metri rallento il passo provando ad essere più silenzioso possibile.
Mi infilo nell’ingresso approfittando del fatto di essere alle spalle dell’energumeno e del fatto che fosse impegnato a controllare i documenti di due ragazzi orientali.
La mia intrusione viene notata, sento un urlo del buttafuori e mi precipito velocemente verso la sala di sotto.
Entro: luci soffuse viola, musica house con tocchi di sax e tastiere vintage, spogliarelliste vestite con un completo che dovrebbe ricordare la divisa di un marinaretto si esibiscono ballando sensualmente su tavoli e su una pedana centro della stanza.
Vorrei tanto rimanere a guardare, ma sono troppo impegnato a non farmi ammazzare. Mi metto in un angolo e mi guardo intorno.
Il buttafuori nel frattempo è arrivato, si ferma all’entrata del salone e scruta come un falco tutta la stanza mentre si aggiusta il nodo della cravatta nera con discrezione.
Sono a pochi metri da lui alla sua destra che provo a scomparire nella parete appiattendomi come un geco contro di essa.
Ruota la testa socchiudendo gli occhi per vedere meglio.
Sarà l’odore di paura fottuta che emanavo, sarà il fatto che ero l’unico imbecille in piedi in una stanza piena di signori seduti a godersi lo spettacolo, sta di fatto che mi nota.
Gira di scatto la testa a destra e mi guarda come un pitone guarderebbe un topolino. Potrei quasi dire che riesco a vedere il bianco dei suoi occhi accendersi di venature rosse di rabbia.
Un sorriso sottile appare sul suo volto. “Ora ti faccio vedere io”.
Non riesce neanche a fare il primo passo che quindici ragazzi sudati e sporchi di sangue gli sono addosso facendolo cadere e accappottandosi in un groviglio che sembra una mischia di rugby.
La musica si interrompe, le ballerine si fermano e tutti i presenti si girano.
Mi acquatto e cammino a gattoni verso un tavolo vuoto al buio. Sollevo il bordo della tovaglia e scivolo di sotto pregando che nessuno m’abbia visto.
I ragazzi provano a scusarsi con il buttafuori e provano a spiegargli la situazione. Fortunatamente a lui non gliene frega un cazzo e si alza assestando un gancio che pare staccare la mascella di uno dei paladini.
Mentre il poveraccio si accascia su se stesso gli altri quattro paladini sono addosso al gorilla, pronti a vendicare il compagno caduto.
Diamine, la situazione si fa bollente.
Il buttafuori è a terra, tempestato di calci.
Non sta andando bene.
Mentre i dieci naziskin iniziano a camminare per il locale cercandomi sento un colpo di tosse provenire dal retro della sala.
“Eh-Hem”
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Tutti si fermano e guardano nella direzione da cui è venuto il rumore.
Un uomo dai capelli neri corti è in piedi, si sta sbottonando la giacca.
“Questa era una festa privata.”
Ha una corporatura media, occhi a mandorla e una cicatrice sulla guancia sinistra.
Con un movimento gentile finisce di sfilarsi la giacca e la piega per bene, riponendola sulla sedia.
Altri dieci uomini si alzano e iniziano anche loro a spogliarsi con lo stesso elegante rituale.
Oddio, sono tutti orientali.
“E voi l’avete rovinata”.
Le mani dell’uomo scivolano sulla cravatta, sciolgono il nodo e la sfilano via, gettandola per terra.
Ora inizia a sbottonarsi la camicia. I movimenti sono delicati, come se le dita si stessero gustando ogni scatto del bottone che si stacca dal foro.
La camicia inizia ad aprirsi piano, ed è in quel momento che li vedo.
Una serie di ideogrammi sono impressi su tutto il petto dell’uomo, sulle sue braccia, fino ai polsi, persino sul ventre.
Guardo i ragazzi all’entrata. Si può sentire il loro sangue che rallenta nelle loro vene fino a ghiacciarsi. Sui loro volti è dipinta un’espressione di terrore.

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“E non è buona educazione rovinare una festa”.
E così, inizia.
Tutti sono addosso a tutti in una baraonda di colpi, grida isteriche di ballerine spaventate e bottiglie che si infrangono per terra e contro gli specchi.
Resto a guardare la situazione basito ed esterrefatto per qualche minuto da sotto al tavolo: bicchieri volano da una parte all’altra della stanza, si sente il rumore dei colpi contro la carne e il gemito successivo del malcapitato, i tavoli si ribaltano e di tanto in tanto un neon scoppia con un piccolo botto.
E’ meraviglioso. Potrei rimanere qua a vederli per ore.
La magia che si dipana davanti ai miei occhi viene interrotta quando vedo rotolare davanti a me un dente proveniente da chissà dove. Lo prendo fra le dita: “Oh, un incisivo.”
Penso sia il caso di andare.
Cerco il momento adatto per sgattaiolare da sotto al tavolo e correre verso l’uscita.
Mi guardo intorno, aspetto, valuto, fletto le ginocchia e parto esattamente un attimo prima che un charlie si schianti sul tavolo sopra di me e un attimo dopo che uno skinhead si rompa due costole contro uno sgabello.

Risalgo le scale e sento già le sirene della polizia che si avvicinano.
Mi afferro lo stomaco dolorante fra le braccia e zoppico allontanandomi.
Prendo un taxi, torno a casa e crollo sul divano.
Buio.

Mi sveglio il giorno seguente o forse dopo una settimana, non saprei dire.
Mi faccio una doccia e controllo allo specchio i lividi sulle costole e sul volto.
Lo zigomo sinistro ha una macchia purpurea pulsante, bello.

Faccio colazione con una fetta di pane e due uova, mi vesto ed esco.
Mentre cammino verso il supermercato vedo svolazzare ai miei piedi la prima pagina di un giornale locale:
“Scontro fra gang rivali interrotto dalla polizia. 25 arresti, nessuna vittima.”
Mi fermo e provo a chinarmi per raccoglierla. Una fitta alle costole mi blocca a metà e uno sbuffo di vento porta via da me la chicca della giornata.
Mi accascio a terra e mentre rido guardo nuvole bianche che veloci si rincorrono nel cielo.

Buona Pasqua

Articolo originariamente pubblicato su Cheesusfried.com QUA

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About the author

Rorschach

Studente di ingegneria, lettore di fumetti, bassista occasionale, amministratore e scrittore sconclusionato.
Non credo nelle descrizioni da blogger e quello che leggo su internet, non dovreste farlo neanche voi. Forse. Chissà. Meh. Fanculo.